Proseguiamo con l’analisi della disciplina dei servizi portuali dettata dal Regolamento UE 2017/352, con particolare riferimento – innanzitutto – al tema, oggi di attualità, della facoltà riconosciuta agli enti di gestione di limitare il numero di prestatori di servizi portuali nel porto di propria competenza. Ci occuperemo, poi, della questione degli “obblighi di servizio pubblico”.
All’art. 6 del regolamento in esame, il legislatore europeo indica alcune ragioni, già accennate nel precedente numero della nostra newsletter che, sole o in concorso, conferiscono la facoltà agli enti di gestione del porto di limitare il numero dei prestatori con riferimento ad uno specifico servizio por-tuale.
Tra le suddette ragioni, in primo luogo, si fa riferimento alla carenza di spazi o alla destinazione ad al-tro uso di aree portuali [1], a condizione che tale limitazione sia conforme con i piani di programmazio-ne già adottati dell’ente di gestione del porto stesso o con piani adottati “da qualsiasi altra attività pubblica competente conformemente al diritto nazionale”. Trattasi di formula che parrebbe non proprio chiara, ma che di certo parrebbe limitare almeno formalmente la discrezionalità dell’ente di gestione del porto [2].
Nondimeno, la norma prevede che la limitazione del numero degli operatori possa essere attuata dall’ente di gestione ove, in mancanza di essa, l’esigenza di garantire la “sicurezza” e la “sostenibilità ambientale” delle operazioni portuali potrebbe di fatto non essere pienamente soddisfatta [3]. Si noti che questa disposizione parrebbe lasciare uno spazio discrezionale piuttosto ampio agli enti, anche in virtù del fatto che i concetti di sicurezza in porto e sostenibilità ambientale non sono definiti o descritti dal regolamento stesso, ma lasciati “aperti”.
Sempre tra le ragioni che possono giustificare la limitazione al numero dei prestatori di un determi-nato servizio, vi è il caso in cui le dimensioni della infrastruttura portuale e dei traffici da questa ge-nerati siano tali da non consentire che più operatori prestino i propri servizi nel porto [4].
Questa previsione va però necessariamente coordinata con la successiva previsione dello stesso articolo in commento [5], ove ci si occupa del caso in cui l’ente di gestione del porto[6] che, in ragione delle sue dimensioni e dei limitati volumi di traffico generati, fornisca in proprio i servizi portuali. Posto che, in quest’ultimo caso, si genera un monopolio naturale, la norma[7] prescrive che gli Stati membri, per realtà così piccole, “adottino le misure necessarie per evitare conflitti di interesse”.
Ove l’ente, nei casi permessi, intenda applicare delle limitazioni, dovrà presentare una proposta “motivata”[8] di limitazione, cui seguirà un periodo di tre mesi per la presentazione di osservazioni da parte dei soggetti interessati. A conclusione di questo periodo, l’ente è autorizzato a pubblicare la decisione di procedere effettivamente alla limitazione e quindi indire una procedura di selezione aperta, necessariamente trasparente e non discriminatoria [9]. Dovrebbero, quindi, essere resi pub-blici, in particolare, il tipo di servizio richiesto e le informazioni ritenute essenziali dall’ente di gestione al fine della presentazione della domanda.
Quanto al tema degli obblighi di servizio pubblico, vediamo, in primo luogo, come il regolamento “autorizzi” gli Stati membri, in particolare attraverso gli enti di gestione dei porti, ad imporre agli operatori l’obbligo di esercire determinati servizi portuali in forma di “servizi pubblici”. Posto che il legislatore europeo ha definito l’obbligo di servizio pubblico come “l’onere definito o individuato al fine di garantire la prestazione di servizi o attività portuali di interesse generale” possiamo considerare i ser-vizi in parola come quelle attività che, ragionando in ottica di convenienza organizzativa o commerciale, l’operatore – se non “obbligato” - non presterebbe o comunque non presterebbe alle condizio-ni che gli possono venire imposte [10].
Questo obbligo, tuttavia, non deve essere inteso come un’aspirazione del legislatore affinché i porti europei si assumano - attraverso l’impiego dei propri operatori - un vero e proprio obbligo pubblico e generalizzato per la fornitura di servizi portuali , bensì come un impegno, condiviso da ente di ge-stione ed operatori, finalizzato ad assicurare, ad esempio, la disponibilità dei servizi portuali in maniera non discriminatoria per tutti gli utenti e in modo continuativo (giorno e notte) o, ancora, finalizzato ad assicurare l’accessibilità economica ai servizi di trasporto a determinate categorie di utenti. Il legislatore europeo non manca poi di fare un cenno alla necessità che gli operatori supervisionino le operazioni di ingresso, ormeggio e permanenza delle navi nel rispetto delle normative unionali in materia ambientale [11], scegliendo, anche in questo caso, di non definire oneri specifici.
All’esatto contrario di un’imposizione, l’aspirazione dell’Unione parrebbe quindi quella di un’elevazione degli standard e della condivisione delle cd. good practice: il regolamento richiede allo Stato membro che decida di adottare un obbligo di servizio pubblico, con riferimento allo stesso servizio, in tutti i porti nazionali, di notificare detto obbligo alla Commissione [12].
Nel prossimo numero ci dedicheremo principalmente ai diritti dei lavoratori, alla trasparenza finan-ziaria ed all’autonomia degli enti di gestione dei porti, andando in questo modo a completare la no-stra panoramica del regolamento UE 2017/352.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Barbara Gattorna.
[6]Oppure un organismo da questo giuridicamente controllato.