È interessante notare come, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75 (“d.lgs. 75/2020”) [1], le società possano essere ritenute responsabili - ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (“d.lgs. 231/2001”) [2] - anche dei reati di contrabbando [3] commessi dal management o dai dipendenti nell’interesse o a vantaggio delle società stesse.
In generale, i reati di contrabbando sono volti a tutelare il diritto dello Stato alla puntuale e completa riscossione degli oneri doganali (o diritti di confine) a cui sono soggetti gli scambi commerciali con paesi extra-UE.
Ricordiamo come le fattispecie di contrabbando puniscano, inter alia, la movimentazione illecita delle merci (anche per via area o marittima), l’uso indebito di merci importate con agevolazioni doganali, la detenzione illegittima di merci estere all’interno di depositi doganali o l’illegittima costituzione di depositi di merci estere, la manipolazione delle merci al fine di sottrarle al pagamento dei diritti di confine dovuti, l’uso di mezzi fraudolenti per ottenere la restituzione dei diritti di confine, l’illegittima introduzione nello stato di tabacchi lavorati esteri, nonché qualsiasi altra condotta che, al di fuori delle ipotesi di cui sopra, comporti il mancato pagamento dei diritti di confine dovuti.
A livello di modalità commissive, potrebbero quindi venire in rilievo ai fini del d.lgs. 231/2001 condotte volte a evitare il pagamento degli oneri doganali sulle merci acquistate da - o vendute a - un soggetto situato in un Paese extra - UE fra cui, a titolo esemplificativo:
Sono, quindi, maggiormente esposte al rischio di commissione di tali reati tutte le società che, nell’ambito delle proprie attività, acquistino o vendano beni o merci al di fuori dei confini dell’Unione Europea, intrattenendo, in via diretta, relazioni commerciali con controparti stabilite in paesi extra - UE.
Nell’ottica di potersi giovare di una delle condizioni esimenti della responsabilità amministrativa di cui al d.lgs. 231/2001, tali società sono, quindi, chiamate ad aggiornare il proprio Modello 231 (o ad adottarne uno qualora ne siano oggi sprovviste), individuando le attività potenzialmente a rischio di commissione dei reati di contrabbando e definendo le opportune misure di controllo al fine di mitigare tali rischi.
In questa prospettiva, potrebbero, ad esempio, venire in rilievo le attività concernenti la gestione dei rapporti con i fornitori di beni o la gestione dei rapporti con i clienti, a seconda della tipologia di rapporto effettivamente intrattenuto con la controparte stabilita in paesi extra-UE, nonché la gestione dei rapporti con le autorità doganali italiane ed estere.
In relazione a tali attività sensibili, la società potrà implementare presidi idonei a limitare ipotesi di mancato o non corretto pagamento di dazi doganali/diritti di confine, tali da assumere rilevanza penale ai sensi delle fattispecie in esame.
Ma non solo. Il rischio di contestazione dei reati di contrabbando ai fini del d.lgs. 231/2001 potrebbe investire, eventualmente a titolo di concorso, anche tutte quelle società che, pur non importando o esportando merci proprie, siano comunque coinvolte nell’esecuzione di attività di importazione e di esportazione di merce e negli adempimenti a ciò prodromici e/o strumentali.
Si considerino, a titolo meramente esemplificativo, le società che svolgono l’attività di spedizioniere doganale o le società che erogano servizi di trasporto o di movimentazione delle merci, nonché le società autorizzate alla gestione dei depositi doganali in cui confluiscono le merci nelle more del pagamento degli oneri doganali.
Anche tali società possono quindi essere chiamate, a nostro parere, ad aggiornare i propri Modelli 231 individuando le aree che potrebbero essere potenzialmente esposte al rischio di commissione dei reati di contrabbando, seppur a titolo di concorso nel reato, definendo specifiche misure volte, ad esempio, ad assicurare la corretta movimentazione e registrazione delle merci in entrata e in uscita o il corretto adempimento delle obbligazioni di custodia delle merci depositate tramite adeguate misure di sicurezza, nonché, soprattutto con riferimento agli spedizionieri doganali, la corretta contabilizzazione degli oneri doganali.
Proprio l’aggiornamento o l’adozione del Modello 231 consente, infatti, di mitigare i rischi di eventuali sanzioni (pecuniarie e interdittive) nei confronti della società.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Luca Cavagnaro e Laura Perrone.
[1] Attraverso il d.lgs. 75/2020, entrato in vigore il 31 luglio 2020, il legislatore ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 2017/1371 (c.d. “Direttiva PIF”) “relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale”.
[2] Il d.lgs. 231/2001 disciplina, come noto, un particolare regime di responsabilità in capo agli enti (società, consorzi, altre entità fornite e prive di personalità giuridica, associazioni) derivante dalla commissione di talune fattispecie di reato, espressamente richiamate dallo stesso d.lgs. 231/2001, da parte di “soggetti apicali” o “dipendenti/collaboratori” nell’interesse o a vantaggio degli enti stessi, prevedendo, in caso di condanna dell’ente, l’applicazione di sanzioni pecuniarie fino a circa 1.500.000 euro e di sanzioni interdittive (fra cui l’interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi).Il d.lgs. 231/2001 prevede, inoltre, che del reato commesso da uno dei soggetti sopra indicati, l’ente non risponda (e quindi vada esente da responsabilità) qualora provi, inter alia, che: (i) l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (c.d. “Modello 231”); (ii) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello 231 e di curarne il relativo aggiornamento sia stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (c.d. “Organismo di Vigilanza”).
[3] Il d.lgs. 75/2020 ha, infatti, introdotto all’interno del d.lgs. 231/2001, l’art. 25-sexiesdecies estendendo, così, il novero delle fattispecie di reato presupposto di tale responsabilità anche ai reati di contrabbando previsti dagli articoli 282 e ss. del Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (“D.P.R. 43/1973”), “Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale”.
[4] Cass. Pen., Sez. III, 26/05/2010, n. 26143. In senso conforme, si veda Sez. III, 25 marzo 1982, n. 7773, ("Si ha un'ipotesi di contrabbando intraispettivo non solo quando viene eluso l'accertamento doganale sottraendo all'accertamento una parte della merce importata, ma anche quando si indica un valore della merce importata inferiore al reale; a tal fine non è però sufficiente una semplice dichiarazione verbale, che può essere agevolmente verificata dai doganieri, ma occorre accompagnare tale dichiarazione con indicazioni o documenti fittiziamente dimostrativi del valore enunciato").
[5] Cass. Pen. Sez. V, 09/11/2017, n. 7750.