Il processo di irreversibile concentrazione delle imprese operanti nel settore portuale italiano, tradizionalmente parcellizzato in una moltitudine di piccole e medie imprese, ripropone la vexata questio dell’applicazione del divieto, per un operatore, di detenere il controllo di più di un terminal nello stesso porto.
L’art. 18, comma 7 della Legge n. 84/1994, infatti, prevede che “In ciascun porto l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l’attività per la quale ha ottenuto la concessione, non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale […]”.
Ci si chiede se la circostanza che due concessioni vengano assentite a due soggetti giuridici distinti, ancorché collegati, sia sufficiente ad escludere l’applicabilità dell’art. 18, co. 7 della Legge n. 84/1994.
Per rispondere a tale quesito si deve preliminarmente comprendere cosa si intenda per società collegate. Dall’analisi della giurisprudenza amministrativa, emerge che quel che rileva – come affermato dal Consiglio di Stato[1] – non è solo il collegamento così come definito dall’art. 2359, co. 4 cod. civ.[2], ma il collegamento sostanziale che vi può essere tra due società. Vi è un collegamento sostanziale quando due società sono riconducibili ad un unico centro di interesse, fatto che può causare, soprattutto in caso di partecipazione a bandi gara, la violazione dei principi di par condicio e trasparenza.
Partendo da tale presupposto, che pur riferito all’ambito delle gare può essere applicato per analogia anche all’assentimento delle concessioni, si evidenzia come l’art. 18, co. 7 della L. 84/1994, avendo quale sua ratio quella di tutelare la concorrenza, sarebbe teso ad evitare eccessive concentrazioni che potrebbero derivare dall’attività di un singolo soggetto che operi tramite diverse società collegate, tutte considerabili formalmente soggetti giuridici distinti.
In tal modo la norma vorrebbe evitare che un soggetto “chiuda” il mercato, accaparrandosi tutta l’offerta dei servizi in un determinato ambito territoriale.
Dall’analisi della giurisprudenza relativa nello specifico all’art. 18, co. 7, L. 84/1994, si evince come -nel tempo - vi sia stata un’evoluzione nell’interpretazione di detta norma: dapprima restrittiva e, successivamente, più aperta.
Si deve infatti, innanzitutto, considerare che l’attività dell’Autorità di Sistema Portuale dovrebbe essere finalizzata ad assicurare “l'incremento dei traffici e la produttività del porto” (TAR Liguria, sez. II, 24 maggio 2012, n. 747).
Nello svolgere le proprie attività e nel concedere l’accesso alle concessioni demaniali marittime, l’Autorità di Sistema Portuale, come affermato dal TAR Liguria, dovrebbe poi garantire il “rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti”[3].
In particolare, degna di nota è l’ordinanza del Tribunale di Genova del 18 settembre 2009, relativa ad un caso dove era in discussione l’eventuale applicazione del divieto di cui all’art. 18, comma 7, della Legge 28 gennaio 1994, n. 84. In tale circostanza, il Tribunale ha affermato che l’art. 18, comma 7, della Legge 84/94 non rappresenta una norma primaria ed inderogabile del nostro ordinamento, bensì “una norma rivolta alle autorità amministrative e che attiene alle condizioni richieste per il rilascio ed il mantenimento delle concessioni portuali”.
In altre parole, si tratterebbe di una norma che può essere “amministrata” dalle AdSP nella prospettiva di assicurare la concorrenza all’interno di un porto (posto che è appunto la concorrenza il “bene” che tale norma vuole garantire), nell’ambito però di uno scenario sempre rivolto - come detto -verso “l’incremento dei traffici e la produttività del porto”, come prevede l’art. 18, comma 6, della legge portuale.
Per ciò che riguarda poi il potere delle Autorità Portuali di verificare caso per caso le situazioni alla luce dell’art. 18, comma 7, la sentenza n. 747/2012 del TAR Liguria ha precisato che “nella realtà, la più avanzata dottrina, ha sottolineato che la limitatezza degli spazi, unitamente alle esigenze di specializzazione dei singoli terminals, possono rendere assai complessa […] la presenza nello stesso porto di più concessionari svolgenti la medesima attività in effettiva concorrenza tra loro. Se n’è tratta la condivisibile conclusione che la norma mira a prevenire la concentrazione in capo ad un medesimo imprenditore della disponibilità degli spazi eccessivamente ampi in ambito portuale dichiarando l’illegittimità della costruzione o del rafforzamento della posizione dominante ritenuta dal legislatore naturalmente idonea ad ingenerare pratiche anticoncorrenziali, prescindendo dall’accertamento dell’avvenuta realizzazione delle pratiche abusive”.
Una circolare emessa dall’Autorità Portuale di Livorno[4] ha affermato – anche a seguito dell’emanazione della sentenza di cui al punto che precede – che “non è illegittima una limitatamente elastica applicazione delle norme … purché siano assicurati i principi fondamentali di trasparenza, parità di trattamento e tutela della concorrenza evitando abusi di posizione dominante”.
Peraltro, poi, secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato[5] il divieto di cui all’art. 18, co. 7 della Legge n. 84/1994 sarebbe limitato all’assentimento di nuove concessioni e non si estenderebbe quindi anche all’ampliamento di quelle già esistenti.
Infine, un’interpretazione estensiva pare essere quella da prediligere anche alla luce della recente riforma della legge portuale italiana che ha portato alla riunione di più porti sotto il controllo di un’unica Autorità di Sistema Portuale. Un’interpretazione restrittiva, infatti, vieterebbe a un operatore terminalista di operare – ad esempio – contemporaneamente sia nel porto di Genova sia nel porto di Savona, in quanto facenti parte della medesima Autorità di Sistema Portuale.
Dalla disamina delle pronunce giurisprudenziali sopra evidenziate parrebbe quindi emergere come la ratio della norma in esame sia quella di tutelare la concorrenza e la parità di trattamento all’interno di un determinato porto e quindi, una volta rispettati tali principi e preservati i livelli di concorrenza escludendo eventuali abusi, sia in effetti possibile superare la limitazione posta dall’articolo 18, comma 7, della Legge 84/1994.
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[1] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18 luglio 2012, n. 4189 «fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche per collegamento tra imprese devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi previste dall’art. 2359 c.c., anche quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla procedura ad un unico centro decisionale, causano o possano causare la vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, delle offerte e trasparenza della competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento».
[2] Art. 2359, co. 4 c.c. «Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati».
[3] cfr. TAR Liguria, sez. II, 24 maggio 2012, n. 747.
[4] n. 1/2012 del 17 luglio 2012
[5] Consiglio di Stato, Sez. VI – sentenza 10 gennaio 2011, n. 51 : “[…] non è escluso che il concessionario di aree portuali possa risultare affidatario di ulteriori concessioni, che possono essere assentite se l’attività richiesta in nuova concessione sia differente dall’attività svolta nell’area già affidata, e, in particolare, non si rinviene nella norma il divieto, comunque e in ogni caso disposto, di ampliamento di concessioni in essere, ferma, ovviamente, la garanzia di un confronto pienamente concorrenziale […]”.