A quali condizioni il Tribunale può rilevare d’ufficio la questione della fattibilità del concordato preventivo ?
In un caso seguito dallo Studio, la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 17 aprile 2014, ha confermato i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione secondo cui il Tribunale può negare l’omologazione solo se vi è assoluta certezza che il concordato non è fattibile dal punto di vista economico.
Il caso
Una società immobiliare ha presentato domanda di concordato preventivo con cessione dei beni la quale prevedeva, quale limite minimo per la risoluzione del concordato stesso, percentuali di soddisfacimento assai ridotte per alcune classi di creditori chirografari. La società è stata ammessa alla procedura e la proposta ha ricevuto il parere favorevole del Commissario Giudiziale, venendo quindi approvata dalla quasi totalità dei creditori ammessi al voto.
Il Tribunale, rigettate nel merito e dichiarate inammissibili alcune opposizioni all’omologazione, ha però rilevato d’ufficio che la proposta non era fattibile e, rigettata la domanda di omologazione, ha dichiarato il fallimento.
La Corte di Appello, in accoglimento del reclamo proposto dalla società, ha revocato il fallimento ed ha rimesso gli atti al Tribunale, il quale ha quindi omologato il concordato.
Le questioni
Secondo la ben nota decisione della Cass., S.U., 23 gennaio 2013, n. 1521, seguita da altre successive (cfr. Cass. n. 11014/2013, Cass. n. 24970/2013, Cass. n. 11497/2014), il Tribunale può rilevare d’ufficio la questione della fattibilità “giuridica” del concordato, mentre la valutazione sulla fattibilità “economica” (ovvero sulla causa “in concreto”) è riservata ai creditori in sede di approvazione della proposta.
Il tema che è stato successivamente approfondito dalla giurisprudenza attiene alle condizioni che consentono al Tribunale un controllo sulla fattibilità “economica” del concordato, nonostante l’approvazione della proposta da parte dei creditori ed anche in assenza di opposizioni all’omologazione da parte dei creditori per tale specifico motivo.
La decisione
Nella sentenza dichiarativa di fallimento il Tribunale ha ritenuto di fare applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui il controllo del Tribunale potrebbe estendersi alla verifica dell’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i creditori chirografari, quando ciò emerga prima facie.
Il Tribunale nel caso di specie aveva inferito la non fattibilità della proposta sulla scorta di valutazioni probabilistiche di carattere economico, sostenendo che le soglie minime indicate dalla ricorrente per la soddisfazione dei creditori chirografari (comprese tra il 2 ed il 4% circa per le diverse classi previste), all’atto pratico dell’esecuzione del concordato, non avrebbero potuto essere realizzate.
La Corte di Appello si è uniformata all’orientamento della Cassazione ed ha affermato che “l’omologa del concordato avrebbe potuto essere negata dal Tribunale soltanto ove la irrealizzabilità ed inidoneità [del concordato] a risolvere la crisi aziendale fosse stata manifesta assoluta ed evidente ovvero ancora – e quantomeno – se la sua prognosi negativa fosse stata rispondente ad una significativa probabilità statistica. Ciò non appare invece riscontrabile dagli atti di causa e gli esiti negativi ipotizzati rientrano, come rilevato dalla reclamante, nell’ambito di ciò che potrà o non potrà realizzarsi”.
Il commento
Alla luce del predetto orientamento giurisprudenziale appare chiaro come, nell’attuale assetto normativo, la volontà dei creditori concordatari, espressa mediante l’esercizio del diritto di voto, risulti assolutamente preponderante rispetto ai controlli demandati all’Autorità Giudiziaria, relativamente ai profili di merito e di realizzabilità economica delle operazioni previste dal piano.
I creditori infatti, purché correttamente informati dal debitore ricorrente e dal commissario giudiziale nella propria relazione ex art. 172 l.fall., restano gli unici giudici della convenienza economica della proposta concordataria. Tale giudizio, infatti, può dipendere nella valutazione soggettiva dei singoli creditori anche da ragioni inerenti ai rapporti commerciali nel tempo intercorsi con l’imprenditore insolvente, nella prospettiva di una loro prosecuzione nel tempo.
Il tema che è stato approfondito successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite riguarda in particolare i limiti dell’intervento ufficioso del Tribunale il quale possa quindi sovrapporre il proprio giudizio a quello espresso dai creditori con il voto ed in proposito sono significative le diverse fattispecie esaminate, che bene illustrano il principio secondo cui ciò è ammesso esclusivamente nei casi in cui si ravvisi una “assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole” (Cass. n. 24970/2013; Cass. n. 11497/2014)”.
In particolare, le diverse pronunce hanno fatto riferimento a situazioni che non consentono un controllo di merito, quali ad esempio “l’incapacità della proponente di formalizzare l’acquisto, promessole da terzi, degli immobili su cui si basava il piano concordatario, … la verosimile mancata formalizzazione delle garanzie promesse da terzi, l’inattendibilità della valutazione dei menzionati immobili” (Cass. n. 11497/2014) oppure “a) la mancanza di impegni cogenti da parte delle banche per l’apporto di nuova finanza dopo l’omologazione; b) nel deficit patrimoniale … registrato …, con conseguente totale perdita del capitale in itinere; c) la mancanza di garanzie circa le previste dismissioni di due immobili; d) nella mancanza di copertura del fabbisogno concordatario nel quinquennio 2011-2015 mediante le risorse previste nel piano” (Cass. n. 24970/2013).
Nel caso di specie, invece, i rilievi che avevano indotto il commissario giudiziale ad esprimere valutazioni estremamente prudenziali in merito alla realizzazione dell’attivo – e che la Corte di Appello ha ritenuto precluse all’esame di merito da parte del Tribunale – riguardavano tra altro l’esito di alcuni contenziosi pendenti con l’Agenzia delle Entrate (che aveva visto la società parzialmente vittoriosa in primo grado) e con una società di leasing, oltre ad alcune incertezze in merito alla risoluzione di un contratto preliminare.
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Fabio Marelli, fabio.marelli@advant-nctm.com
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