Le recenti decisioni di A.B.F (Arbitro Bancario Finanziario) di ottobre 2015 (n. 7818 e n. 8098) hanno consolidato il precedente orientamento di quest’organo, affermando che – ai fini di stabilire se un tasso di interessi sia usurario o meno – gli interessi moratori non sono cumulabili con quelli compensativi.
Si tratta di un profilo di grande interesse, essendo, nella prassi commerciale, ormai consuetudine inserire nei testi contrattuali clausole specifiche al fine di predeterminare una somma dovuta per il caso di inadempimento o ritardo. La qualificazione e la rispettiva disciplina legislativa variano a seconda dei diversi ordinamenti giuridici europei ed è bene esaminarne le differenze concentrandosi sui limiti previsti legislativamente nei casi in cui la somma pattuita risulti eccessiva.
Guardando all’ordinamento italiano, la somma concordata può qualificarsi come ‘interessi di mora convenzionalmente pattuiti per obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro’. Gli interessi – da determinarsi per iscritto nel caso siano superiori al tasso legale determinato annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, a pena di riduzione alla misura legale – non devono superare il tasso soglia di cui alla l. 7 marzo 1996, n. 108, per non incorrere nel divieto di interessi usurari statuito dall’art. 1815 c.c. Qualora ciò accada, la clausola che li prevede sarà nulla e gli interessi saranno non dovuti (ex art. 1856, comma 2 c.c.). Si osserva, tuttavia, che detto limite posto all’autonomia contrattuale delle parti pare valere unicamente per il contratto di mutuo, alla luce della sua funzione creditizia, come si evince dalla collocazione della norma nel capo a esso dedicato.
Ulteriore limite all’autonomia privata è riscontrabile in tema di clausola penale all’art. 1384 c.c., che – laddove la somma pattuita risulti manifestamente eccessiva rispetto all’interesse che il creditore aveva all’adempimento – conferisce al giudice il potere di diminuire tale somma secondo equità.
Nell’ordinamento tedesco il legislatore ha previsto, diversamente rispetto all’ordinamento italiano, due tipi di clausola penale con una disciplina nettamente differente.
La Vertragsstrafe (§ 339 BGB) consiste in una penale esigibile nel caso in cui il debitore non adempia o non adempia nel modo dovuto. Al § 343 BGB il legislatore tedesco prevede un potere analogo a quello del giudice italiano di ridurre la penale nel caso in cui essa risulti eccessiva rispetto all’interesse che aveva il creditore all’adempimento della prestazione. Rispetto alla disciplina italiana, tuttavia, la norma tedesca regola in modo molto più stringente il potere del giudice, il quale può intervenire solo su istanza di parte e – nel giudizio sull’adeguatezza – deve tenere conto di ogni legittimo interesse del creditore, anche non patrimoniale.
Inoltre il BGB, così come modificato dalla Schuldrechtsmoderinisierung del 2002, prevede la c.d. Schadensersatzpauschale, considerata una vera e propria alternativa alla clausola penale, il cui unico scopo è quello di agevolare il conseguimento del risarcimento del danno. Al contrario della Vertragsstrafe, che costituisce uno strumento di pressione sul debitore atto a indurlo all’adempimento dell’obbligazione, essa ha la finalità di forfettizzazione anticipata dell’eventuale e presumibile danno in capo al creditore per inadempimento o ritardo. La Schadensersatzpauschale non è soggetta al potere di riduzione del giudice ex § 343 BGB, bensì solo a un controllo meramente contenutistico di non usurarietà e di conformità ai principi di buona fede e buon costume ai sensi dei §§ 138 e 242 BGB.
La conoscenza approfondita delle divergenze tra i due ordinamenti qui menzionati può risultare provvidenziale nella contrattazione transfrontaliera, onde evitare di incorrere in sanzioni di nullità o ingerenze del giudice nella determinazione dell’ammontare dovuto, che variano a seconda della legge applicabile al contratto.