La Suprema Corte di Cassazione, con riferimento ad un’azione di responsabilità promossa contro gli amministratori e il sindaco di una s.r.l. anche per violazione dei principi in materia di redazione del bilancio d’esercizio, è recentemente tornata tanto sulla questione della ripartizione (di competenza) tra arbitri e giudice ordinario quanto su quella del limite all’arbitrabilità rappresentato dall’avere la controversia ad oggetto diritti disponibili.
Questi i fatti:
Alla luce di quanto sopra, la Sesta Sezione della Suprema Corte (Cass., 6/11/2017, n. 26300, est. Marulli) si è soffermata, innanzitutto, sul tema dell’interpretazione della clausola compromissoria, mandando esente da cassazione la pronuncia declinatoria resa dal Tribunale.
La Corte, in proposito, ha ribadito il proprio orientamento (fra le altre: Cass., 21/11/2013, n. 26135) secondo cui l’indagine in ordine alla portata di una clausola compromissoria statutaria va condotta alla stregua degli ordinari canoni di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 ss. c.c.); e, proprio in considerazione della corretta applicazione di questi canoni da parte del giudice di merito, ha affermato che, nella fattispecie, la clausola compromissoria prevedeva una mera facoltà di adire il collegio arbitrale solo se si fosse trattato di “controversia insorgente tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbia ad oggetto diritti disponibili”, ma non per le “controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci, ovvero nei loro confronti”, rispetto alle quali vi era invece un vero e proprio vincolo (nel primo caso la clausola di cui si è detto, infatti, utilizza l’espressione “può essere rimessa”; nel secondo, diversamente, l’espressione “sono rimesse”).
I giudici di legittimità hanno rinvenuto conferma che la volontà delle parti fosse in questa direzione prendendo come termine di paragone l’archetipo normativo rappresentato dall’art 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Tale disposizione stabilisce (comma 4°) che “gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti”; ne ha quindi dedotto che, nel caso di specie, le parti – a livello statutario – avessero voluto precisare quanto stabilito da detta norma, nel senso appunto di istituire un obbligo, e non una mera facoltà, di adire il collegio arbitrale.
Ciò premesso, ancor più interessante ai nostri fini è la seconda questione affrontata dal Supremo Collegio, la quale – come anticipato – riguarda il limite all’arbitrabilità rappresentato dall’avere la controversia ad oggetto diritti disponibili.
Posto infatti che tra gli inadempimenti contestati ai convenuti con l’azione di responsabilità vi era anche la violazione dei principi in materia di redazione del bilancio – e posto che questi principi, come è difficilmente contestabile, presiedono ad interessi collettivi (dei soci e) dei terzi – i ricorrenti avevano censurato la decisione del Tribunale anche sul presupposto che la stessa avrebbe violato le norme di cui agli artt. 806 c.p.c. (arbitrabilità delle sole controversie “che non abbiano per oggetto diritti indisponibili”) e 34, comma 1°, d.lgs. n. 5/2003 (arbitrabilità delle sole controversie “che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”).
Detta censura, tuttavia, è stata ritenuta infondata dalla Suprema Corte.
Questa – se da una parte ha ribadito che non è compromettibile la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio per difetto di verità, chiarezza e precisone (fra le altre: Cass., 13/10/2016, n. 20674) – dall’altra parte ha osservato che la censura dei ricorrenti si presentava viziata da “un evidente errore di impostazione”.
Ciò perché i ricorrenti avevano allegato la violazione delle norme in materia di bilancio non già per far dichiarare l’invalidità dello stesso, ma solo “quale indice della violazione da parte degli intimati degli obblighi loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo”: ne derivava che la controversia non aveva “per oggetto diritti indisponibili” (come sarebbe stato se fosse stato impugnato il bilancio) bensì diritti disponibili (il diritto al risarcimento del danno).
Così decidendo, la Corte di Cassazione, per un verso, si è uniformata al proprio indirizzo (fra le altre: Cass., 19/02/2014, n. 3887; Cass., 18/05/2007, n. 11658; Cass., 02/09/1998, n. 8699), secondo cui l’azione di responsabilità – essendone, di regola, ammessa la rinuncia e la transazione (artt. 2393, comma 6°, c.c.; 2476, comma 5°, c.c.) – ha ad oggetto necessariamente diritti disponibili, pur se posta a tutela di un interesse collettivo. Soggiungiamo che il limite della disponibilità dei diritti dovrebbe probabilmente considerarsi rispettato anche se l’atto costitutivo della s.r.l., come ammesso dall’incipit dell’art. 2476, comma 5°, c.c., diversamente disponga circa la rinunciabilità e transigibilità dell’azione, nel senso di escluderle; ciò almeno nelle ipotesi in cui, nonostante l’esclusione, lo statuto preveda comunque la devoluzione dell’azione al collegio arbitrale: in questi casi l’autonomia statutaria ha sì limitato la disponibilità dei diritti, ma non sino al punto d’escludere l’attribuzione dell’azione alla giustizia privata.
Per altro verso, la Corte di Cassazione – nel ribadire la non arbitrabilità delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle deliberazioni di approvazione del bilancio – ha ulteriormente contribuito a chiarire, a beneficio degli operatori, un punto oggetto, come noto, di dibattito in dottrina e in giurisprudenza, dal momento che in alcune occasioni la giurisprudenza di merito, senza soverchie esitazioni, si era dichiarata propensa all’arbitrabilità (anche) delle impugnative di bilancio.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Daniele Griffini o Valentina Riboldi.