Con questo numero terminiamo l’analisi del Regolamento UE 2017/352, vale a dire - come abbiamo visto - delle “regole” che l’Unione Europea ha inteso imporre agli Stati membri in materia di servizi portuali e trasparenza finanziaria degli enti di gestione dei porti dei singoli Stati membri UE.
Vediamo, in primo luogo, come il legislatore europeo abbia inteso tutelare i diritti dei lavoratori (art. 9).
Il Regolamento prescrive che, in caso di avvicendamento in un contratto di concessione o appalto pubblico tra due diversi operatori, l’ente di gestione può esigere “che i diritti e gli obblighi del prestatore di servizi portuali uscente derivanti da un contratto di lavoro, o da un rapporto di lavoro definito dalla legislazione nazionale, ed esistenti alla data del cambiamento, siano trasferiti verso il nuovo pre-statore di servizi portuali” [1].
La disposizione appena menzionata prende le mosse dai diritti che, ai sensi di una Direttiva del 2001 (n. 23) [2], i lavoratori potrebbero far valere in caso di trasferimento di imprese in vigenza di contratto collettivo sino a rinnovo dello stesso [3]. La si cita espressamente al capoverso 3.
Peraltro, la Direttiva da ultimo citata contiene delle disposizioni che vanno direttamente ad incidere sull’operatore “uscente” e su quello “entrante”, ove prevede che la legislazione nazionale dello Stato membro possa prevedere che il cedente - anche dopo la data del trasferimento - sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento[4] .
A favore dell’operatore “entrante”, la Direttiva CE 2001/23 prevede che i lavoratori non abbiano diritto a che il nuovo datore di lavoro garantisca loro i diritti a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali, concordati con il precedente operatore/datore di lavoro e ricadenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri [5].
Vi è poi da affrontare l’argomento delle cd. “esenzioni”.
L’art. 10, prevede che tutte le norme in materia di requisiti minimi per la fornitura dei servizi, limitazioni al numero dei prestatori di servizi portuali, obblighi di servizio pubblico e i diritti dei lavoratori, non possano essere applicate alla movimentazione merci, ai servizi passeggeri o al pilotaggio.
Con riferimento al pilotaggio l’esclusione parrebbe giustificarsi in relazione all’alta specializzazione dei soggetti che eserciscono detta attività ed al fatto che questo servizio venga svolto in stretta collaborazione e coordinazione con le pubbliche autorità, assumendo, in alcuni casi, una funzione di “primo intervento”.
Proseguiamo la nostra analisi con alcuni cenni generali alla complessa questione dell’autonomia economico - finanziaria degli enti di gestione dei porti e della autonomia loro riconosciuta nella gestione dei fondi di loro pertinenza.
Il primo principio stabilito dal regolamento attiene alla necessaria trasparenza dei rapporti tra gli organi statali e locali di pubblica amministrazione (nel prosieguo, seguendo le definizioni del Regolamento in analisi, le “autorità pubbliche”) e gli enti di gestione dei porti che siano beneficiari di finanziamenti pubblici.
Queste relazioni devono essere rappresentate fedelmente nel sistema di contabilità degli enti di gestione, con indicazione separata dei fondi erogati all’ente di gestione del porto in via diretta dalle autorità pubbliche e quelli erogati tramite imprese pubbliche o istituzioni finanziarie pubbliche.
Inoltre, deve essere sempre rappresentato e rendicontato l’effettivo utilizzo dei fondi pubblici assegnati.
Ancora, ove l’ente di gestione eserciti in proprio servizi portuali o di dragaggio, deve mantenere la contabilità relativa a queste attività, separata dalla contabilità generale per le altre sue attività, in modo che risultino chiaramente costi e ricavi derivanti dall’esercizio di detti servizi [6].
Il legislatore UE prevede, poi, una doppia forma di controllo della contabilità degli enti di gestione.
In caso di reclamo formale e su semplice richiesta, l’ente di gestione del porto deve mettere a disposizione dell’autorità pertinente nello Stato membro interessato le informazioni di contabilità di cui sopra, nonché eventuali informazioni supplementari ritenute necessarie al fine di verificare la conformità “al presente regolamento, conformemente alle norme in materia di concorrenza“.
A sua volta la Commissione UE, a semplice richiesta, può ottenere la trasmissione delle suddette informazioni [7].
In questo senso si può dire che il legislatore europeo abbia voluto prevedere una forma facoltativa di doppio controllo, prima da parte dello Stato membro – probabilmente prefigurando un primo eventuale correttivo in house in caso di errori o problemi inerenti la contabilità e relativi al rispetto del principio di libera concorrenza – per poi prevedere un secondo controllo a livello europeo da parte della Commissione ove il problema non venisse risolto dallo Stato o, più verosimilmente, si trattasse di problematica riguardante porti che - per dimensioni e volumi di traffico prodotti - siano tra quelli cd. “di rilevanza europea”.
In conclusione, il regolamento, detta alcune regole in tema di utilizzo dell’infrastruttura portuale.
Dopo aver previsto che gli Stati membri UE debbano garantire la riscossione dei diritti per l’uso dell’infrastruttura portuale, il legislatore, innanzitutto, evidenzia il diritto dei singoli prestatori di servizi portuali di riscuotere diritti separati per i servizi eserciti, verosimilmente in via autonoma. Di più non dice né nell’articolo né nelle premesse.
Quanto ai diritti riscossi o da riscuotersi direttamente da parte dell’ente di gestione, correttamente si prevede che essi vengano stabiliti in relazione alla strategia commerciale del singolo porto, ma anche alla politica portuale generale nazionale, con necessario rispetto del principio di libera concorrenza.
Inoltre, in ossequio al principio di trasparenza, il Regolamento prevede che la natura ed il livello d’uso dell’infrastruttura portuale siano oggetto di obbligatoria informativa a favore degli utenti da parte dell’ente di gestione del porto e con un preavviso di due mesi in caso di modifica degli stessi .
Peraltro, nemmeno in questa occasione il legislatore UE dimentica il tema della tutela dell’ambiente, prevedendo la possibilità degli Stati di ridurre i diritti d’uso per attrarre nei porti UE navi con alti livelli di efficienza ambientale ed energetica.
Con quest’ultimo numero abbiamo dunque concluso la nostra (necessariamente) sintetica panoramica sulle norme del nuovo Regolamento UE 2017/352. Non resta che vedere come le norme esaminate verranno in concreto interpretate ed applicate dagli Stati membri.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Barbara Gattorna.
[2]Direttiva n. 111/2006 “relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese”.
[3]Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti