Terminal portuali in italia: come si applica l’art. 18, VII comma, della legge portuale dopo la riforma del 2016?
Fin dalla sua promulgazione, la Legge italiana n. 84/94 di “Riordino della legislazione in materia portuale” (la c.d. legge portuale) ha inteso affermare il principio di libera concorrenza tra gli operatori portuali prevedendo il divieto – per le imprese concessionarie di aree demaniali – di richiedere ed ottenere in concessione altre aree dello stesso compendio portuale al fine di esercitarvi la medesima attività svolta nell’area già assentita in concessione[1].
La ratio di tale previsione è facilmente rinvenibile nella relazione accompagnatoria alla prima versione della legge portuale e si sostanzia(va) nella necessità che i porti fossero sempre aperti a più imprese, le quali dovevano operare in un regime di piena concorrenza e di progressivo aumento di qualità ed innovazione dei servizi portuali. Infatti, ad avviso del legislatore, “solo attraverso il confronto continuo e la competizione si può realizzare una politica portuale mirata a contenere i costi ed a fornire, nel contempo, servizi sempre più articolati e completi”[2].
L’articolo 18 della legge portuale italiana è stato oggetto di molteplici pronunce – in particolare dei TAR[3] e dell’AGCOM[4] – le quali, in diversi casi e con specifico riferimento alla normativa anti – trust dettata dall’Unione Europea, hanno fornito un’interpretazione del divieto ancora più restrittiva di quella mutuabile dal tenore letterale della norma italiana.
Così, ancora nel 2002, il TAR della Regione Puglia[5] ha ritenuto non conforme ai principi comunitari l’assetto delle concessioni demaniali in essere, al tempo, nel porto di Brindisi. Infatti, ad avviso del giudice amministrativo, l’ente competente per il rilascio delle dette concessioni non doveva limitarsi a garantire la presenza di più imprese autorizzate all’esercizio di operazioni portuali specializzate nella movimentazione di specifiche e differenti categorie merceologiche ma – tenuta in debito conto la grandezza e la capacità di traffico del porto stesso – doveva garantire la compresenza di più imprese che trattassero la medesima categoria merceologica in modo tale che le stesse operassero in concorrenza tra loro.
Questa, quindi, l’interpretazione e l’applicazione “storica” del divieto di doppia concessione ai fini dell’esercizio di medesima attività nello stesso porto.
La ratio di una previsione così stringente, nonché di una interpretazione giurisprudenziale parimenti restrittiva e fortemente connessa al dettato normativo europeo in materia di concorrenza, trovava il suo fondamento laddove il parametro di riferimento per l’applicazione del divieto era il singolo porto con la sua operatività e capacità di traffico.
Quello su cui ci si interroga qui è quale possa essere l’ambito applicativo della norma in questione (l’art. 18, VII comma, della legge portuale) qualora lo scenario venga a mutare. La riforma della Legge n. 84/94 intervenuta nel 2016[6], infatti, ha mutato il sistema previgente.
Cinquantasette porti di rilevanza nazionale sono stati riorganizzati e, per così dire, accorpati, nelle nuove, quindici, Autorità di Sistema Portuale, centri decisionali strategici con sedi nelle realtà maggiori, ovvero nei porti definiti “core” dalla Unione Europea[7].
La razionalizzazione voluta dalla riforma comporta, quindi, che il divieto di doppia concessione per esercizio di medesima attività nello stesso porto debba ora essere riesaminato alla luce del nuovo assetto, dove un “sistema” è composto da due porti.
Ed è allora lecito domandarsi se – ai fini dell’applicazione del divieto in parola – i porti appartenenti ad un sistema saranno ancora considerati come due entità separate o se l’operatore portuale potrà vedersi rifiutato l’assentimento di una concessione nel porto che oggi è entrato a far parte dello stesso sistema di quello in cui l’operatore ha ottenuto la prima concessione.
In altre parole – e nel silenzio della riforma della legge portuale– si può immaginare una estensione spaziale del divieto posto dalla norma in commento?
Se questa fosse una delle possibili interpretazioni della norma, infatti, il terminalista si potrebbe trovare a non poter svolgere la propria attività anche in un secondo porto che – fino a poco tempo prima – veniva considerato un mercato commerciale e concorrenziale separato e distinto.
Un indizio circa l’orientamento interpretativo che andrà a formarsi sull’ambito di applicazione dell’articolo 18, co. VII, potrebbe derivarsi dalle più recenti pronunce giurisprudenziali e dai più recenti provvedimenti amministrativi in merito, i quali sembrano rispecchiare una visione più concreta e funzionale del sistema delle concessioni portuali e, quindi, del divieto di doppia concessione per esercizio di medesima attività nello stesso porto.
Partendo dal presupposto che la concessione debba essere considerata un contratto e come tale risponda “ad un modello funzionale, tale da consentire di perseguire, con l’assenso dell’operatore economico, interessi altrimenti non raggiungibili con l’esercizio del solo potere autoritativo”, il TAR Liguria[8] ha cominciato ad attenuare la rigida interpretazione dell’articolo 18, VII comma, della legge portuale anche in relazione alla tutela del diritto alla concorrenza.
Il giudice amministrativo ligure ha, innanzitutto, affermato il potere delle Autorità Portuali di verificare caso per caso la sussistenza o meno di situazioni potenzialmente lesive del divieto di doppia concessione per esercizio di medesima attività nello stesso porto – e, quindi, di possibile compromissione della libera concorrenza – ed ha poi precisato che “la limitatezza degli spazi, unitamente alle esigenze di specializzazione dei singoli terminal, possono rendere assai complessa, – e probabilmente neppure opportuna (…) la presenza nello stesso porto di più concessionari svolgenti la medesima attività in effettiva concorrenza tra loro”.
Sul punto è intervenuta anche l’Autorità Portuale di Livorno[9], che ha affermato che “non è illegittima una limitatamente elastica applicazione delle norme (consentendo, ad esempio, che un terminalista possa operare al di fuori della propria concessione) purché siano assicurati i princìpi fondamentali di trasparenza, parità di trattamento e tutela della concorrenza evitando abusi di posizione dominante”.
Ad oggi sembra, quindi, vi sia una maggior apertura delle autorità competenti circa l’interpretazione della norma in esame, la cui applicazione – pur senza prescindere dal rispetto dei principi fondamentali posti a tutela della concorrenza ed a prevenzione di abusi – dovrebbe tenere in debito conto la natura contrattuale e collaborativa del rapporto concessorio, volta alla miglior attrazione dei traffici.
Di conseguenza, un’interpretazione del divieto di cui all’art. 18, VII comma, della legge portuale che trovi applicazione anche rispetto a due porti distinti – benché parte di un unico sistema – potrebbe apparire come un passo indietro rispetto ad una interpretazione che – senza timore – può dirsi più moderna di quella voluta dal legislatore del 1994.
In questo nuovo scenario si può quindi auspicare che l’interpretazione del divieto di cui al comma VII dell’art. 18 della legge portuale – cui le autorità giurisdizionali ed amministrative competenti saranno verosimilmente chiamate nell’immediato futuro – si evolva verso il consolidamento del nuovo orientamento più concreto e funzionale che, d’altra parte, risponde agli obiettivi di sviluppo e potenziamento dei porti italiani cui si ispira espressamente la riforma del 2016 della legge portuale.
[1] Ai sensi dell’art. 16 della medesima legge, si intendono operatori portuali quei soggetti che esercitano attività di il carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci ej di ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale.
[2] Vds. testo integrale sulla pagina web http://www.governo.it/sites/governo.it/files/relazione_illustrativa_11.pdf
[3] Segnalazione AS 230 del 8.11.2001 (in Boll. 6/2002).
[4] A titolo esemplificativo: TAR Puglia Lecce, sez. I, 24 gennaio 2002, n. 184 e Tar Catania, III, n. 2111, 11.08.2004.
[5] Sentenza del Tar Puglia 24.01.2002, n. 184.
[6] Decreto Legislativo 169 del 4 agosto 2016 intitolato “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità Portuali di cui alla Legge 28 gennaio 1994”.
[7] Le Autorità di sistema portuale sono relative agli ambiti: Mar Ligure Occidentale, Mar Ligure Orientale, Mar Tirreno Settentrionale, Mar Tirreno Centro-Settentrionale, Mar Tirreno Centrale, Mar Tirreno Meridionale Jonio e dello Stretto, Mare di Sardegna, Mare di Sicilia Occidentale, Mare di Sicilia Orientale, Mare Adriatico Meridionale, Mar Jonio, Mare Adriatico Centrale, Mar Adriatico Centro Settentrionale, Mare Adriatico Settentrionale, Mare Adriatico Orientale.
[8] TAR Liguria, sentenza 747/2012.
[9] Circolare 1/2012 del 17.7.2012.