Novità sull’IRESA: la tassa sul rumore negli aereporti italiani
Le tematiche ambientali connesse alla presenza di un aeroporto in un determinato territorio sono spesso sotto i riflettori data la loro rilevanza e le molteplici ripercussioni per l’ecosistema e la popolazione.
L’entità del rumore generato dagli aeromobili dipende da diversi fattori, tra i quali l’architettura dello spazio aereo (le rotte di ingresso e uscita che servono uno specifico aeroporto), le procedure operative adottate nel percorrere la rotta assegnata, le emissioni degli aerei, la prova dei motori, nonché il disturbo prodotto dai mezzi di collegamento e dal traffico stradale indotto.
In Italia, la materia è regolamentata da numerosi decreti che definiscono le seguenti linee di azione principali:
- caratterizzazione delle aree circostanti l’aeroporto mediante la definizione di 3 zone, definite come A, B e C, a cui corrispondono specifiche limitazioni nella destinazione d’uso delle stesse;
- definizione dei limiti di rumore da rispettare dall’infrastruttura in ciascuna zona;
- applicazione di una specifica metodologia di misura del rumore prodotto dal trasporto aereo;
- definizione, per ciascun aeroporto, di procedure antirumore che devono essere rispettate dai velivoli in fase di atterraggio e decollo e nelle operazioni a terra;
- obbligo di realizzare e gestire un sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale al fine di garantire il rispetto dei limiti;
- limitazione del traffico aereo nel periodo notturno;
- obbligo di adozione di misure di risanamento.
In tale contesto, deve essere inquadrata l’imposta regionale sulle emissioni sonore aeree, la cosiddetta IRESA.
Si tratta sostanzialmente di un tributo di scopo, istituito a decorrere dal 2001, che ha come obiettivo la riduzione dell’inquinamento acustico nelle aree limitrofe agli aeroporti.
L’imposta viene applicata a carico delle aviolinee che effettuano decolli e atterraggi negli aeroporti civili ubicati in ambito regionale.
La base imponibile è determinata in ragione del numero di atterraggi e decolli, del peso del velivolo, della rumorosità dell’aeromobile, nel rispetto delle norme internazionali sulla certificazione acustica. Il presupposto dell’imposta viene identificato nell’emissione sonora dell’aeromobile la cui maggiore o minore intensità incide sulla determinazione dell’imposta stessa.
L’importo dovuto è calcolato per tonnellate in base ai decolli e agli atterraggi effettuati nel trimestre. Il gettito di questa imposta è – o dovrebbe essere – espressamente destinato al completamento dei sistemi di monitoraggio capillare del rumore e disinquinamento acustico, al miglioramento generale della vivibilità dei territori coinvolti dalle attività aeroportuali e all’eventuale indennizzo dei soggetti danneggiati dalle emissioni sonore prodotte dall’atterraggio e dal decollo degli aeromobili.
Di recente l’IRESA è tornata a far parlare di sé per effetto di una decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma del 16 dicembre 2016 (Sez. I, Sent. n. 28862) pronunciata a seguito dell’impugnazione presentata da un operatore aereo privato.
In particolare, la Commissione ha rilevato come la legge della Regione Lazio n. 2/2013 – che ha introdotto l’IRESA nel relativo territorio – sia in manifesta violazione della legge nazionale n. 342/2000 e del D. lgs. n. 13/2005 attuativo della direttiva europea n. 30/2002 (CE).
Precisamente, nell’ambito delle disposizioni nazionali e comunitarie richiamate, si prevede che gli introiti dell’imposta siano assegnati alla gestione e alla riduzione dei costi sociali derivanti dalle emissioni acustiche dell’aria (ad esempio, sistemi di monitoraggio dell’aeroporto). Nonostante ciò, i giudici tributari hanno rilevato come la Regione Lazio, ritenendo l’imposta priva di vincoli di destinazione, abbia prevalentemente utilizzato gli introiti della suddetta imposta per i propri bisogni finanziari generali e non per gli scopi in relazione ai quali è stata introdotta. Infatti, soltanto il 10% del gettito derivante dalla riscossione dell’IRESA è stato destinato agli scopi ambientali e sociali stabiliti a livello nazionale ed europeo.
Ciò in quanto l’imposta, seppur regionale, costituisce una forma di imposizione introdotta dalla legislazione nazionale e comunitaria, di cui si devono continuare ad osservare e perseguire finalità e scopi.
La Commissione Tributaria, preso atto che la Regione Lazio ha disatteso detti principi e finalità, ha pertanto concluso per la disapplicazione dell’imposta e l’annullamento degli avvisi di liquidazione impugnati.
In ragione di ciò, appare evidente come detta pronuncia dia la possibilità a tutte le compagnie aeree operanti nel territorio laziale di attivarsi per ottenere un provvedimento di disapplicazione dell’imposta nei propri confronti.
La Regione Lazio, pertanto, se l’orientamento della Commissione Tributaria di Roma dovesse essere confermato, dovrà seriamente riprogrammare le proprie politiche di bilancio, solo considerando che, dal 2013 ad oggi, il 90% dei proventi di detta tassa è stato destinato ad altri scopi, tra i quali il Servizio Sanitario Regionale. E se si pensa che il gettito atteso di detta imposta per il Lazio era stato quantificato in euro 55 milioni a partire dal 2014, il conto è presto fatto.
Lo stesso dicasi per le altre regioni che, avendo istituito detta tassa, hanno però agito ritenendosi svincolate da qualsiasi obbligo di destinazione del gettito derivante dall’imposta.