L’offerta lanciata da Unicredit sulla totalità delle azioni Banco Bpm non piace né al Cda guidato da Giuseppe Castagna né al governo. L’aspetto apparentemente più anomalo è che sia stato il governo a esprimersi per primo e con la maggiore forza per respingere quella che, a prima vista, sembrerebbe una mossa di consolidamento finanziario che, storicamente, le autorità italiane ed europee hanno sempre accolto con i migliori auspici. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha evocato l’utilizzo dell’arma più potente in mano al governo per poter influenzare, o anche bloccare, un’operazione di fusione e acquisizione fra attori privati: il golden power. Questo potere straordinario, introdotto nel 2012 e successivamente esteso a una pluralità di settori, incluso quello creditizio, impedisce che un’operazione finanziaria possa compromettere gli interessi strategici del Paese. Tipicamente, viene evocato quando all’orizzonte ci sono acquisizioni da parte di attori stranieri. In questo caso, la tesi espressa dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, è che Unicredit “è straniera” perché solo il 7% degli azionisti della banca guidata da Andrea Orcel è italiano.
Per la verità, l’italianità di Unicredit non è decisiva, sulla carta, per poter mettere il governo nelle condizioni di esercitare il golden power. “Da inizio 2023 la normativa consente al governo di esercitare questo potere anche nel caso di operazioni tra aziende italiane e anche nel settore bancario”, dice a We Wealth il ceo di Excellence Consulting, Maurizio Primanni, “la norma è contenuta nel Decreto Energia del 2022 e quindi quanto paventato dal ministro Giorgetti ha fondamento giuridico”. In quasi due anni, tuttavia, il governo non ha mai esercitato il golden power “nei confronti di un investitore italiano residente in Italia”, ha dichiarato all’agenzia Radiocor il direttore scientifico dell’Osservatorio Golden Power, Michele Carpagnano.
Golden Power: cosa può fare il governo, e con quali limiti
Nel caso dell’Ops di Unicredit a Banco Bpm, al governo non basta dimostrare che la società “comprata” è strategica per gli interessi italiani e rientra nei requisiti di legge per poter attivare il golden power. Per inciso, questo aspetto è ovvio: secondo il Dpcm 179 del 2020, il governo può intervenire a protezione, fra le altre cose, delle “attività economiche di rilevanza strategica finanziarie, creditizie e assicurative, anche se svolte da intermediari, esercitate da imprese che realizzano un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e aventi un numero medio annuale di dipendenti non inferiore a duecentocinquanta unità”.
Il secondo e decisivo requisito per attivare il golden power è una valutazione motivata sui pericoli che l’acquisizione di Unicredit comporterebbe per gli interessi strategici italiani. “Il governo ha a disposizione numerosi strumenti ma l’esercizio di questi poteri, per quanto espressione di ampia discrezionalità, non è privo di limiti”, dice a We Wealth Francesco Mazzocchi, Counsel dello studio legale ADVANT Nctm. “Alla base del loro esercizio devono sussistere motivi imperativi di interesse generale (una ‘minaccia di grave pregiudizio agli interessi dello Stato’) che – visto l’impatto di tali restrizioni sulla libertà di impresa, così come sulle libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali – devono essere interpretati restrittivamente”.
A leggere le dichiarazioni del ministro Salvini, il problema di fondo, agli occhi del governo, sarebbe la perdita dell’italianità del gruppo Banco Bpm: “Unicredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera. A me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il Terzo Polo italiano, non vengano messe in difficoltà”. Molto poco chiaro, al di là della natura prevalentemente straniera dell’azionariato di Unicredit, quale sia l’effetto lesivo del consolidamento dal punto di vista della tutela dell’interesse nazionale.
Qualora il governo decidesse di esercitare il suo potere per proteggere la strategia del Terzo Polo guidato da Banco Bpm, dovrebbe completamente bloccare – e non porre condizioni sul piano strategico di Unicredit relative al gruppo combinato con Banco Bpm. Statisticamente, mosse di questo tipo sono state rarissime: su 30 casi in cui il golden power è stato effettivamente esercitato, solo in due il governo è arrivato ad opporsi all’acquisto delle partecipazioni.
Inoltre, motivare un blocco già di per sé rumoroso sulla base di considerazioni legate al destino di Mps, in mano allo Stato ancora per l’11,7%, rischia di apparire più una strategia politica di comodo, che non la protezione di un interesse nazionale.
Una Unicredit “meno straniera”
Le basi per ostacolare un’acquisizione fra attori italiani priva di precedenti non sembrano delle più solide. Dal momento che Unicredit offre di scambiare le sue azioni con quelle di Banco Bpm grazie a nuove emissioni di capitale per circa 10 miliardi di euro, il risultato dell’operazione inciderebbe profondamente sull’azionariato complessivo di Unicredit.
Dal momento che solo il 15% circa degli azionisti rilevanti di Banco Bpm è estero (Credit Agricole e BlackRock), il gruppo risultante dall’integrazione Unicredit-Banco innalzerebbe la quota di azionariato italiano dal 7% attuale della sola Unicredit a oltre il doppio (e ancor di più se il prezzo dell’offerta sarà rivisto al rialzo). Inoltre, il nuovo gruppo realizzerebbe circa il 50% del fatturato in Italia, assicurando la centralità del Paese nelle politiche dell’istituto. In un certo senso, l’Ops renderebbe di fatto “meno straniera” la seconda banca più importante in Italia – fatto che complicherebbe non di poco la tesi del governo sulla minaccia agli interessi nazionali, necessaria per motivare il blocco totale dell’operazione.
“L’eventuale esercizio di poteri speciali da parte del governo”, conclude Mazzocchi, “dovrà essere oggetto di attenta considerazione, tenendo presente che gli interessi pubblici che più intuitivamente vengono in rilievo per questa operazione come la concorrenza e stabilità finanziaria devono essere presidiati dalle autorità di settore”.