Articolo a cura di Giovanni de Capitani e Davide Brollo
1. Introduzione
Con ordinanza n.7386 del 19 marzo 2024, La Corte di Cassazione, si è nuovamente pronunciata in materia di contratti derivati e, in particolare, sulle conseguenze derivanti dall’assenza di una precisa ed esplicita indicazione dei cd. costi impliciti all’interno del contratto di swap.
Secondo il parere della Suprema Corte, il contratto di interest rate swap che non contenga un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti e condivisi tra le parti, compresa l’indicazione e la quantificazione del mark to market iniziale e degli ulteriori costi impliciti applicati dall’intermediario, è nullo, incidendo le suddette carenze sulla validità del contratto derivato.
La vicenda definita dall’ordinanza della Suprema Corte verteva su una società che aveva convenuto in giudizio un istituto di credito per far dichiarare nullo il contratto di swap concluso tra le parti in data 22 settembre 2008 oltre che il contratto quadro contestualmente perfezionato, richiedendo, in via subordinata, che la Corte pronunciasse l’annullabilità del contratto di swap e, in via ulteriormente gradata, la risoluzione dello stesso per inadempimento dell’intermediario. La ricorrente ha altresì richiesto che la banca fosse condannata al risarcimento dei danni.
2. Le riflessioni della Corte d'Appello di Torino
La Corte di Appello di Torino in data 29 ottobre 2019 ha pronunciato sentenza (n. 1742/2019) con cui, in parziale riforma della pronuncia di primo grado (che aveva rigettato in toto le pretese attoree), ha condannato la banca a corrispondere all’appellante a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 20.165,93 (oltre interessi nella misura legale dalla domanda al saldo effettivo), pari all’ammontare del fair value negativo al momento della stipula del contratto di swap, valutato dal CTU sulla base della differenza tra il tasso d’interesse fisso effettivo del 5,1% applicato allo swap su un nozionale di Euro 750.000,00 e dovuto dalla società e il tasso d’interesse fisso pari al 4,74% che avrebbe reso equivalenti le prestazioni delle parti ai sensi del contratto di Swap e reso, per tale ragione, il contratto di swap “par”.
Il giudice dell’impugnazione ha però escluso che il contratto derivato dedotto in lite fosse nullo, annullabile o passibile di una pronuncia di risoluzione per inadempimento, sulla base del fatto che l’indicazione del mark to market non può essere considerata come elemento essenziale del contratto derivato e che, conseguentemente, la sua mancanza non ne determina la nullità per difetto di causa; ha tuttavia osservato che, a fronte dell’inadempimento della banca del dovere di una corretta e completa informazione, potesse essere riconosciuto un risarcimento del danno, come sopra indicato, in misura pari all’ammontare della commissione implicita percepita dall’istituto di credito (commissione apparentemente esclusa dal contratto ma di fatto applicata dalla banca).
3. I principi dell'ordinanza n.7368 del 19 marzo 2024 e il richiamo alle sezioni unite del 2020
Avverso la decisione della Corte d’Appello, sopra richiamata, la società ricorre in cassazione con un’impugnazione articolata in sei motivi. In particolare, occorre porre attenzione al secondo motivo di ricorso con cui viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli articoli 21 e 23 del T.u.f. e degli articoli 1418, 1325 e 1346 del Codice Civile sulla base del fatto che la corte territoriale non abbia constatato la nullità del contratto alla luce dell’assenza dell’indicazione del mark to market, inteso come valore negativo per il cliente, che non può che essere considerato come elemento essenziale del contratto di swap. La ricorrente deduce altresì che: “(…) la banca era tenuta ad indicare gli elementi causali del contratto, al fine di far comprendere all’investitore l’alea contrattuale. (…) il riconoscimento normativo della causa del contratto risiede nella razionalità dell’alea, cioè nella sua misurabilità e conoscibilità, non essendo meritevole di tutela un negozio in cui vi siano alee ignote ad uno dei contraenti e/o estranee all’oggetto dell’accordo”.
La Suprema Corte, accogliendo il secondo motivo di ricorso, precisa che gli swap (che di natura hanno un contenuto non etero regolamentato) si contraddistinguono per il fatto che lo strumento finanziario cd. non par (come quello del caso di specie) presenta al momento della stipula un valore negativo per una delle due parti poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi del mercato. In tale caso, l’unico modo per poter riequilibrare le prestazioni corrispettive sarebbe quello di prevedere il pagamento di una commissione alla controparte che subisce e accetta le condizioni maggiormente penalizzanti (commissione che nel caso di specie non era stata prevista in favore dell’investitore rendendo, per l’appunto, il contratto derivato di natura non par dato il valore iniziale dello swap negativo a discapito della società).
Tale disallineamento, continua la Suprema Corte, trova ragione nel fatto che “l’intermediario che negozia per conto proprio è in grado di conoscere con maggior precisione le caratteristiche del prodotto (e, quindi, essenzialmente, gli scenari probabilistici che sono associati ai flussi monetari che il contratto programma)”.
Come ricorda la Suprema Corte: “L’importanza dei costi impliciti nasce dal fatto che l’occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato, nelle diverse prospettive ricostruttive che hanno trovato espressione in dottrina e in giurisprudenza, ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l’oggetto di questo, ora come un inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell’investitore: sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell’intermediario, dell’obbligo, posto dall’art. 23, lett. a), TUF, di «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse del cliente»: con conseguente applicazione dell’apparato rimediale operante per il caso di inadempimento.”.
Proseguendo nell’analisi del secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte richiama la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 8770/2020) che aveva statuito come l’assenza dell’indicazione del mark to market del derivato (i.e. il costo, pari al valore reale dello swap ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale derivato od un terzo soggetto, estraneo all’operazione di investimento iniziale, è disposto a subentrarvi), da considerarsi elemento essenziale del contratto di swap, comporti la nullità del medesimo. In particolare, le Sezioni Unite avevano qualificato tale nullità come “strutturale” ex art. 1418, comma 2, Codice Civile) essendo per l’appunto inerente a elementi essenziali del contratto.
4. Conclusioni
Sulla base delle ragioni meglio descritte nei precedenti paragrafi, viene contestata alla Corte d’Appello l’errata considerazione che i giudici di merito hanno fatto relativamente all’assenza di una puntuale indicazione della misura dell’alea del contratto derivato oggetto della pronuncia, comprendente il cd. mark to market e tutti gli ulteriori costi impliciti accessori del contratto di swap.
Tale carenza, ribadisce la Suprema Corte, indice sulla validità del contratto e ne determina, di conseguenza, la relativa nullità.