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04/07/2017
Capital Markets

L’equity-crowdfunding in Italia a seguito dell’emanazione del Decreto Legge 24 aprile 2017, n. 50

Con l’emanazione del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (c.d. “Decreto Correttivo”, art. 57, comma 1) è stata estesa a tutte le piccole e medie imprese (PMI)[1] e, conseguentemente, anche alle PMI costituite in forma di s.r.l., la disciplina sull’equity-crowdfunding. Pertanto, indipendentemente dalla forma societaria adottata, tutte le imprese con meno di 250 dipendenti e fatturato annuo non superiore ad Euro 50.000.000 (oppure il cui totale di bilancio non sia superiore ad Euro 43.000.000), potranno far ricorso ed usufruire delle potenzialità concesse dall’equitycrowdfunding, quale canale di finanziamento alternativo a quello bancario.

La disciplina italiana sull’equity-crowdfunding
L’equity-crowdfunding, quale strumento volto a garantire un più facile accesso alla raccolta di capitali da parte di particolari categorie di imprese, è stato introdotto in Italia con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, poi convertito in L. 17 dicembre 2012, n. 221 (c.d. Decreto Crescita 2.0), diventando così il primo paese in Europa ad essersi dotato di una disciplina specifica di settore.

L’equity-crowdfunding, nella versione introdotta dal legislatore italiano, consiste in una forma di investimento di “massa” che si risolve nella sottoscrizione, da parte degli investitori, di una partecipazione al capitale sociale dell’impresa finanziata. A fronte del finanziamento effettuato da ciascun investitore (attraverso la sottoscrizione dei titoli offerti dalle imprese emittenti), si riceve un complesso di diritti patrimoniali e amministrativi derivanti dalla partecipazione nella relativa impresa.

La normativa primaria introdotta sull’equity-crowdfunding è contenuta nelle seguenti disposizioni del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (“TUF”):

  • articolo 50-quinquies, rubricato “Gestione di portali per la raccolta di capitali per le PMI”, che definisce e regolamenta l’attività dei gestori di portali, ossia coloro che esercitano professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali iscritti nel registro appositamente tenuto dalla Consob;
  • articolo 100-ter, rubricato “Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali”, il quale stabilisce che le offerte al pubblico condotte attraverso i portali possono avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi da determinate tipologie di imprese individuate dalla Consob, destinataria altresì della delega a determinare la disciplina applicabile a tale peculiare tipologia di raccolta del capitale di rischio.

La normativa secondaria di attuazione è stata, invece, emanata dalla Consob con la delibera n. 18592 del 26 giugno 2013, con la quale è stato introdotto il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line”.

Con l’emanazione di tale regolamento l’Autorità di Vigilanza ha inteso disciplinare in modo specifico l’attività dei gestori dei portali on-line dedicati alla raccolta di capitale di rischio delle imprese emittenti, introducendo una serie di requisiti di trasparenza e regole di comportamento volte garantire la qualità e l’affidabilità del servizio prestato. La disciplina regolamentare agli stessi applicabile è stata peraltro graduata a seconda che si tratti di:

  • soggetti che hanno ottenuto l’autorizzazione dalla Consob all’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro dei Gestori di Portali di Equity Crowdfunding ai sensi dell’art. 50-quinquies del TUF; ovvero
  • banche o imprese di investimento già autorizzate a fornire servizi di investimento tenuti ad iscriversi in un’apposita sezione speciale di tale registro[2].

È infatti evidente che il successo dell’equity-crowdfunding è strettamente legato alla trasparenza e alla correttezza del comportamento dei gestori dei portali on-line, quali soggetti deputati a rendere disponibili agli investitori le informazioni sulle singole società emittenti e sulle singole offerte tramite la predisposizione di documenti informativi standardizzati di cui il Regolamento fornisce un modello standard (Allegato 3 al suddetto regolamento).

L’evoluzione della disciplina italiana sull’equity-crowdfunding
Per comprende appieno le novità introdotte dal Decreto Correttivo, si noti che l’equity-crowdfunding, nella formulazione originaria del Decreto Crescita 2.0, prevedeva che l’offerta al pubblico di partecipazioni al capitale di rischio di società di capitali, effettuata per il tramite di portali on-line a ciò dedicati, avvenisse esclusivamente in favore delle c.d. start-up innovative, ossia quelle società: (i) aventi quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; e (ii) costituite da non più di sessanta mesi.

La scelta del Legislatore del 2012 di limitare l’ambito di applicazione dell’equity-crowdfunding alle sole start-up innovative, seppur motivata dall’intento di incentivare la creazione di nuove imprese capaci di sfruttare le potenzialità dell’innovazione tecnologica, aveva portato a risultati non soddisfacenti in termini di finanziamenti erogati attraverso questa forma alternativa di finanziamento in quanto le società a cui era rivolta rappresentavano un numero estremamente esiguo rispetto alla ben più ampia categoria delle piccole e medie imprese italiane.

Si era, pertanto, reso necessario un primo intervento correttivo in materia, avvenuto con il D. L. 24 gennaio 2015, n. 3, poi convertito in L. 24 marzo 2015, n. 33 (c.d. Decreto Investment Compact). In particolare, tale ultimo decreto – enfatizzando la rilevanza delle imprese tecnologiche, quali soggetti in grado di accrescere la produttività industriale, la competitività dell’economia domestica, la creazione dell’occupazione – estendeva l’ambito di applicazione soggettivo dell’equity-crowdfunding anche alle c.d. “PMI innovative” (oltre agli OICR che investono in azioni o quote delle predette società e società che investono prevalentemente in start-up e PMI innovative) definite dall’art. 1 comma 5-undecies del TUF, come quelle società di capitali, le cui azioni non sono quotate su un mercato regolamentato e che possiedono: (i) i medesimi requisiti di innovatività previsti per le start-up innovative; oltre a (ii) determinati requisiti dimensionali stabiliti nella Raccomandazione 2003/361/CE.

Il nuovo quadro normativo introdotto con la Legge di stabilità 2017
Con la L. 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di stabilità 2017), il Legislatore italiano, motivato dall’esigenza generale di introdurre nuovi forme di finanziamento alternative a quello bancario e riconoscendo appieno le potenzialità dell’equity-crowdfunding quale canale di finanziamento alternativo in grado di favorire lo sviluppo della piccola e media impresa italiana in quanto tale, ha esteso a tutte le PMI (sostituendo la parola “PMI” alle parole “start-up innovative” e “PMI innovative”), indipendentemente dall’innovatività dell’oggetto sociale, la possibilità di beneficiare dello strumento dell’equity-crowdfunding.

Nonostante quest’ultima modifica legislativa abbia sancito il definitivo cambio di prospettiva del Legislatore italiano – attualmente l’equity-crowdfunding non è più considerato come uno strumento di finanziamento dedicato esclusivamente a progetti imprenditoriali promossi da società “innovative” – nella versione da ultimo modificata, a seguito di un difetto di coordinamento tra i testi di modifica del provvedimento in questione, è stato omesso:

  • di estendere espressamente l’art. 100 ter TUF alle PMI tout court (tale norma individua solo per le start-up innovative e le PMI innovative la possibilità di emettere strumenti finanziari che possono essere oggetto di equity-crowdfunding);
  • di richiamare per le PMI costituite in forma di S.r.l. la deroga al principio di diritto sancito all’art. 2468, comma 1, c.c., impedendo formalmente a quest’ultime di accedere all’equity-crowdfunding.

In assenza di siffatta deroga, la raccolta dei capitali al pubblico risultava concretamente percorribile solo per le start-up innovative, per le PMI innovative e, naturalmente, per le PMI non innovative costituite in forma di s.p.a. Ciò, tuttavia, delimitava l’intento originario del legislatore in quanto non garantiva l’applicazione dell’equity-crowdfunding alle strutture societarie maggiormente diffuse in italia, ossia le s.r.l.

Pertanto, al fine di apportare le dovute integrazioni alla novella del 2016, è intervenuto l’art. 57, comma 1, del Decreto Correttivo che ha modificato l’art. 26 del Decreto Crescita 2.0 sancendo espressamente, in favore di tutte le piccole e medie imprese costituite in forma di s.r.l., la previsione di una deroga all’art. 2468 c.c.

A ben vedere, siffatto emendamento in favore delle PMI costituite in forma di s.r.l. e che intendono fare ricorso all’equity-crowdfunding ha realizzato un notevole avvicinamento di tali figure societarie (s.r.l.) rispetto a quelle costituite in forma di s.p.a. per quanto riguarda la facoltà di rivolgersi al pubblico per l’eterofinanziamento della propria attività imprenditoriale caratteristica.

Né può, d’altronde, sottacersi che, con la manovra correttiva da ultimo introdotta, il Legislatore italiano ha realizzato una frammentazione nella disciplina societaria della s.r.l., introducendo una sorta di duplice binario normativo tra s.r.l. rientranti nella definizione di PMI e s.r.l. di grandi dimensioni non rientranti nella nozione di PMI (ovvero s.r.l. con più di 250 dipendenti), cui continuerà a trovare applicazione – un po’ paradossalmente – il divieto di cui all’art. 2468 c.c.

 

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[1] I requisiti dimensionali per ricadere nella definizione di PMI sono dettati dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 124 del 20 maggio 2003, pag. 36) che costituisce l’unico riferimento autentico per determinare le condizioni relative a tale qualifica. Il legislatore nazionale ha recepito il contenuto di tale raccomandazione con il Decreto Ministeriale 18 aprile 2005.

[2] Con riferimento a questi ultimi soggetti si precisa che il regolamento emanato dalla Consob non introduce ulteriori regole di comportamento rispetto a quelle già previste nel TUF (e nel Regolamento Intermediari), essendo la normativa di settore agli stessi applicabile già esaustiva sotto tale profilo.

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