Sull’autonomia funzionale del ramo di azienda oggetto di cessione
Il ramo d’azienda, secondo la Corte di Cassazione, è un’entità economica che deve avere una propria identità̀ prima della cessione e deve mantenere tale identità anche dopo la cessione. La finalità è quella di tutelare i lavoratori in situazioni di trasferimento, evitando che forme di espulsione di frazioni dell’azienda create ad hoc in occasione del trasferimento stesso possano configurare una cessione ai sensi dell’art. 2112 c.c..
– Cass., Sez. Lav., n. 1316 del 19 gennaio 2017
Il caso oggetto della pronuncia
La pronuncia in commento riguarda una cessione di ramo d’azienda avente ad oggetto una parte dell’attività di assistenza clienti effettuata tramite call center da parte di una grande società di telecomunicazioni. La predetta operazione veniva qualificata dai giudici di prime e seconde cure come trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.[1] in quanto, a detta dei magistrati, l’attività di call center ceduta era già svolta dal cedente in forma funzionalmente autonoma e debitamente strutturata e il ramo d’azienda ceduto costituiva pertanto un insieme di elementi patrimoniali e personali idonei al raggiungimento di un fine economico-produttivo.
Proponevano, dunque, ricorso alla Corte di Cassazione i dipendenti ceduti, contestando che l’operazione costituisse un trasferimento di ramo d’azienda (il che priverebbe così di giustificazione il trasferimento dei dipendenti) e lamentando, inter alia, (i) l’insussistenza di una unitaria entità economica in ragione del fatto che l’attività di assistenza clienti veniva eseguita in vari siti dislocati in tutta Italia; (ii) la mancata cessione dei beni materiali essenziali ed indispensabili ai fini dello svolgimento dell’attività in oggetto, non consentendo così di individuare un’entità capace di dare vita ad un ciclo produttivo completo; (iii) l’insussistenza di autonomia operativa in capo agli addetti alla attività di assistenza clienti la quale implicava il necessario intervento ed interazione con personale esterno ai fini dell’espletamento dell’attività.
Il principio ribadito dalla Suprema Corte
La Corte di Cassazione, dopo aver rammentato l’orientamento prevalente di legittimità, espresso da ultimo con sentenza n. 10542 del 25 febbraio 2016, ha riformato la sentenza della Corte di Appello. Secondo tale orientamento costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall’art. 2112 c.c. l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ossia la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente rispetto al cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione. L’analisi circa la validità dell’operazione, quindi, non deve basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto di servizi che vengano stipulati tra le parti, ma all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto.
Come anticipato, il ramo d’azienda, secondo la Corte, è un’entità economica che deve avere una propria identità̀ prima della cessione e deve mantenere tale identità anche dopo la cessione. La finalità del principio è quella di tutelare i lavoratori in situazioni di trasferimento e mira ad escludere che forme di espulsione di frazioni dell’azienda, create ad hoc in occasione del trasferimento stesso, possano comportare in via automatica il trasferimento dei relativi rapporti di lavoro in capo al cessionario, senza il preventivo consenso dei dipendenti titolari dei detti rapporti.
Nel caso di specie, unitamente al contratto di cessione, veniva sottoscritto un contratto di appalto di durata quinquennale, con cui il cedente affidava al cessionario la fornitura a proprio favore dei servizi customer care per la propria clientela “Non Top”. La Corte ha, dunque, rilevato una mancanza di unitarietà nel trasferimento in ragione della circostanza che i lavoratori addetti a un determinato insieme di clientela (quella “Top”), e la parte di servizio assistenza clienti ad essi relativo, non fossero rientrati nella cessione.
Inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato come nel caso in esame la componente dei beni materiali e dei lavoratori sia stata significativamente smembrata, poiché beni essenziali ed indispensabili, quali i sistemi applicativi ed informatici (ad esempio, data base e i programmi software necessari per gestirli), erano rimasti nella proprietà del cedente e venivano contestualmente concessi in uso al cessionario.
La Suprema Corte ha valorizzato altresì la circostanza per la quale i lavoratori non godessero di autonomia nella organizzazione del lavoro, atteso che tutte le procedure operative erano determinate a livello centrale, così come gli obiettivi da raggiungere, l’autorizzazione di spese per trasferte e rimborsi, nonché le regole comportamentali di base nei rapporti con i clienti. Risulta quindi evidente che, a maggior ragione, di una tale autonomia i lavoratori non avrebbero certo potuto godere una volta trasferiti solo parzialmente (in ragione del distinguo clientela Top/Non Top di cui si è detto poc’anzi) e in assenza di mezzi materiali adeguati.
All’esito delle risultanze istruttorie, la Corte di legittimità ha ritenuto dunque che le circostanze descritte costituissero sintomi del fatto che la struttura produttiva oggetto dell’operazione era stata creata ad hoc in occasione del trasferimento e che quindi l’operazione non poteva essere considerata una cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c.. Mancavano, infatti, l’autonomia e l’autosufficienza dell’articolazione aziendale trasferita, come evidenziato dal necessario utilizzo – per la realizzazione dell’attività ceduta – dei programmi informatici necessari ai fini dell’espletamento del servizio rimasti in proprietà esclusiva dell’impresa cedente. Le doglianze presentate dai dipendenti ceduti erano quindi fondate e la Corte ha cassato la decisione del giudice di seconde cure, considerando che l’operazione in questione fosse una mera esternalizzazione di reparti o uffici, di articolazioni non autonome, e i rapporti di lavoro non fossero inerenti a un ramo d’azienda già costituito.
Essendo una valutazione di legittimità, la sentenza non è potuta intervenire direttamente sulla ricostituzione del rapporto in capo alla cedente; pertanto, la Corte di Appello – a cui la Corte di Cassazione ha rinviato – sarà chiamata, in applicazione del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione a rivalutare le risultanze in merito e statuire, se del caso, l’obbligo della cedente di ricostituire i rapporti di lavoro con i dipendenti i cui contratti furono, a suo tempo, ceduti.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare il vostro professionista di riferimento ovvero di scrivere al seguente indirizzo: corporate.commercial@advant-nctm.com
[1] Ai fini dell’art. 2112 c.c. si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato (ivi inclusi l’usufrutto o l’affitto di azienda). Quanto disposto dall’art. 2112 c.c. si applica altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
In particolare, laddove l’operazione posta in essere sia inquadrabile come trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., è previsto che il rapporto di lavoro continui con il cessionario, senza necessità di un preventivo consenso da parte del lavoratore, il quale conserva tutti i diritti che derivano dal rapporto precedente. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.