Ci addentriamo finalmente nell’analisi degli articoli del Regolamento UE 2017/352 “che istituisce un quadro normativo per la fornitura di servizi portuali e norme comuni in materia di trasparenza finanziaria dei porti”.
In questo numero iniziamo ad esaminare le “regole” che l’Unione Europea ha inteso imporre agli Stati membri – pur, come già visto, con la previsione di molte “libertà” – in materia di regolamentazione ed esercizio dei servizi portuali [1].
Lo scopo con cui il legislatore europeo si è approcciato alla regolamentazione dei suddetti servizi portuali è da rinvenire nell’esigenza di bilanciare la tutela dei diritti dei prestatori di servizi portuali con l’efficienza e produttività che devono poter garantire i diversi enti di gestione del porto nazionali (per l’Italia, l’Autorità di Sistema Portuale).
Infatti, se il legislatore europeo, con riferimento ai detti servizi, richiama direttamente i princìpi generali - già enunciati nei trattati istitutivi dell’Unione Europea - secondo cui i prestatori di servizi portuali dovrebbero essere liberi di operare in tutti i porti marittimi europei, enuncia comunque la facoltà degli enti di gestione dei porti di imporre determinate condizioni all’esercizio di tale libertà [2].
L’art. 3 del regolamento, rubricato, “Organizzazione dei servizi portuali”, prevede che l’accesso al mercato della fornitura dei servizi portuali nei porti, possa essere soggetto a condizioni. Le prime due sono (i) requisiti minimi per la fornitura di servizi portuali e (ii) limitazioni al numero di prestatori.
Gli Stati membri, sono però liberi, nell’ambito del diritto nazionale, di non applicare le condizioni appena enunciate.
L’imposizione di un sistema requisiti minimi per la prestazione di servizi portuali nasce dalla convinzione del legislatore UE che esso possa contribuire a garantire un elevato livello di qualità dei servizi portuali, senza che la sua applicazione vada ad introdurre ostacoli nel mercato.
L’art. 4 indica quali sono i requisiti minimi per la fornitura di servizi portuali, specificando che essi possono riferirsi esclusivamente a quelli specificamente indicati nella disposizione in parola.
Appare chiaro, innanzitutto, come il legislatore UE si ponga diversi obiettivi: (i) garantire l’operato dell’ente di gestione del porto che potrà verificare preventivamente la sussistenza dei suddetti requisiti ((a), b) e c)); (ii) garantire la massima efficienza possibile dell’attività del porto, garantendo l’esercizio dei servizi portuali a favore dell’utenza senza alcuna interruzione (d)); (iii) proteggere i diritti dei lavoratori marittimi, imponendo il rispetto della normativa nazionale sociale e in materia di lavoro (g)).
Dalla norma, non risulta chiaro se il legislatore europeo proverà ad incidere maggiormente sulle procedure nazionali di selezione dei prestatori di servizi portuali sulla base dei “requisiti minimi” posto che per ora impone la pubblicazione dei requisiti minimi e della procedura di selezione, da parte del singolo ente gestione, entro il 24 marzo 2019. Potrebbe riservarsi detta prerogativa dopo un primo periodo di “rodaggio” del regolamento.
In ogni caso, all’art. 5, il regolamento provvede a disciplinare – in verità con prescrizioni generali riconducibili ai principi di diritto dell’Unione Europea – la “procedura per garantire la conformità ai requisiti minimi”. Infatti, l’ente di gestione del porto deve assicurare ai fornitori di servizi portuali un trattamento trasparente, obiettivo, non discriminatorio e proporzionato.
Espressione di detta disposizione è l’interessante e innovativa previsione secondo cui l’ente di gestione deve motivare le decisioni che assume in relazione ai prestatori di servizi portuali.
Ancor più significative sono le due diverse previsioni applicabili a seconda del rapporto che intercorre con il prestatore: (i) ove l’ente esprima un rifiuto deve motivarlo sulla mancanza dei “requisiti minimi” di cui al precedente art. 4, ovverosia qualifiche professionali, capacità finanziaria, attrezzature e disponibilità costante ad operare; (ii) ove l’ente invece limiti o estingua il diritto di fornire un servizio a un prestatore di servizio portuale, deve motivare tale risoluzione sulla base del primo paragrafo dell’articolo 5, ovverosia garantendo un trattamento trasparente, obiettivo, non discriminatorio e proporzionato.
La seconda ipotesi appare certamente un po’ più “ermetica” e meno garantista dei diritti del prestatore rispetto alla prima.
Quanto alla limitazione del numero di prestatori di servizi portuali, il Regolamento ne prevede la facoltà in capo agli enti di gestione dei porti per ragioni quali la carenza o la destinazione ad altro scopo di aree o spazi portuali o le caratteristiche dell’infrastruttura portuale o la natura del traffico portuali tali da non permettere che più prestatori di servizi portuali operino nel porto.
Altra limitazione che affronteremo nel prossimo numero è legata all’ipotesi in cui l’assenza di tale limitazione ostacoli l’esecuzione degli obblighi di servizio pubblico.
In particolare, con riferimento alla carenza o la destinazione ad altro scopo di aree o spazi portuali, la limitazione deve necessariamente essere conforme alle decisioni o ai piani già definiti – nel caso italiano, a titolo esemplificativo il Piano Regolatore Portuale – dall’ente di gestione del porto. Deve essere, quindi, una decisione che si inquadra nella già definita e approvata programmazione delle attività del porto.
Pare importante anche la concreta considerazione della grandezza – e rilevanza a livello europeo – del porto e del suo bacino di utenza quale ragione per fondare una limitazione ai prestatori di servizi operanti nel porto.
Quanto alla selezione dei prestatori di servizi portuali, l’ente di gestione del porto dovrà comunicare la propria intenzione di procedere alla limitazione degli operatori almeno tre mesi prima di pubblicare la decisione effettiva, in modo da provocare eventuali osservazioni delle parti eventualmente interessate. Successivamente l’ente di gestione procederà alla pubblicazione della decisione di limitare i prestatori di servizi portuali, adottando una procedura di selezione aperta, trasparente e non discriminatoria.
Nel prossimo numero finiremo di analizzare le disposizioni in materia di fornitura di servizi portuali per poi iniziare l’esame degli articoli del regolamento in materia di trasparenza finanziaria e autonomia.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Barbara Gattorna.
[1] Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento, “Il presente regolamento si applica alla fornitura delle seguenti categorie di servi-zi portuali («servizi portuali»), sia all’interno dell’area portuale, sia sulle vie navigabili di accesso al porto: (i) rifornimento di carburante; (ii) movimentazione merci; (iii) ormeggio; (iv) servizi passeggeri; (v) raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico; (vi) pilotaggio; (vii) servizi di rimorchio”.
[2] Più in particolare, come accennato nei precedenti numeri, ad avviso del legislatore europeo, “nell’interesse di una ge-stione dei porti efficiente, sicura e corretta sul piano ambientale” l’ente di gestione del porto dovrebbe avere la facoltà di imporre ai prestatori di servizi portuali il possesso di “requisiti minimi necessari a garantire la fornitura dei servizi in modo adeguato”.