Gli Eltif investono il 70% in aziende piccole non quotate. Sono chiusi: se li scegli devi restare per un po' di anni
Non chiamateli Pir europei. Perché gli Eltif, acronimo di European long term investment fund, sono strumenti completamente diversi dai piani individuali di risparmio che gli investitori italiani hanno imparato a conoscere. E che oggi si trovano bloccati dal cantiere riaperto con l'ultima Legge di Bilancio, che ne ha parzialmente modificato il perimetro, creando qualche difficoltà operativa.
Gli Eltif sono fondi chiusi a lungo termine focalizzati sul sostegno alle piccole e medie imprese. Istituiti nel 2015 da un Regolamento europeo - che non prevede quindi leggi di recepimento nei singoli Paesi -, sono stati definitivamente accolti nel nostro ordinamento nel febbraio del 2018, dopo la pubblicazione in Gazzetta di un decreto che sostanzialmente si limitava a identificare in Consob e Bankitalia le autorità di Vigilanza. «C'è un certo fermento tra gli operatori: molti cercando di capire se e in che misura possano rappresentate un'opportunità innovativa per gli investitori», spiega Andrea Tonon, partner dello studio Di Tanno e associati. Il primo grande player uscito allo scoperto è Eurizon, che a fine gennaio ha annunciato il via al primo Eltif italiano. La società francese October (ex Lendix) ha già realizzato tre prodotti, un altro è in costituzione. E secondo quanto l'Economia è in grado di ricostruire, avendo completato un'indagine su circa 40 società, tra grandi asset manager, boutique, intermediari di varie dimensioni, almeno altri tre player sono pronti a partire: a marzo, Muzinich&co lancerà un Eltif (costruito in partnership con Cordusio). Poi, il primo giugno, sarà la volta di Amundi con un nuovo fondo ed entro fine anno toccherà a Kairos (vedi tabella).
Ogni Eltif ha caratteristiche differenti, fermi restando i paletti fissati dal legislatore europeo: almeno il 70% degli asset deve infatti essere destinato in pmi non quotate o con una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro. Sono escluse le società finanziarie. Qui torna utile il paragone con i Pir, a cui è stata «rimproverata» la scarsa capacità di portare benefici alle pmi. Gli Eltif sono invece lo strumento ideale. Oltretutto, trattandosi di fondi chiusi, si prestano bene ad accogliere investimenti illiquidi - tra le attività ammissibili ci sono azioni, strumenti di debito e prestiti erogati dall'Eltif a pmi o quote di altri Eltif -. C'è quindi perfetta coerenza tra le caratteristiche del contenitore e quelle del contenuto, problema che invece emergerà nel caso dei piani di risparmio, per la quota da destinare a società quotate all'Aim e fondi di venture capital, per un totale del 7% del portafoglio, stabilita dall'ultima Legge finanziaria come ulteriore requisito. D'altra parte, essendo fondi chiusi vincolano l'investitore per tutta la durata dell'investimento. Hanno quindi un profilo di rischio peculiare che deve essere spiegato in fase di consulenza, condizione posta anche dal regolamento europeo, che ha fissato ulteriori presidi: l'esposizione a un singolo emittente non deve superare il 10%. E laddove il portafoglio finanziario del cliente sia inferiore ai 500 mila euro, è previsto un investimento minimo di almeno 10 mila euro. In ogni caso, la somma investita non può eccedere il 10% del patrimonio complessivo. «Sono strumenti più difficili da vendere», commenta Luca Ferrari Trecate, consulente di Nctm studio legale. Anche perché non godono degli stessi benefici fiscali riconosciuti ai Pir. La differenza di trattamento appare inspiegabile. E al tempo stesso contribuisce a spiegare perché gli Eltif siano stati accolti tiepidamente dall'industria del risparmio, nella fase iniziale.
C'è anche un problema di competenze. «Molti operatori si stanno attrezzando», chiosa Ferrari Trecate. D'altra parte, osserva Tonon, «considerato che i vincoli sono più stringenti per un Eltif rispetto ad un fondo alternativo retail, il vero vantaggio per gli asset manager è rappresentato dal passaporto automatico: una volta autorizzato in un Paese dell'Unione, può essere commercializzato in tutta l'Ue agli investitori non professionali, senza necessità di ulteriori licenze. Ma è un vantaggio soprattutto per le sgr italiane che vogliono fare raccolta all'estero sul mercato retail. E al momento non sono molte».
Tratto da il Corriere della sera