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05/08/2020

La conversione del c.d. Decreto Rilancio e la battaglia sull’autoproduzione

Il 17 luglio 2020 il c.d. “Decreto Rilancio” [1] è stato convertito – con modificazioni – in legge [2].

Per quanto concerne la nostra industry, l’attesa per questa legge di conversione è stata contraddistinta – in particolare – da un acceso confronto tra compagnie portuali ed armatori sul tema dell’autoproduzione.

Era ben noto, infatti, come fosse in gioco una significativa modifica dell’art. 16 della L. 84/94 (“Legge Portuale”) diretta – di fatto – a limitare il diritto all’autoproduzione, vincolandone l’esercizio a stringenti condizioni.

Più nel dettaglio, la proposta di modifica era tesa a circoscrivere la possibilità di ricorso all’autoproduzione, per le imprese di navigazione, ai soli in casi in cui le operazioni portuali “non siano risolvibili mediante l’utilizzo di una delle società autorizzate nel medesimo porto ai sensi degli articoli 16 e 17 (della Legge Portuale, n.d.r.)” e comunque previo (i) pagamento di un canone giornaliero (da Euro 1.000, ad Euro 1.500 in base alla stazza della nave) e (ii) deposito di una garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa di importo minimo pari ad Euro 75.000.

Scopo dell’emendamento in parola, come esplicitato nell’annessa relazione illustrativa, era quello di perseguire l’“efficientamento del sistema portuale nazionale” nel rispetto delle “logiche di sicurezza sul e del lavoro”. Ciò attraverso, in pratica, una netta distinzione dei ruoli e dei compiti tra i diversi attori che operano in porto, vale a dire compagnie portuali, marittimi, terminalisti ed armatori.

Nonostante il dichiarato scopo dell’emendamento potesse risultare in fondo legittimo e condivisibile (pur nella sua astrattezza), alla categoria degli armatori non sono certo piaciuti i prospettati vincoli attraverso i quali i promotori di tale emendamento avevano immaginato di raggiungere il citato scopo.

Gli armatori, infatti, hanno letto in questa proposta di modifica dell’art. 16 della Legge Portuale una sostanziale negazione del diritto stesso all’autoproduzione.

Oggi che la legge di conversione del c.d. Decreto Rilancio è stata pubblicata, possiamo vedere in che termini la normativa in materia di autoproduzione sia stata effettivamente modificata e svolgere alcune riflessioni al riguardo.

L’art. 199 bis della Legge 17.7.2020, n. 77 – per quanto rileva ai fini della nostra analisi – ha inserito all’art. 16 della Legge Portuale, in particolare, il comma 4 bis. Tale disposizione stabilisce che – “qualora non sia possibile soddisfare la domanda di svolgimento di operazioni portuali” né tramite le imprese autorizzate ex art. 16 della Legge Portuale né mediante il ricorso alle imprese ex art. 17 della medesima legge – la nave sia autorizzata a svolgere le operazioni in regime di autoproduzione a condizione che, inter alia, “sia stato pagato il corrispettivo e sia stata prestata idonea cauzione”.

Lo stesso art. 199 bis della legge sopra citata prevede che, con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, saranno stabilite le norme di attuazione del summenzionato comma 4bis, “anche relativamente alla determinazione del corrispettivo e della cauzione”.

Nella sostanza, parrebbe quindi legittimo ritenere che siano prevalse le istanze delle compagnie portuali, ma è una vera vittoria o potrebbe definirsi una “vittoria di Pirro”?

Senza volerci posizionare da una parte o dall’altra dello scacchiere, cerchiamo di svolgere un’analisi di carattere giuridico e quindi “neutra” della questione.

Partiamo quindi dal concetto stesso di autoproduzione e dal relativo quadro normativo di riferimento.

L’autoproduzione rappresenta, in pratica, il fenomeno in forza del quale un soggetto si “autoproduce” un determinato servizio (rendendosi, di conseguenza, “indipendente” dall’offerta dei terzi produttori di tale servizio). Il diritto all’autoproduzione è previsto in primis dall’art. 9 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. Legge Antitrust) [3].

La stessa norma appena citata pone anche un limite all’autoproduzione, escludendone la possibilità di esercizio ogniqualvolta sia prevista una riserva per legge per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale.

A livello di operazioni portuali, il diritto all’autoproduzione è richiamato, come abbiamo visto, dall’art. 16 della Legge Portuale, il quale – a propria volta – rimanda poi al Decreto Ministeriale 31 marzo 1995, n. 585, per la disciplina di dettaglio (rispetto alla quale non entriamo qui nel merito per ragioni di sintesi).

Così brevemente inquadrato il contesto normativo, è un fatto che la giurisprudenza abbia definito il diritto all’autoproduzione un “diritto soggettivo, perfetto, esercitabile e tutelabile erga omnes, attributivo di potestà e facoltà liberamente esercitabili dai privati[4].

Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), inoltre, l’esercizio del diritto all’autoproduzione – da un lato – è diretto “a dare titolo immediato e pieno al suo titolare, consentendogli determinate possibilità di comportamenti e di pretese senza di conseguenza consentire condizionamenti di poteri discrezionali” e – dall’altro lato – è “rimesso all’iniziativa del titolare, il quale, se riscontra ritardi ovvero ostacoli, dovrà rivolgersi all’organo giurisdizionale per l’accertamento del suo diritto e la rimozione della intrusione antigiuridica che ne compromette il godimento[5].

In questa prospettiva, appaiono “comprensibili” le rimostranze degli armatori, che hanno visto nella modifica alla disciplina dell’autoproduzione delle operazioni portuali – di fatto – un tentativo di soffocare tale diritto.

La critica ci parrebbe effettivamente legittima, in particolare, nella misura in cui il diritto all’autoproduzione verrebbe in concreto limitato da una norma che lo renderebbe ammissibile solo allorquando il servizio di interesse non possa essere ottenuto altrimenti. In questi termini, infatti, parrebbe venir meno l’essenza stessa del diritto di rendersi indipendenti da soggetti terzi. In pratica, l’armatore non avrebbe il diritto di autoprodursi un determinato servizio “per scelta”, ma soltanto “per necessità”, peraltro dovendo al contempo soddisfare ulteriori condizioni (vedasi “corrispettivo” e “cauzione”).

Sul presupposto che le esigenze di efficienza del sistema e sicurezza sul lavoro fossero già tutelate dalla disciplina previgente, un diritto assoluto ci parrebbe stare stretto all’interno di una cornice come quella sopra descritta.

Con specifico riferimento poi al tema del corrispettivo e della cauzione, è evidente che si tratti di condizioni potenzialmente in grado di incidere sulle effettive possibilità di esercizio del diritto all’autoproduzione, ma crediamo che il grado di effettiva incidenza su tale diritto potrà essere valutato in concreto solo alla luce di quanto verrà previsto al riguardo nei decreti attuativi (leggasi, quantomeno, ammontare dei corrispettivi e della cauzione).

Anche se in questa “battaglia” le compagnie portuali parrebbero aver prevalso sugli armatori, questi ultimi – a nostro parere – potrebbero avere le armi per un possibile (e probabile) contrattacco.

In primo luogo, evidentemente, gli armatori potrebbero intraprendere la strada dei ricorsi – a livello nazionale, ma anche unionale – avverso una disciplina che, per le ragioni brevemente esposte, parrebbe in effetti presentare possibili profili di criticità in punto di diritto (specie alla luce del diritto dell’Unione Europea e, da ultimo, delle norme dettate dal Regolamento n. 352/2017) [6].

È chiaro che una stagione di ricorsi e conflitti non gioverebbe alla nostra industry.

In secondo luogo – e questo è forse l’aspetto più rilevante – viene da immaginare che, per far fronte al restringimento delle condizioni di accesso all’autoproduzione, i terminal portuali riconducibili ad una compagnia armatoriale (sempre più numerosi) si svilupperanno ulteriormente per servire in via autonoma tutte le navi della propria compagnia di riferimento. In termini molto pratici: le compagnie di navigazione si rivolgeranno solo ai “propri” terminal e questi si doteranno del personale e dei mezzi necessari per essere autosufficienti, senza dover ricorrere – ad esempio – ai lavoratori portuali delle imprese ex art. 17 della Legge Portuale.

In questo modo, le esigenze di efficienza e sicurezza sul lavoro verrebbero certamente soddisfatte, ma – per restare nell’esempio – i predetti lavoratori portuali rischierebbero di rimanere tagliati fuori e quindi di non beneficiare, in concreto, delle limitazioni all’autoproduzione poste dalla riforma dell’art. 16 della Legge Portuale.

In conclusione: questa battaglia parrebbe essere stata vinta dalle compagnie portuali, ma la guerra (purtroppo) potrebbe essere ancora lunga.

 

Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare il vostro professionista di riferimento.

 

 

[1] Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
[2] Legge 17.7.2020, n.77 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 18.7.2020, SO n. 25/L.).
[3] Ai sensi dall’art. 9 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287, “La riserva per legge allo Stato ovvero a un ente pubblico del monopolio su un mercato, nonché la riserva per legge ad un’impresa incaricata della gestione di attività di prestazione al pubblico di beni o di servizi contro corrispettivo, non comporta per i terzi il divieto di produzione di tali beni o servizi per uso proprio, della società controllante e delle società controllate. L’autoproduzione non è consentita nei casi in cui in base alle disposizioni che prevedono la riserva risulti che la stessa è stabilita per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale, nonché, salvo concessione, per quanto concerne il settore delle telecomunicazioni”.
[4] Consiglio di Stato, Sez. II, Parere 30 agosto 1996, in Dir. mar., 1998, p. 1127.
[5] Vds. ex multis Provvedimento AGCM n. 52 del 13 marzo 1991, in Boll. n. 2/91.
[6] Questo regolamento è ispirato a principi di apertura e non discriminazione che sembrano andare in una direzione diversa da quella delle modifiche ora apportate all’art. 16 della Legge Portuale.

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