Con la recente sentenza n. 3641 del 14 febbraio 2018, la Corte di Cassazione Civile, sezione I, è stata chiamata a decidere in ordine all’esperibilità dell’azione revocatoria del creditore nei confronti del fondo patrimoniale costituito da uno dei coniugi convenuti in giudizio ed avente ad oggetto un immobile di sua proprietà nonché all’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti dei figli, in quanto litisconsorti necessari.
La questione che fa da sfondo alla pronuncia in esame è quella riguardante l’azione revocatoria, ex art. 2901 c.c., promossa dalla Banca San Paolo IMI s.p.a. nei confronti del fondo patrimoniale costituito da uno dei coniugi convenuti in giudizio ed avente ad oggetto un bene immobile di sua proprietà.
La Banca attrice sosteneva che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale dovesse dichiararsi inefficace, poiché riduceva la garanzia patrimoniale cui la stessa poteva fare affidamento.
Accolta la domanda della Banca sia in primo grado dal Tribunale di Varese sia in secondo grado dalla Corte di Appello di Milano, i coniugi proponevano ricorso per Cassazione, fondando quest’ultimo su due motivi: violazione o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e violazione o falsa applicazione degli articoli 2901 e 167 c.c..
Con il primo motivo del ricorso gli istanti assumevano che sarebbe attribuibile ai figli dei soggetti che hanno costituito un fondo patrimoniale la legittimazione attiva, quantomeno con riguardo alle azioni volte alla salvaguardia dei beni del fondo. La Corte d'Appello di Milano, infatti, aveva affermato che l'istituto del fondo patrimoniale determina solo un vincolo di destinazione dei beni del fondo medesimo di famiglia, ma non comporta il trasferimento della proprietà dei beni in questione, né fa sorgere alcun diritto sui medesimi a favore dei componenti della famiglia. Pertanto la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di prima grado, in cui era stato sancito che i figli del debitore non avevano diritto a far parte del procedimento quali litisconsorti necessari.
Con il secondo motivo del ricorso sostenevano che l’atto tra vivi di costituzione dei beni in fondo patrimoniale potesse comprendersi tra gli atti soggetti a revocatoria solo quando, oltre alla destinazione dei beni al soddisfacimento della famiglia, con la creazione di un patrimonio separato l’operazione comportasse anche il trasferimento dei beni dal terzo ai coniugi o da un coniuge all’altro.
Precisavano, inoltre, che, nella fattispecie, il fondo patrimoniale dovesse considerarsi un vero e proprio atto solutorio e non già di mera liberalità, poiché costituito al fine di garantire un’abitazione alla famiglia e di assicurare una concreta modalità di sostentamento e crescita familiare.
La Corte rigettava entrambi i motivi enucleati nel ricorso.
Confutava il primo motivo chiarendo che la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, senza incidere sulla titolarità dei beni che ne fanno parte.
Ne deriva che i figli del debitore non possano qualificarsi come litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore per sentire dichiarare l’inefficacia dell’atto costitutivo il fondo patrimoniale.
A riprova del fatto che il fondo patrimoniale non venga costituito a beneficio dei figli, la circostanza per cui il fondo cessa automaticamente con l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ex art. 172 c.c..
Allo stesso modo infondato e meritevole di rigetto il secondo motivo di ricorso, atteso che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito e, pertanto, soggetto ad azione revocatoria.
In conclusione la Corte precisava che, ad ogni buon conto, “la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia non integra di per sé, l’adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti”.
Pertanto, la gratuità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale - presunto baluardo della sicurezza economica familiare, ma non anche adempimento di un dovere giuridico - e la semplice conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori fondano la dichiarazione di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.
La portata della pronuncia in questione è, senza dubbio, molto più ampia e complessa di quella che parrebbe in prima facie: il principio enunciato dalla Corte non è che un altro tassello che va ad aggiungersi a quel filone giurisprudenziale, tenace ed incalzante, che progressivamente sta destituendo di ogni fondamento l’istituto del fondo patrimoniale, partendo, dapprima, dalla creazione di un concetto sempre più ampio dei “bisogni della famiglia”, proseguendo, poi, con l’aggredibilità diretta dei suoi beni ai sensi dell’art. 2929 bis c.c., fino ad arrivare alla soggezione del fondo all’azione revocatoria in quanto atto a titolo gratuito potenzialmente lesivo dei diritti dei creditori.
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