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    30.10.2015

    Trasferimento del ramo d’azienda prima della domanda e concordato con continuità aziendale: continua il contrasto in giurisprudenza


    Due recenti decisioni del Tribunale di Rovereto (16 luglio 2015) e del Tribunale di Rimini (1° ottobre 2015), sono giunte ad opposte conclusioni nei casi, assimilabili dal punto di vista della fattispecie, di affitto e di conferimento del ramo d’azienda.

     

    Il caso

     

    a) Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Rovereto una società depositava una domanda di concordato che prevedeva la prosecuzione dell’attività d’impresa a mezzo del conferimento, posto in essere prima della domanda di ammissione alla procedura, di un ramo d’azienda in una newco interamente partecipata dalla società e la cessione ai creditori, mediante liquidazione, di tutti i beni non funzionali all’attività aziendale. L’Agenzia delle Entrate promuoveva opposizione all’omologazione contestando la convenienza e la fattibilità economica del concordato.

    b) Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Rimini una società depositava una domanda di concordato fondata sulla realizzazione del compendio immobiliare e degli altri attivi, sulla cessione dell’azienda, nonché sull’incasso dei canoni di affitto dell’azienda. Contro il decreto di omologa si opponevano due creditori contestando, tra altro, la fattibilità economica del concordato, l’irragionevole durata del termine previsto per l’attuazione del piano, la necessità di procedure competitive.

     

    Le questioni

    Le questioni affrontate attengono alla possibilità di qualificare un concordato “con continuità aziendale” anche quando la cessione dell’azienda ovvero l’affitto della stessa siano già avvenuti, ante ricorso per ammissione al concordato, e quindi in assenza di prosecuzione diretta dell’attività di impresa da parte del debitore nel corso della procedura.

     

    La decisione del Tribunale

    a) Il Tribunale di Rovereto ha respinto le opposizioni e omologato il concordato preventivo. Il Tribunale rileva che l’art. 186-bis, prevedendo che la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore possa avvenire tramite la cessione dell’azienda ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione, non specifica in quale momento debbano avvenire tali operazioni. La decisione in oggetto chiarisce che, nell’ambito di un concordato preventivo in continuità, il conferimento in una società di nuova costituzione di un ramo d’azienda, realizzato prima del deposito dell’istanza di ammissione, se previsto e confermato nel piano, è da considerarsi coerente con il disposto dell’art. 186-bisfall., purché funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

     

    b) A conclusioni opposte è giunto invece il Tribunale di Rimini che ha affermato che la stipula di un contratto di affitto d’azienda da parte della società concordataria anteriormente al deposito di una domanda di concordato che preveda una scadenza ben precisa ed una clausola in forza della quale gli organi della procedura possano in ogni caso promuoverne lo scioglimento, non snatura il carattere liquidatorio del concordato essendo funzionale ad impedire la perdita dell’avviamento aziendale e a renderne più agevole la vendita.

     

    Il commento

    L’inquadramento della fattispecie in esame nell’ambito del concordato con continuità aziendale assume oggi notevole rilievo poiché, a seguito delle novità introdotte dal D.L. 83/2015, convertito in legge 132/2015, è stata introdotta una soglia minima di soddisfacimento dei creditori chirografari pari al 20%, che non è applicabile al solo concordato con continuità aziendale.

     

    L’art. 160 l.fall. rinvia alla definizione dell’art. 186-bis l.fall. il quale fa riferimento al contenuto del piano concordatario, che deve prevedere alternativamente:

    • la prosecuzione dell’attività di impresa, oppure
    • la cessione o conferimento dell’azienda in esercizio.

    La definizione ricomprende espressamente, quindi, sia ipotesi in cui le risorse da destinare ai creditori vengono ricavate dai flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività di impresa, senza una liquidazione dei beni (c.d. continuità “diretta”), sia ipotesi in cui viceversa il complesso aziendale in esercizio viene ceduto unitariamente nell’ambito di un piano di liquidazione di tutti gli attivi (c.d. continuità “indiretta”). Il concordato “con continuità aziendale” è quindi perfettamente compatibile (nella forma della continuità “indiretta”) con il concordato con cessione dei beni o comunque liquidatorio: ciò che rileva è la conservazione dell’azienda in esercizio dal punto di vista oggettivo e non soggettivo.

     

    Le incertezze permangono per quanto riguarda la previsione di un periodo di affitto di azienda, in particolare quando l’affitto sia divenuto efficace prima della presentazione della domanda di concordato: in tal caso, infatti, non vi è prosecuzione dell’attività di impresa in corso di procedura, ma è pur sempre prevista la cessione dell’azienda “in esercizio”, ad opera però dell’affittuario e non del debitore (in giurisprudenza, tra le più recenti, Trib. Roma 24 marzo 2015, Trib. Bolzano 10 marzo 2015, Trib. Vercelli 13 agosto 2014 e Trib. Mantova 19 settembre 2013 ritengono si tratti di concordato “con continuità”; in senso contrario, Trib. Ravenna 22 ottobre 2014, Trib. Busto Arsizio 1 ottobre 2014 e Trib. Patti 12 novembre 2013).

     

    Se in passato la disciplina applicabile al concordato “con continuità aziendale” sembrava effettivamente presupporre una prosecuzione almeno temporanea dell’attività di impresa in corso di procedura da parte del debitore, oggi le conclusioni potrebbero essere diverse, perché il quadro normativo è mutato. Il “valore” della conservazione dell’azienda in esercizio sembra essere il motivo fondamentale che giustifica un possibile maggior sacrificio dei creditori, a cui non deve essere garantita una percentuale minima di soddisfacimento: questa disposizione dovrebbe quindi applicarsi anche al concordato con affitto di azienda anteriore alla domanda di accesso alla procedura.

     

    Peraltro, in caso di concordato con continuità aziendale, l’art. 186 bis l.fall. stabilisce una condizione di ammissibilità ulteriore, in quanto la relazione del professionista di cui all’art. 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano concordatario sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Il concordato “con continuità aziendale” che preveda una percentuale inferiore al 20 percento potrebbe quindi essere inammissibile, ogni volta che l’alternativa della mera liquidazione (senza cessione dell’azienda in esercizio) sia in grado di garantire un livello di soddisfacimento maggiore: peraltro, non sembra un caso che possa verificarsi facilmente, perché nel fallimento, notoriamente, i valori di realizzo dei beni sono fortemente depressi.

     

     

     

    Per ulteriori informazioni: Fabio Marelli, fabio.marelli@advant-nctm.com

     

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