Questa nota illustra la normativa antitrust attualmente applicabile alle restrizioni alle vendite online e indica le modifiche suscettibili di intervenire in base alla proposta di modifica del Regolamento (UE) n. 330/10 e degli Orientamenti sulle Restrizioni Verticali pubblicati dalla Commissione Europea a luglio 2021.
Nel contesto della normativa antitrust si definiscono accordi verticali gli accordi tra imprese attive a diversi livelli della catena di produzione o distribuzione, che fissano le condizioni di acquisto, vendita o rivendita dei prodotti oggetto dell’accordo.
La normativa europea in materia di accordi verticali mira da un lato a garantire alle imprese un ampio margine di libertà rispetto alle modalità di distribuzione prescelte, dall’altro lato a contrastare l’adozione di pratiche che sono ritenute restrittive della concorrenza (tra i più tipici esempi: imposizione dei prezzi di rivendita, compartimentazione dei mercati, apposizione di limiti alla produzione).
Le norme di riferimento applicabili agli accordi verticali sono contenute nel Regolamento (UE) n. 330/10, (il “Regolamento”) che esenta automaticamente dal divieto di intese restrittive della concorrenza gli accordi verticali che soddisfano determinati requisiti (cd. Vertical Block Exemption Regulation, “VBER”)[1], accompagnato dagli Orientamenti della Commissione europea sulle Restrizioni Verticali (“ORV”), che forniscono indicazioni sull’applicazione del Regolamento oltre che sulla valutazione delle pratiche verticali cui il Regolamento non può essere applicato.
Il quadro normativo che questi due documenti delineano con riferimento alle restrizioni che il fornitore può imporre alle vendite online effettuate dai distributori (ossia il regime attualmente in vigore) può essere sintetizzato come segue.
a) Come regola generale, le vendite effettuate via internet sono una forma di vendita passiva[2], e come tali non possono essere vietate né limitate. Il divieto assoluto per un distributore di vendere online è considerato una restrizione per oggetto alla concorrenza. A qualsiasi distributore deve essere consentito di utilizzare Internet per vendere prodotti e raggiungere clienti più numerosi e differenziati.
b) Sono pertanto considerate restrizioni gravi della concorrenza: il re-instradamento automatico di clienti situati in un altro territorio verso il sito Internet del produttore o di altri distributori esclusivi; l’interruzione della transazione online una volta accertato mediante i dati della carta di credito che il consumatore si trova al di fuori del territorio esclusivo del distributore; l’imposizione di un limite alla proporzione delle vendite online effettuate dal distributore; l’imposizione al distributore di un prezzo più alto per i prodotti da rivendere online rispetto a quelli da rivendere off-line[3].
c) Esistono però delle differenze a seconda del sistema di distribuzione prescelto:
d) Ciò premesso, resta possibile per il fornitore:
(i) imporre al distributore il rispetto di determinati standard qualitativi per le vendite online (ORV, §54), a condizione che essi siano “equivalenti a quelli imposti per le vendite non virtuali” (ORV, §56 con riferimento alla distribuzione selettiva);
(ii) escludere dalla propria rete distributiva operatori attivi esclusivamente online (c.d. pure players). Gli ORV (§54) stabiliscono infatti che “il fornitore può ad esempio richiedere ai suoi distributori di avere più punti vendita o saloni di esposizione «non virtuali» come condizione per divenire membri del suo sistema di distribuzione”;
(iii) richiedere che il distributore venda off-line una data quantità di prodotti, al fine di garantire una gestione efficiente del punto vendita non virtuale, senza, con ciò, porre limiti alle ulteriori vendite online (ORV, §52)
(iv) richiedere al distributore di indicare, a titolo informativo, nel proprio sito i link agli indirizzi Internet del fornitore (ORV. §52).
e) Nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva, il fornitore può inoltre:
(i) vietare la vendita su piattaforme di terzi (e. marketplace come Amazon o eBay), su cui si è espressa la Corte di Giustizia nel caso Coty.
(ii) richiedere al distributore di non vendere ad un singolo utente finale più di una determinata quantità di prodotti (tale condizione può dover essere più rigida per le vendite online se è più facile per un distributore non autorizzato ottenere tali prodotti utilizzando Internet (ORV, §56);
(iii) imporre requisiti specifici per un help desk post-vendita on-line, al fine di coprire i costi della restituzione dei prodotti da parte dei clienti, e per applicare sistemi di pagamento sicuri (ORV, §56).
2. Le restrizioni alle vendite online nella nuova Proposta di Regolamento e di ORV della Commissione
Nel luglio 2021 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di revisione del Regolamento (UE) n. 330/2010 (VBER) (la “Proposta di Regolamento”) e degli Orientamenti sulle restrizioni verticali la “Proposta di ORV”)[8], che si pone l’obiettivo di adattare la disciplina degli accordi verticali agli sviluppi del mercato intervenuti nell’ultimo decennio, con particolare riferimento al commercio online.
Pur trattandosi allo stato attuale di proposte soggette a possibili variazioni all’esito della consultazione pubblica (il nuovo Regolamento dovrebbe entrare in vigore il 1° giugno 2022) il trend che emerge da questi documenti è quello di una maggiore apertura da parte della Commissione alla possibilità per i fornitori di imporre restrizioni alle vendite online.
Di seguito le principali modifiche suscettibili di intervenire in base alla Proposta di Regolamento.
a) La nuova definizione di “vendite attive”
La Proposta di Regolamento fornisce una nuova definizione della nozione di “vendite attive”, intendendo con ciò “tutte le forme di vendita diverse dalle vendite passive, che comprendono il contatto attivo dei clienti mediante visite, lettere, email […] gli strumenti di confronto dei prezzi o la pubblicità sui motori di ricerca destinata a clienti appartenenti a specifici territori o gruppi di clienti” (art. 1 lettera (l) della Proposta di Regolamento).
In particolare, sono considerate forme di vendita attiva (che in quanto tali possono ora essere proibite dal fornitore nell’ambito di un sistema di distribuzione esclusiva):
Il fatto che la nozione di vendita attiva sia costruita in senso più ampio rispetto al regime vigente sotto il corrente Regolamento (che qualifica in pratica qualsiasi vendita effettuata via internet come vendita passiva) permetterebbe oggi di ampliare il novero delle vendite online che possono essere proibite nell’ambito di un sistema di distribuzione esclusiva.
b) Il criterio generale per valutare le restrizioni hardcore alle vendite online
Come principio generale, la Proposta di Regolamento stabilisce che sono restrizioni hardcore alle vendite online, e quindi restrizioni fondamentali vietate, quelle che “hanno per oggetto di impedire agli acquirenti (o ai loro clienti) di utilizzare efficacemente Internet al fine di vendere i loro beni o servizi online” o di impedire loro di utilizzare efficacemente uno o più canali pubblicitari online. Quindi, una restrizione che riduce “in modo significativo la quantità complessiva di vendite online sul mercato” costituisce una restrizione grave delle vendite attive o passive (art. 1, par. 1, lett. n. della Proposta di Regolamento e §. 188 della Proposta di ORV).
La portata di questa regola generale non è al momento agevolmente identificabile e verrà con ogni probabilità chiarita nei suoi contenuti dalla giurisprudenza. La proposta di ORV fornisce però alcuni esempi di restrizioni aventi per oggetto di impedire ai distributori di utilizzare efficacemente internet (cfr.§192). Vengono in proposito espressamente annoverati “il divieto diretto o indiretto di utilizzare specifici canali pubblicitari online, quali strumenti di confronto dei prezzi o pubblicità su motori di ricerca, o altre restrizioni alla pubblicità online che vietino indirettamente l’utilizzo di uno specifico canale pubblicitario online, come ad esempio l’obbligo per il distributore di non utilizzare marchi commerciali o marche dei fornitori per le offerte da indicizzare in motori di ricerca o il divieto di fornire informazioni relative ai prezzi a strumenti di confronto dei prezzi”.
c) Le restrizioni alle vendite online ammissibili
Nel rispetto del criterio generale di cui sopra, la Commissione ammette un certo numero di restrizioni nell’ambito delle vendite online. Alcune coincidono con quelle già permesse dall’attuale Regolamento; altre riflettono l’approccio maturato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nell’ultimo decennio e l’evoluzione del mercato, che ha visto una crescita esponenziale delle vendite online, con conseguente difficoltà dei negozi fisici di competere con i grandi marketplace online.
Nello specifico, al fornitore è permesso limitare le vendite online dei propri distributori tramite:
d) Clausole most-favoured nation (MFN) e vendite online – una nuova fattispecie di restrizione esclusa
Gli obblighi di parità, denominati anche clausole della nazione più favorita o accordi di parità tra piattaforme (Across Platform Parity Agreement – APPA), impongono a un fornitore di beni o servizi di offrire questi ultimi a un acquirente, a condizioni che non siano meno favorevoli rispetto a quelle offerte dal fornitore ad altri acquirenti o su determinati altri canali. Le condizioni possono riguardare prezzi, scorte, disponibilità o altri termini o condizioni di offerta o vendita.
Negli ultimi anni le MFN sono state oggetto di crescente attenzione da parte delle autorità di concorrenza vista la loro incidenza sul fenomeno dell’e-commerce[9] e delle prenotazioni alberghiere on-line.[10]. La clausola MFN può essere “ampia” (parità rispetto a qualsiasi altra piattaforma, in modo che la piattaforma che la impone possa sempre offrire il “best deal”) o “ristretta”, se vale solo con riguardo alle condizioni offerte dal venditore sul proprio sito web.
La proposta di ORV contiene un’analisi dettagliata delle clausole MFN, distinguendo non solo tra obblighi di parità ampi e ristretti ma anche tra:
La principale preoccupazione concorrenziale identificata dalla Commissione è legata alle clausole MFN ampie nella vendita al dettaglio, poiché esse scoraggiano i fornitori che utilizzano piattaforme di intermediazione online dal proporre sconti o prezzi ridotti sui prodotti.
In ragione di ciò, la Proposta di Regolamento inserisce tali clausole all’articolo 5 quale nuova fattispecie di restrizione esclusa dal beneficio di esenzione automatica all’applicazione dell’art. 101 TFUE. Il nuovo art. 5.1 (d) stabilisce infatti che costituisce una restrizione esclusa “un obbligo diretto o indiretto che impedisca agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servizi agli utenti finali a condizioni più favorevoli utilizzando servizi di intermediazione online concorrenti”.
In conseguenza di ciò, le clausole MNF di tale tipologia dovranno essere valutate individualmente ex art. 101 TFUE. Inoltre, qualora risultino illecite, esse non precludono l’esenzione per il resto dell’accordo, purché ne siano separabili. La Proposta di ORV fornisce una serie di orientamenti per aiutare le parti nell’effettuare questa valutazione (cfr. §§ 337-345).
In primo luogo, il documento indica quali sono le due principali preoccupazioni concorrenziali sollevate dalle clausole MFN ampie nella vendita al dettaglio e da tenere in considerazione: (i) indeboliscono la concorrenza e agevolano la collusione tra i fornitori di servizi di intermediazione online (è più probabile che un fornitore che impone tale tipo di obbligo di parità possa aumentare il prezzo o ridurre la qualità dei suoi servizi di intermediazione senza perdere quote di mercato); (ii) precludono l’ingresso o l’espansione ai nuovi o piccoli fornitori di servizi di intermediazione online, limitando la loro capacità di offrire agli acquirenti e agli utenti finali combinazioni prezzo-servizio differenziate.
Occorre inoltre considerare che gli effetti restrittivi degli obblighi di parità nella vendita al dettaglio tra piattaforme saranno generalmente più gravosi quando sono utilizzati da uno o più fornitori principali di servizi di intermediazione online (cfr. Proposta di ORV, § 341).
L’assessment antitrust relativo alle clausole MFN ampie nella vendita al dettaglio deve prendere in considerazione i seguenti elementi essenziali: (i) la quota complessiva di acquirenti dei servizi di intermediazione online soggetta a tali obblighi di parità (nel caso di un effetto cumulativo, gli effetti restrittivi saranno generalmente attribuiti solo agli obblighi di parità dei fornitori la cui quota di mercato supera il 5 %); (ii) il numero di piattaforme di intermediazione utilizzato dagli acquirenti di servizi di intermediazione online e dagli utenti finali; (iii) la posizione di mercato del fornitore che impone l'obbligo e dei suoi concorrenti; (iv) l'esistenza di barriere all'ingresso sul mercato rilevante dei servizi di intermediazione online e (v) l'impatto delle vendite dirette da parte degli acquirenti dei servizi ( poiché possono limitare la capacità dei fornitori di servizi di intermediazione online di aumentare il prezzo dei propri servizi).
Al contrario, le clausole MFN ristrette nella vendita al dettaglio e quelle applicate al di fuori della vendita al dettaglio rientrano nell’esenzione per categoria prevista dal Regolamento, a condizione che le parti non detengano una quota di mercato superiore al 30%.
e) Dual distribution
Con Dual Distribution si intende quella pratica messa in atto dal fornitore che vende i propri beni o servizi all’ingrosso, tramite retailer (B2B), ma anche al dettaglio (D2C), entrando così in concorrenza diretta con i suoi distributori.
L’aumento delle vendite online, in particolare tramite Marketplaces come Amazon, ha comportato un significativo aumento di accordi di dual distribution.
Questa pratica implica significativi rischi concorrenziali a causa del probabile danno che potrebbero provocare ai consumatori in relazione alla possibilità di:
i. Disciplina attuale
L’art. 2 della VBER attuale afferma che l’art. 101 TFUE è inapplicabile agli accordi verticali, a condizione che la quota di mercato detenuta da entrambe le parti non superi il 30%.
Questa esenzione non si applica agli accordi verticali conclusi tra imprese concorrenti, a meno che l’accordo verticale non sia reciproco e sussista una delle seguenti condizioni:
a) il fornitore è un produttore e un distributore di beni, mentre l’acquirente è un distributore e non un’impresa concorrente a livello della produzione; oppure
b) il fornitore è un prestatore di servizi a differenti livelli della catena commerciale, mentre l’acquirente fornisce i propri beni o servizi al livello del dettaglio e non è un'impresa concorrente al livello della catena commerciale in cui acquista i servizi oggetto del contratto
Di conseguenza, la dual distribution stabilita in accordi non reciproci, tra parti che detengono meno del 30% della quota di mercato e che non determina gravi restrizioni alla concorrenza è esentata dall’applicazione dell’art. 101.1 TFUE.
ii. Disciplina proposta
La Commissione Europea propone ora di apportare modifiche al regime esistente, in particolare la bozza prevede:
a) la limitazione dell’esenzione per la dual distribution ai casi in cui la quota di mercato aggregata delle parti nel mercato al dettaglio non supera il 10%, (articolo 2(4)). Inoltre, la bozza propone anche di ampliare il campo di applicazione dell’esenzione a grossisti ed importatori.
Il riferimento alla soglia del 10% è stato rimosso in seguito al riscontro negativo degli stakeholders.
b) la creazione un “safe harbour” aggiuntivo per la dual distribution, ma limitato alle ipotesi in cui il fornitore e i suoi distributori abbiano una quota di mercato aggregata a livello di vendita al dettaglio superiore al 10%, ma non superiore alla quota di mercato del 30%. In questo caso, tutti gli aspetti dell'accordo verticale rimangono esentati, ad eccezione degli scambi di informazioni tra le parti dell'accordo verticale, che devono essere valutati in base alle norme applicabili agli accordi orizzontali (articolo 2(5)).
c) l’esclusione dei fornitori di servizi di intermediazione on-linedall’esenzione se hanno una funzione ibrida, ossia quando vendono beni o servizi in concorrenza con imprese a cui forniscono servizi di intermediazione on-line (articolo 2(7));
Inoltre, per profittare delle “zone di sicurezza” di cui alle lettere a) e b), l’accordo verticale non deve contenere alcuna restrizione “per oggetto” di cui all’art. 101(1) TFUE, né le c.d. restrizioni fondamentali di cui all’art. 4 (es. determinare la facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, restrizioni relative al territorio in cui o al gruppo di clienti ai quali un acquirente può vendere attivamente o passivamente i beni o servizi oggetto del contratto, restrizione della facoltà del fornitore di vendere tali componenti come pezzi di ricambio ad utenti finali, ecc.).
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Luca Toffoletti, Francesco Mazzocchi e Manuela Becchimanzi.
[1] Nel sistema stabilito dal Regolamento (UE) n. 330/10, sono esentati dal divieto di intese restrittive tutti gli accordi verticali in cui: (a) le parti non detengano più del 30% dei mercati rilevanti dove rispettivamente vendono e acquistano i beni oggetto del contratto e (b) non vi siano restrizioni gravi della concorrenza. Se anche solo una di queste condizioni non è soddisfatta, il Regolamento non si applica e l’accordo è soggetto ad una valutazione individuale per verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 101 (3) TFUE.
[2] ORV, § 52 (le vendite con relativa consegna, originate da situazioni in cui un cliente “visita il sito Internet di un distributore e lo contatta” o chiede “di essere informato (automaticamente) dal distributore”, sono una forma di “vendita passiva”. La distinzione tra vendite attive e vendite passive è contenuta negli ORV (§§ 51-52): le vendite passive sono quelle realizzate su richiesta di clienti non sollecitati dal venditore o come conseguenza di sue attività promozionali generali – cioè non specificamente indirizzate a tali clienti – circolate sui media o su internet. Sono attive le vendite sollecitate dal venditore mediante contatti e attività commerciali o promozionali dirette specificamente a determinati clienti o territori, attraverso posta tradizionale, posta elettronica, visite, promozioni indirizzate o riservate a territori o categorie di clienti, aperture di locali, depositi o punti vendita, ecc.).
[3]ORV, § 52.
[4] ORV, § 53.
[5] Corte UE, C-439/09, Pierre Fabre. Un’azienda francese di cosmetici chiede ai propri distributori di rivendere i prodotti solo in uno spazio fisico, alla presenza di un laureato in farmacia, vietando indirettamente le vendite on-line. La Corte ha concluso che una clausola siffatta contrattuale in un sistema di distribuzione selettiva costituisce una restrizione per oggetto, qualora in base a “un esame individuale e concreto” del tenore e dell’obiettivo della clausola e del "relativo contesto giuridico ed economico,” essa non sia oggettivamente giustificata dalle caratteristiche dei prodotti (§§ 46 ss). Nello stesso senso, C‑108/09, Ker-Optika, § 76, in cui la Corte respinge un analogo argomento volto a giustificare il divieto di vendere via Internet fondato sulla necessità di prestare consulenza personalizzata al cliente in relazione alla vendita di lenti a contatto.
[6] Commissione Europea, Staff Working Document accompanying the Final report on the E-commerce Sector Inquiry, SWD/2017/0154 final, p. 166. Nel caso Asics (2017) sia il Bundeskartellamt che la Federal Court of Justice tedesca hanno ritenuto che il divieto per il distributore di collegare il proprio sito con un sistema di comparazione dei prezzi (con il risultato che i consumatori non trovano i loro prodotti e i prezzi praticati durante la ricerca web) costituisce una restrizione per oggetto in violazione dell’art. 101 TFUE, in quanto ostacola la ricerca da parte dei clienti e restringe la concorrenza sui prezzi. Tale divieto non è neppure giustificato da ragioni qualitative, quali la protezione dell’immagine del brand o il tentativo di arginare un fenomeno di free-riding.
[7] Commissione Europea, caso AT.40428, Guess. La Commissione censura il divieto sistematico, imposto da GUESS ai propri distributori di usare i nomi commerciali e i marchi Guess per pubblicizzare on-line i prodotti contrattuali mediante Google AdWords. Secondo la Commissione, gli obiettivi perseguiti da Guess erano (i) la massimizzazione del traffico di utenti verso il proprio sito web a scapito di quello dei distributori e (ii) la riduzione dei propri costi pubblicitari, stante il particolare funzionamento di Google AdWords (che si basa su un sistema di aste in cui gli inserzionisti fanno offerte per specifiche parole chiave che, una volta inserite dagli utenti sul motore di ricerca, rimandano a link pubblicitari e, a loro volta, ai siti web degli inserzionisti).
[8] La proposta è stata sottoposta a consultazione pubblica fino al 17 settembre 2021. L’intero processo di revisione dovrà concludersi entro il 31 maggio 2022, data in cui scadrà l’attuale VBER.
[9] Commissione, caso AT.4015, Clausole MFN per gli e-book e questioni correlate.
[10] Cfr. decisioni assunte nel caso Booking.com ed Exepdia dalle autorità di concorrenza svedese ( Konkurrensverket, 15.4.2015, 596/2013); francese Autorité de la concurrence, 21.4.2015, 15-D-06), tedesca (Bundeskartellamt, 23.12.2015) e dall’AGCM I779, Mercato dei servizi turistici-Prenotazioni alberghiere on line . Tutti i casi riguardano clausole MFN imposte alle strutture alberghiere da Booking ed Expedia quale condizione per apparire sulle proprie piattaforme web, e non riguardano solo i prezzi delle stanze e la disponibilità ma anche le condizioni di prenotazione e di cancellazione. Booking ed Expedia impediva dunque agli hotel di offrire prezzi inferiori su qualsiasi altra piattaforma. Le tre autorità della concorrenza hanno accettato gli impegni di Booking consistenti nel sostuire le clausole MFN “ampie” con quelle “ristrette”. Booking ha proposto i medesimi impegni anche al Federal Cartel Office tedesco in un procedimento analago, ma l’autorià tedesca li ha rifiutati proibendo altresì l’utilizzo di clausole MFN “ristrette”, decisione da ultimo confermata dalla Corte di Giustizia Federale il 18 maggio 2021. La Corte ha infatti ritenuto che esse costituiscano restrizioni accessorie non necessarie al raggiungimento degli obiettivi del contratto di mediazione tra Bookings e gli hotel. La Corte non ha ritenuto neppure applicabile l’art. 101 (3) TFUE in quanto la clausola non comportavano un vantaggio in termini di efficienza.