Rassegna Stampa
27/09/2019
MF

Sech e Vte unite contro i carrier

Fusione tra i due Terminal Container genovesi per fronteggiare i maxi-gruppi

I due operatori puntano a migliorare i servizi e a concentrare l’offerta. Sull’operazione pendono però la decisione dell’ Antitrust e la norma che vieta di avere due concessioni nello stesso scalo 

Il mondo del terminalismo portuale in Italia prova a reagire al progressivo consolidamento dei vettori marittimi e degli spedizionieri con alleanze che si traducono in acquisizioni orizzontali. Il fondo sovrano di Singapore (Temasek), che in Italia controlla da un paio di decenni Voltri Terminal Europa, società che gestisce il più importante terminal container nazionale a Genova Pra e un altro a Marghera (Vecon), ha infatti deciso di unire le forze con gruppo Investimenti Portuali, holding concorrente in mano ai fondi Infracapital (52,5%), Infravia (42,5%) e alla Investimenti di Giulio Schenone (5%). Quest’ultima a sua volta controlla il terminal Sech del capoluogo ligure e il Terminal Darsena Toscana di Livorno. Secondo quanto comunicato ai dipendenti «Gip e Psa creeranno una società a maggioranza Psa che controllerà i due terminal Sech e Vte i quali però continueranno ad avere vite finanziarie, operative e organizzative autonome. La nuova gestione dovrebbe portare a servizi sinergici e quindi a un miglioramento dei servizi offerti ai clienti di entrambe le società terminalistiche». I due terminal si presenteranno come gruppo unico, una sorta di “sistema portuale Genova”, al fine di fronteggiare lo strapotere delle compagnie di navigazione (una dozzina le principali) a loro volta consorziate in tre grandi alleanze e spesso controllanti dirette dei terminal portuali. L’affare non riguarda il porto di Livorno (dove Gip controlla il 100% del Terminal Darsena Toscana) ma indirettamente quello di Marghera perché il terminal Vecon è controllato da Vte. Il nuovo accordo, ora al giudizio della locale port authority e della presidenza del Consiglio dei ministri, è un’evoluzione dello status quo perché già dal 2008 i due terminal container del porto di Genova hanno partecipazioni incrociate: Vte detiene il 40% di Seber (sub-holding di Gip che controlla il terminal Sech), mentre Gip ha il 35% di Voltri Terminal Europa. Il fratello ricco fra i due è il terminal container di Genova Prà (Vte) che anche l’anno scorso ha distribuito 34 milioni di dividendi con 34,7 milioni di utile netto e 170 di fatturato.

Il terminal di Calata Sanità ha invece chiuso il 2018 con 831 mila euro di rosso e fatturato di 34 milioni, dopo il mezzo milione di perdita del 2017, tanto che nell’ultimo bilancio la controllante Gip ha svalutato di 6,6 milioni il suo 60%. Finora l’ingresso nel business dei terminal container italiani (avvenuto nel 2017) ha dato soddisfazioni ai fondi Infravia e Infracapital. Gruppo Investimenti Portuali aveva chiuso il 2017 con 23,5 milioni di utile, diventati però 4,2 milioni di perdita nel 2018 a causa sia di minori dividendi dalle controllate e collegate sia di maggiori oneri per finanziamenti nei confronti dei maggiori azionisti (Infravia e Infracapital). L’unione fra terminal container sotto la Lanterna potrebbe innescare critiche da parte dei vettori marittimi che temono una concentrazione di mercato nel principale scalo container d’Italia. In attesa di capire se l’Antitrust vorrà dire la sua, l’operazione dovrà superare anche l’ostacolo rappresentato dall’articolo 18, comma VII della legge n.84 del 1994 che vieta a un terminalista di avere in concessione «altre aree dello stesso compendio portuale al fine di esercitarvi la medesima attività svolta nell’area già assentita in concessione». Dunque nessuno potrebbe avere la maggioranza di due terminal che fanno la stessa attività nel medesimo scalo. Il condizionale è d’obbligo perché la norma è stata talvolta aggirata in passato ma, a favore di Sech e Vte, oltre all’approvazione dell’Antitrust già incassata nel 2008 ai tempi del primo scambio di quote di minoranza tra i due terminal genovesi, di recente la giurisprudenza sembra essersi orientata verso un’interpretazione meno restrittiva della norma. In un parere dello studio Nctm (tra i più attivi nel diritto marittimo-portuale in Italia), a proposito dell’articolo 18, comma VII, si legge che «si tratterebbe di una norma che può essere amministrata dalle AdSP nella prospettiva di assicurare la concorrenza all’interno di un porto (posto che è appunto la concorrenza il bene che la norma vuole garantire), nell’ambito però di uno scenario sempre rivolto verso l’incremento dei traffici e la produttività del porto». Se questo è l’orientamento giurisprudenziale, spetterà all’Autorità di Sistema Portuale di Genova e Savona stabilire se un eventuale rischio di concentrazione fra terminal container sia utile per incrementare il traffico di merci per lo scalo. Ipotizzando il via libera all’operazione, il duo Vte-Sech domani si troverebbe a competere con il nuovo terminal container di Vado Ligure (controllato da Maersk e Cosco), a Genova con quello di Calata Bettolo (Msc) e con il Genoa Port Terminal (Spinelli e Icon Infrastructure), con il La Spezia Container Terminal (Contship Italia e Msc), con il Terminal Darsena Toscana (Gip) e il Terminal Lorenzini (50% Msc) a Livorno. Sul mercato contendibile del Nord Italia poi, oltre ai container che passano dai porti del Nord Europa, ecco gli altri concorrenti: Ravenna Container Terminal (Contship), Vecon (Vte) e Terminal Intermodale di Venezia (50% Msc), Trieste Marine Terminal a Trieste (50% Msc). I porti di Genova e La Spezia in termini di movimentazione di container pesano per oltre il 50% sul totale nazionale, transhipment escluso.

 

Tratto da MF

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