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    09.05.2019

    UE-Canada: il Ceta che piace all’Italia


    L’Accordo economico e commerciale globale (CETA) tra Canada ed Unione Europea, sancisce il libero scambio tra le due regioni. Un accordo commerciale che ha spesso visto l’opposizione di imprenditori e produttori. In Italia, la Coldiretti, insieme a svariate associazioni di consumatori e produttori, ha spesso criticato aspramente questo accordo. Anche lo stesso vicepremier italiano, Luigi Di Maio, aveva nel 2018 minacciato di rimuovere i funzionari che difendevano l’accordo UE-Canada. Dall’altre parte il Ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, ora favorevole all’accordo e il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.

     

    Con il tempo, la discussione si è persa nelle mille questioni interne, ma da poco abbiamo assistito ad una svolta. In occasione del convegno inaugurale di Cibus Connect, la Gazzetta di Parma riporta che: «Anche dal mondo agricolo arriva un segnale importante dalla Coldiretti riguardo il Ceta. L’associazione sembra oggi più possibilista rispetto al passato, alla luce dei recenti incontri con il commissario UE all’Agricoltura, Phil Hogan». Coldiretti è sempre stata scettica verso l’accordo, ma le discussioni avute a Bruxelles l’hanno rassicurata sulla tutela ed il riconoscimento delle indicazioni geografiche nel mercato canadese e sulla revisione del sistema di gestione delle quote di importazione di formaggi in Canada.

     

    La stessa Gazzetta di Parma riporta le parole del Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini: «Eravamo critici all’inizio. Ma se avremo risposte certe su alcuni punti chiave, come la presa in considerazione delle Dop minori che stanno crescendo sui mercati esteri dimostrandosi competitive, oltre che un confronto sui sistemi produttivi a partire da pari regole fitosanitarie per non ingenerare concorrenza sleale nonché quote lattiero-casearie non gestite solo dagli importatori, diremo sì». Insomma, la posizione iniziale di scontro si distende, ma solo dopo aver visto le proprie richieste soddisfatte. Rimane da capire se sarà possibile migliorare l’accordo in tal senso.

     

    Il trattato Ceta è in vigore dal 21 settembre 2017. La sua forma è però provvisoria, in attesa della ratifca di tutti gli Stati membri europei. Ciò significa che la maggior parte dell’accordo è applicabile. Il Ceta, prima di entrare pienamente in vigore, deve essere approvato dai parlamenti nazionali e, in alcuni casi, anche da quelli regionali dei Paesi dell’Unione Europea. Attualmente, i Paesi che lo hanno ratificato sono Spagna, Portogallo, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Danimarca, Repubblica Ceca e Croazia. In Italia, l’accordo stimola molte realtà produttive del settore agro-alimentare, ma il Parlamento italiano deve ancora ratificare l’accordo per farlo entrare pienamente in vigore. La Lega di Matteo Salvini è favorevole. Il Ministro Centinaio (Lega), come abbiamo già mostrato, è favorevole. Il Movimento Cinque Stelle di Di Maio non oppone resistenza, o almeno la stessa resistenza iniziale, e tanto meno compie un’interferenza costruttiva.

     

    L’economia italiana non vive un periodo di fioritura o di espansione. In questi anni, il comparto industriale si è molto affidato alle esportazioni. Gli ultimi dati economici dimostrano che la domanda interna italiana non aumenta. Il settore secondario produce 411 miliardi di euro l’anno grazie all’esportazioni. Ed in un momento in cui gli Stati Uniti minacciano dazi all’Unione Europea, la questione Ceta diventa sempre più pressante.

     

    Dal momento della firma del Ceta, l’economia italiana ha visto aumentare l’incidenza degli affari verso il Canada dell’11%. Inoltre, per ogni prodotto importato dal Canada, l’Italia ne ha esportati tre dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Il ‘Made in Italy’ è sinonimo di qualità oltremare: gli alimenti, i mobili e i vestiti. Il mercato alimentare, in un anno, ha aumentato le proprie esportazioni del 40%. Le esportazioni di formaggio italiano verso il Canada, nel 2018, sono cresciute del 28,8% (in quantità, non in valore) su base tendenziale. L’Italia ha guadagnato circa sette miliardi di dollari in un anno. Il Corriere della Sera, inoltre, stima che un’eventuale mancata approvazione frutterebbe un danno di circa 400 milioni di euro all’economia italiana.

     

    Ma, intanto, i produttori canadesi devono affrontare un problema: le severe normative europee in materia di produzione alimentare. L’ostacolo, per i produttori canadesi, è sia nell’agricoltura che nell’allevamento: è vietato l’uso del glifosato nei campi e l’uso degli ormoni della crescita per gli animali. Le condizioni sono alquanto sfavorevoli per i canadesi, che si dovranno allineare al più presto.

     

    In ogni caso, l’interesse del Governo canadese è ben chiaro: diversificare le esportazioni. Ovvero, diminuire la percentuale di scambi con gli Stati Uniti di Trump, che ha toccato picchi del 70% negli ultimi anni. Gli Stati Uniti hanno guadagnato terreno nel settore di latte e panna: sono ormai fornitori monopolisti del Canada con una quota di mercato del 98%. Il Presidente statunitense, Donald Trump, ha messo in crisi l’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio (NAFTA) tra Canada, Messico e Stati Uniti. Crisi poi ‘risolta’ con l’Accordo USCMA (United States, Mexico, Canada), lo scorso ottobre. Il Canada freme in vista della ratifica del trattato da parte di tutti gli Stati membri europei.

     

    Nel frattempo, il Canada, nel 2018, ha aumentato complessivamente le proprie importazioni del 21,6% in quantità e del 10,3% in valore. Inoltre, il saldo canadese ha segnato un incremento dell’11,7% delle importazioni totali calcolate in equivalente latte.

     

    Molte percentuali e molti mercati che si intrecciano in un mondo commerciale complesso. Per approfondire ed orientarsi in tale questione, abbiamo intervistato Avv. Paolo Quattrocchi, direttore del Centro Studi Italia Canada, vicepresidente della Camera di Commercio Italia – Canada Occidentale, e socio di Nctm Studio Legale.

     

    Il Ceta cosa significa nei rapporti tra Unione Europea e Canada, tra Italia e Canada?

     

    L’accordo CETA tra Unione Europea e Canada è molto innovativo, perché rispetto ai tradizionali trattati di libero scambio, non si limita a abbattere le barriere tariffarie – i dazi e le quote all’importazione. Affronta invece molte altre questioni, come la proprietà intellettuale, la disciplina degli appalti, il riconoscimento di titoli professionali, la certificazione di prodotto, e così via. Di grande rilevanza è inoltre l’Accordo di Partenariato Strategico, sottoscritto in ragione della somiglianza politica tra Canada e Unione Europea, e della loro pluridecennale cooperazione in materia strategico-militare, per approfondire e ampliare la cooperazione bilaterale su una vasta gamma di temi come la pace e la sicurezza internazionali, i diritti umani, il cambiamento climatico, la migrazione, etc.

     

    Chi è stato fautore di questo accordo, e come si sta muovendo il Governo gialloverde?

     

    Il Ceta è stato fortemente voluto dall’Unione Europea. In Italia, l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, aveva dimostrato il suo sostegno all’accordo economico e commerciale con il Canada. Ma dopo le elezioni del 4 marzo 2018, in ragione della posizione oltranzista assunta da Coldiretti, il Governo gialloverde si è schierato contro la ratifica del Ceta. Teniamo conto che un intergruppo parlamentare ‘No Ceta’ era già stato costituito all’epoca del vecchio Governo con la partecipazione di esponenti da diversi partiti, tra cui Fratelli d’Italia, Forza Italia, Partito Democratico, Liberi e Uguali, e senz’altro Lega e Movimento 5 Stelle. Ma i timori e le previsioni paventati dai ‘No Ceta’ non si sono realizzate, ovviamente. Le esportazioni italiane in Canada sono aumentate, le importazioni italiane del grano canadese sono crollate – anche se il Ceta non è la causa principale. A questo punto, si inserisce la recente apertura di Coldiretti al Ceta, dopo anni di opposizione costante.

     

    A cosa può essere dovuto questo cambio di direzione di Coldiretti?

     

    La ragione può essere la crescita del settore agroalimentare italiano, ovvero gli ottimi risultati riportati dopo la firma dell’accordo. 47 indicazioni geografiche italiane prima non venivano riconosciute nel mercato canadese: non potevano essere vendute oltreoceano. Con il Ceta sono riconosciute e valorizzate in Canada, e il vantaggio per l’imprenditoria italiana è alquanto rilevante. Coldiretti ha dimostrato di aver abbandonato la sua politica ideologica iniziale, a favore di un ragionamento più economico e legato ai dati. I piccoli marchi sono, inoltre, favoriti dagli accordi: una proposta massiccia di prodotti, nel commercio internazionale, rende la propria presenza nel mercato più rilevante, dando così spazio e visibilità anche a piccole imprese italiane del settore agroalimentare.

     

    Nelle discussioni del Ceta, gruppi e associazioni, come la Coldiretti, che ruolo hanno giocato?

     

    Le negoziazioni sono durate 7 anni, e non è stato un accordo segreto: sono state interpellate molte parti, le ‘lobby’ del panorama europeo e canadese, cioè gruppi ed associazioni portatrici di interessi. Ad esempio, in Canada, più precisamente in Québec, i produttori di formaggio si sono opposti al Ceta per via delle quote di formaggio in entrata, alzate del 300%. Ma bisogna ricordare che il Ceta non prevede nessun obbligo di acquisto: sia i canadesi che gli europei decidono liberamente cosa importare e cosa esportare. E spesso ci si è dimenticati delle severe regole che l’Unione Europea prevede per l’importazione di prodotti alimentari. Le preoccupazioni iniziali di molti osservatori erano infondate, l’accordo avvantaggia entrambe le parti.

     

    Il ‘Made in Italy’ è valorizzato in Canada?

     

    Il ‘Made in Italy’ è molto valorizzato, tutto quello che è italiano tende ad avere successo in Canada: dal settore agroalimentare al design di moda e tecnico. Inoltre, il Canada è molto impegnato nel settore infrastrutturale e minerario, ma pecca nel settore manifatturiero. 36 milioni di abitanti che apprezzano l’eccellenza manifatturiera italiana sono un’ottima opportunità per l’economia italiana. In questo senso, i canadesi avrebbero maggiore ragione di noi di ‘temere’ il Ceta e i prodotti italiani di qualità nell’ambito manifatturiero.

     

    Quindi, l’accordo Ceta è già attivo, anche senza la ratifica del Parlamento italiano?

     

    L’accordo di libero scambio è completamente attivo: i produttori italiani non pagano dazi nell’esportare i propri beni in Canada. La sfida che si pone ora è quella di operare con intelligenza, sostenendo le imprese italiane a conoscere l’accordo e ad utilizzarlo nel migliore modo possibile.

     

    Infine, il Ceta risponde alla politica protezionistica di Donald Trump?

     

    Nel dibattito politico italiano, spesso Ceta e TTIP sono stati accomunati. Ma Canada e Stati Uniti hanno rapporti molto diversi con l’Unione Europea. Il Canada può essere un partner estremamente strategico per l’Europa, per vicinanza culturale in primis. E nonostante il rapporto privilegiato che lega Canada e Stati Uniti, due economie strettamente interconnesse, il cui scambio commerciale è reciprocamente superiore all’80%. Il Canada ha necessità di diversificare le proprie esportazioni. Ha quindi aperto al Ceta per diminuire la propria dipendenza dagli Stati Uniti, l’Unione Europea invece per interessi economici, ma anche per un’identità politica comune che ha riconosciuto nel Canada. Parliamo di due ‘soft power’ accomunati dagli stessi ideali, principi e filosofia di vita. Si completano e sono portatrici diplomatiche di interessi ‘occidentali’.

     

     

     

     

     

    Tratto da L'Indro