La clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 9140 depositata il 6 maggio 2016, si e’ pronunciata con riguardo alla validità della clausola “claims made”, enunciando il seguente principio di diritto: “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità; ove congruamente motivata”.
È necessario premettere che le Sezioni Unite, in linea con precedenti pronunce , hanno suddiviso le clausole “claims made” in due macro-categorie: una relativa alle clausole c.d. “pure” ed una relativa alle clausole cd. “miste” o “impure”. Le prime sono destinate alla manleva delle richieste di risarcimento ricevute dall’assicurato per la prima volta durante il periodo di decorrenza della polizza indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito. Le seconde, invece, prevedono l’operatività della copertura assicurativa quando la richiesta di risarcimento sia ricevuta dall’assicurato per la prima volta durante il periodo di decorrenza della polizza, a condizione che i relativi comportamenti colposi dell’assicurato siano intervenuti anch’essi durante il periodo di decorrenza della polizza, o in un limitato periodo di tempo immediatamente precedente la data di inizio di decorrenza della polizza (c.d. periodo di “retroattivita’”).
La Suprema Corte, con la pronuncia a Sezioni Unite, quindi, in adesione al proprio precedente orientamento (cfr. Cass. 7273/2013 e 3622/2014), ha riconosciuto la possibilità di derogare – attraverso la pattuizione claims made, al disposto dell’art. 1917, I comma, c.c. (il quale prevede che “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”) ed ha quindi affermato la piena validità della clausola claims made, superando definitivamente un orientamento della giurisprudenza di merito che riteneva la clausola stessa invalida per violazione dell’art. 1917, dell’art. 2965, ovvero degli artt. 2965, 2932 e 2935 del Codice Civile (cfr. Tribunale di Genova, 8 aprile 2008; Tribunale di Roma sez. XIII, 1 marzo 2006; Tribunale Bologna, 2.10.2002).
Accanto al profilo della validità della clausola claims made, la Suprema Corte ha affrontato anche il tema della sua “vessatorietà”, affermando – diversamente da quanto statuito da buona parte della recente giurisprudenza – che la clausola claims made (inclusa quella “mista”) non possa ritenersi vessatoria.
Per contro, ad avviso della Suprema Corte, la clausola claims made “mista” deve essere scrutinata sotto il profilo della meritevolezza e potrà essere dichiarata nulla ove tale valutazione risultasse essere negativa.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno precisato che “la prospettazione dell’immeritevolezza è, in via di principio, infondata con riferimento alle clausole c.d. pure, che non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito mentre l’esito dello scrutinio è più problematico con riferimento alle clausole cd. impure”. La Cassazione non ha fornito delle direttive precise con riguardo agli indici idonei a dare concretezza al concetto di “immeritevolezza”, ma si è limitata a dichiarare che “qualsivoglia indagine sulla meritevolezza deve essere condotta in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie negoziale di volta in volta alla valutazione dell’interprete”.
Inoltre la Suprema Corte, approfondendo la questione riguardante gli effetti della dedotta nullità, afferma che, nel caso di accertata immeritevolezza della clausola cd. “impura”, si dovrà applicare lo schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurrence. Tale applicazione sarebbe consentita, secondo le Sezioni Unite, dalla previsione di cui all’art. 1419, II comma, c.c. e dal precetto dettato dall’art. 2 della Costituzione “che consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto”. Quindi, la nullità della clausola cd. “mista” non rende il contratto nullo (come in precedenza sostenuto dalla Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 312 del 18 gennaio 2012), ma si limita a trasformare lo schema assicurativo in loss occurrence.
Da ultimo, va ricordato il punto di vista esposto dalla Suprema Corte con riferimento all’impatto della clausola claims made con riguardo all’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile connessa all’esercizio della propria attività professionale. Infatti, argomenta la Suprema Corte,. l’art. 3, comma 5, del D.L. 138 del 2011 prevede l’obbligo per i professionisti di stipulare “idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale”. A riguardo, prosegue la sentenza, “il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura”.”