La Commissione europea semplifica le norme per gli investimenti pubblici nei porti e aeroporti
La Commissione europea ha esteso il campo d’applicazione del Regolamento generale di esenzione per categoria, introducendo una nuova esenzione dall’obbligo di notificare alla Commissione misure di aiuto di Stato per i porti marittimi, per i porti interni e per gli aeroporti. Le condizioni principali di tale esenzione sono le seguenti:
– L’aiuto non può superare una certa soglia assoluta (tra 40 e 150 milioni di euro), a seconda che il progetto riguardi un porto marittimo o un porto interno e se tale porto sia incluso in un corridoio di rete principale nell’ambito del Regolamento TEN-T.
– L’aiuto non deve andare al di là di quanto è necessario per stimolare l’investimento, tenendo conto delle entrate future dell’investimento (vale a dire che gli aiuti possono coprire solo il “gap del finanziamento”).
– Solo una certa percentuale dei costi di investimento può essere oggetto di aiuto (a seconda della dimensione e della natura dell’investimento e se il porto si trova in una regione remota).
– Solo i costi di investimento sono idonei ad essere oggetto di aiuto (ad eccezione dei lavori di dragaggio, per i quali sia i costi di investimento, che di manutenzione possono essere oggetto dell’aiuto).
– Le concessioni a terzi per la costruzione, l’ammodernamento, il funzionamento o il noleggio di infrastrutture portuali sono assegnate su base competitiva, trasparente, non discriminatoria e incondizionata.
Per i piccoli progetti nei porti, il regolamento stabilisce norme più flessibili per gli aiuti agli investimenti.
Si rinvia per un’analisi più dettagliata al prossimo numero della nostra newsletter.
UBER è una piattaforma digitale o un servizio di trasporto?
In data 11 maggio 2017, l’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha reso il proprio parere sul tema. Nonostante il parere non sia vincolante per i giudici, la Corte segue i pareri dell’avvocato generale in più dell’80% dei casi.
L’avvocato generale ritiene che UBER, pur presentando alcuni profili tipici di una piattaforma digitale, sia un’impresa di servizi di trasporto e, in quanto tale, sia soggetta alle regole e ai vincoli sul trasporto. Ne consegue il necessario preventivo ottenimento di autorizzazioni e licenze dai diversi Stati membri. In realtà, dall’inizio del caso, UBER ha modificato le proprie policies e attualmente utilizza solo conducenti dotati di licenza, quindi una sentenza in tal senso potrebbe ritenersi avere un impatto limitato. Tuttavia, la medesima potrebbe – al contrario – avere un impatto a lungo termine, con riferimento alle norme giuslavoristiche o fiscali applicabili a UBER stesso, nonché ai suoi dipendenti/conducenti.
Il caso richiamato ha avuto origine a Barcellona, dove l’associazione dei tassisti locali ha citato UBER, lamentandosi della sua asserita concorrenza sleale in ragione dell’utilizzo di conducenti non autorizzati.
Sono previsti tempi difficili per le esportazioni automobilistiche del Regno Unito?
Una Brexit effettiva significherebbe che le esportazioni automobilistiche dal Regno Unito verso l’UE dovrebbero affrontare una tassazione del 10%. La circostanza, se si considerano i margini molto ristretti del mercato automobilistico attuale, è già di per sé un grosso problema, ma la questione rischia di diventare ancora più complicata. Difatti, se esistesse un accordo di libero scambio tra il Regno Unito e l’UE che rimuovesse detta tassazione, uno dei requisiti sarebbe l’effettiva provenienza dell’auto dal Regno Unito. In altre parole, le automobili dovrebbero avere origine nel Regno Unito. Tuttavia, pare che solo il 41% dei componenti delle singole auto provengano dal Regno Unito, mentre gran parte del resto proviene dal continente. Il Regno Unito, quindi, per aggirare la maggiorazione nella tassazione, dovrà godere, nell’ambito dell’accordo, di regole speciali riguardo all’origine delle vetture.
Si consideri che quanto detto riguarda un solo prodotto e la predisposizione di norme sull’origine delle autovetture sarà già di per sé complessa. Nell’ambito dell’UE, sono circa 40.000 i beni che sono commercializzati tra il Regno Unito e l’UE stessa. Se si dovesse fare un accordo per ciascuno dei 40.000 prodotti anzidetti, i negoziati non saranno brevi.
Brexit e le regioni marittime periferiche
Sapete cosa sia la Brexit. Sapete cosa siano le regioni marittime periferiche e che esse hanno un raggruppamento? Le regioni marittime periferiche consistono in circa 150 regioni localizzate nell’UE, con una popolazione di ben 200 milioni di persone. La loro organizzazione è preoccupata per la Brexit. Prendiamo ad esempio la Normandia: questa regione ha il maggior numero di case secondarie di proprietà britannica e il Regno Unito rappresenta il terzo più grande mercato di esportazione per la Francia settentrionale. Lo stesso può dirsi con riferimento alla maggior parte delle regioni del mare del nord e del canale inglese, così come della regione basca e simili. Le regioni marittime cercano di farsi sentire, ma ad oggi, per come stanno le cose, non c’è molto che possano fare.
Nessun portatile sugli aerei?
È una buona o una cattiva notizia? Gli Stati Uniti hanno vietato i computer portatili su aerei che arrivino nel territorio statunitense e che provengano da 10 aeroporti localizzati negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Il divieto riguarda una serie di compagnie aeree medio-orientali, ma non si applica ancora nei confronti delle compagnie aeree statunitensi. Si vocifera, invece, che esso sarà esteso ad una serie di località di provenienza facenti parte dell’UE.
In merito al divieto sono state poste molte domande: il divieto è emesso avendo riguardo alle compagnie aeree o agli aeroporti di provenienza? E se il problema è l’aeroporto di provenienza, perché viene emesso solo nei confronti di alcune compagnie aeree e non di altre?
Una seconda domanda importante è se il divieto sia efficace: se una bomba può essere nascosta in un computer portatile, non fa molta differenza se questo si trovi nell’area passeggeri o nella stiva.
Detto questo, coloro che volano di frequente potrebbero gradire il divieto: esso renderebbe il tempo speso in aereo un momento in cui non si ha l’obbligo di lavorare e non ci si sente a disagio nel non lavorare; un momento di riflessione, quindi, che vada oltre la scatola del computer portatile.
L’accordo di Singapore ha un impatto importante in ambito marittimo
Chi può decidere e cosa su MARPOL o su Brexit? Normalmente quando gli stati sovrani negoziano e raggiungono un accordo, i medesimi ratificano l’accordo secondo le diverse procedure nazionali. Per il Regno Unito è piuttosto semplice (si pensi che la Scozia, l’Irlanda del Nord e il Galles non hanno alcun diritto di parola, almeno politicamente): il Parlamento di Londra decide. Ma che dire dell’UE? È solo la Commissione che negozia e il Consiglio e il Parlamento che decidono?
Questa è stata la questione che la Corte Suprema dell’Unione Europea si è trovata ad affrontare in merito all’accordo concluso tra l’UE e Singapore.
Come dovrebbe ratificare l’accordo l’UE? A tal proposito, la Corte ha dichiarato che, poiché l’accordo ha avuto un impatto su determinate politiche e diritti di uno degli Stati membri dell’UE, esso dovrebbe essere ratificato non solo dal Consiglio e dal Parlamento (a nome dell’UE), ma anche dai 28 Stati membri. È evidente che ciò rende difficile la ratifica ed espone il Regno Unito a difficili negoziazioni riguardo alla Brexit.
La Spagna può porre un veto su tale accordo nonostante esista un accordo che riguarda Gibilterra?
C’è un aspetto positivo in tutto questo, soprattutto nel settore dei trasporti: la Corte ha fatto i salti mortali per limitare le aree in cui gli Stati membri debbono/possono dare un contributo.
In particolare, la Corte ha dichiarato, diversamente da quanto precedentemente affermato dall’avvocato generale, che i servizi di trasporto rientrano nella competenza esclusiva dell’UE. Questo potrebbe avere un forte impatto sulle modalità con cui l’UE si rapporta con la MARPOL e le diverse agenzie marittime. Talmente forte da imporre una riflessione.
Programma cinese “One Belt One Road“
La Cina ha promesso di investire fino a 1 trilione di Renminbi (n.d.r. la corrente moneta Cinese) nei progetti infrastrutturali per la costruzione della nuova via della seta e l’apertura del percorso ai mercati asiatici, africani ed europei. Si tratta davvero di molti soldi.
Ad ogni modo, la questione non riguarda tanto i progetti che saranno finanziati, ma coloro che intraprenderanno i progetti. In altre parole, il programma è aperto alle imprese non cinesi? A prima vista non parrebbe così. Infatti, la Cina non ha aperto il suo mercato nazionale delle infrastrutture alla concorrenza aderendo all’accordo sugli appalti pubblici dell’OMC, né consente alle imprese estere di concorrere in Cina. Si prevede che queste stesse esclusioni nazionali si applicheranno anche agli investimenti per i progetti One Belt One Road.
Una volta che le rotte saranno tracciate, la questione sarà quale direzione seguirà il mercato. A tal proposito, si prevede che la grande maggioranza del flusso proverrà dalla Cina e sarà diretto verso l’esterno, mentre solo per una minima parte avverrà il contrario. Questo perché la Cina discrimina e chiude il mercato nei confronti dei beni stranieri.
L’iniziativa One Belt One Road può portare immediati vantaggi a livello locale. Occorre però prestare attenzione affinché la valutazione degli interessi locali non faccia perdere di vista interessi più grandi.