Con la sentenza n° 328 del 27 febbraio 2015, il TAR Toscana ha, infatti, enucleato un diritto di superficie in capo al concessionario di bene demaniale marittimo.
Nel caso di specie, si trattava di una concessione avente ad oggetto l’occupazione dell’area demaniale marittima allo scopo di mantenere un locale in muratura adibito a bar-ristorante e gelateria.
Dobbiamo tenere in considerazione che i principi del diritto della navigazione in materia si applicano – in questo settore – indistintamente agli impianti portuali come alle strutture ricreative sulle spiagge della Repubblica. Non deve quindi stupire che un principio dettato in materia di spiagge sia poi utilizzabile quando si parli di una installazione portuale.
Il Comune aveva emesso degli ordini di introiti per i canoni relativi a tale concessione.
La Concessionaria ha però proposto ricorso chiedendo l’annullamento di detti ordini di introiti in quanto basati – a suo avviso – su un convincimento errato.
La Concessionaria sostiene, infatti, che avendo la concessione ad oggetto l’occupazione dell’area demaniale allo scopo di mantenere un locale in muratura ed essendosi la concessione rinnovata automaticamente, si deve ritenere «perdurante la proprietà superficiaria del manufatto in questione da parte dell’odierno ricorrente».
E conseguentemente, «in relazione a tale manufatto, avrebbero dovuto trovare applicazione i canoni tabellari di cui all’art. 1, comma 251, punto 1, lett. b), della legge n. 296/2006[1] e non già canoni commisurati ai valori di mercato, di cui al punto 2.1 del citato art. 1 comma. 251[2], applicabili alle pertinenze demaniali».
Inoltre, si sarebbe dovuti pervenire alla stessa conclusione anche per i canoni relativi alle aree demaniali scoperte o temporaneamente occupate da manufatti precari amovibili.
La ricorrente conclude affermando che «i provvedimenti impugnati sarebbero erronei nella parte in cui con gli stessi si afferma che l’intera superficie occupata debba ritenersi a destinazione commerciale».
Il TAR abbraccia la tesi della concessionaria sostenendo, infatti, che è errato «qualificare come pertinenze destinate ad attività commerciale quelli che invero sono manufatti di proprietà privata, per diritto di superficie, appartenenti alla società ricorrente».
Peraltro, «il diritto a mantenere una costruzione sul suolo altrui è proprio l’oggetto del diritto di superficie» previsto all’art. 952 c.c., «con il risultato che siamo qui in presenza di un atto amministrativo che attribuisce al concessionario il diritto di superficie sugli immobili».
I beni pertanto non possono essere considerati di proprietà demaniale non essendo mai usciti dalla sfera di proprietà del Concessionario.
Nel caso di specie, a complicare la situazione e forse a trarre in inganno l’Amministrazione è intervenuto il rinnovo della concessione.
L’Amministrazione ha erroneamente creduto che il solo rinnovo automatico fosse sufficiente per far acquisire al demanio pubblico la proprietà del bene in questione.
Il Consiglio di Stato ha però già chiarito con sentenza del 2010[3] che: «in materia di concessioni demaniali marittime, il principio dell’accessione gratuita di cui all’art. 49 cod. nav., che fa salva ogni diversa determinazione contenuta nell’atto di concessione, non si applica qualora il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare una vera e propria proroga, protraendosi il rapporto senza soluzione di continuità».
Non essendosi mai sciolta tale continuità nel caso in questione i beni non sono mai passati dalla proprietà del Concessionario alla proprietà del demanio pubblico.
Il TAR ha quindi risolto la questione statuendo che «la mancanza di proprietà demaniale esclude quindi in radice che si possa parlare di pertinenze demaniali marittime, mancando i presupposti di cui all’art. 29 del Codice della Navigazione, che definisce pertinenze del demanio marittimo le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, richiedendo quindi la titolarità della proprietà in capo dello Stato».
Questa sentenza ha un notevole rilievo in quanto, molte Autorità Portuali tendono ad inserire, all’interno delle concessioni demaniali, clausole le quali prevedono, all’esito della costruzione di un nuovo manufatto, un incremento del canone per le maggiori volumetrie acquisite.
La sentenza in esame evidenzia con chiarezza come tale prassi sia assolutamente illegittima.
[1]Legge n. 296/2006 art. 1, comma 251, punto 1, lett. b) «misura del canone annuo determinata come segue:
1) per le concessioni demaniali marittime aventi ad oggetto aree e specchi acquei, […], si applicano i seguenti importi aggiornati degli indici ISTAT maturati alla stessa data:
1.1) area scoperta: euro 1,86 al metro quadrato per la categoria A; euro 0,93 al metro quadrato per la categoria B;
1.2) area occupata con impianti di facile rimozione: euro 3,10 al metro quadrato per la categoria A; euro 1,55 al metro quadrato per la categoria B;
1.3) area occupata con impianti di difficile rimozione: euro 4,13 al metro quadrato per la categoria A; euro 2,65 al metro quadrato per la categoria B; […])»
[2]Legge n. 296/2006 art. 1, comma 251, punto 2.1 «per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall'Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento. L'importo ottenuto è moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5. Il canone annuo così determinato è ulteriormente ridotto delle seguenti percentuali, da applicare per scaglioni progressivi di superficie del manufatto: fino a 200 metri quadrati, 0 per cento; oltre 200 metri quadrati e fino a 500 metri quadrati, 20 per cento; oltre 500 metri quadrati e fino a 1.000 metri quadrati, 40 per cento; oltre 1.000 metri quadrati, 60 per cento. Qualora i valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare non siano disponibili, si fa riferimento a quelli del più vicino comune costiero rispetto al manufatto nell'ambito territoriale della medesima regione».
[3] Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348