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    23.12.2022

    Borsa, nel 2022 listino principale sempre più vuoto. Autorità corrono ai ripari


    I numerosi delisting, le poche IPO e i significativi interventi di semplificazione della normativa: sono questi i tre temi che hanno dominato le discussioni quest'anno sul listino principale di Borsa Italiana (oggi denominato Euronext Milan, ex MTA), e sono tutti tre collegati tra loro. Se infatti il segmento delle PMI, ovvero Euronext Growth Milan (EGM, ex AIM Italia), continua a registrare un buon afflusso di quotazioni ed è fonte di ottimismo per Piazza Affari, lo svuotamento del mercato regolamentato e la scarsa capacità di attirare medie-grandi aziende sono temi che preoccupano gli operatori e fanno sorgere dubbi sull’importanza del listino italiano all’interno del panorama europeo. Nonostante Piazza Affari sia impegnata nel processo di integrazione con Euronext, con benefici indubbi per entrambi secondo i vertici del gruppo finanziario europeo, Londra resta protagonista anche dopo la Brexit, Parigi è ben più avanti per capitalizzazione e attrattività, Amsterdam è diventata una meta importante per le società tecnologiche e quelle attratte da una normativa più business-friendly e i listini nordici hanno vissuto un 2022 molto vivace grazie alle numerose aziende attive in campo energetico e della transizione green.

     

    La performance e i trend

     

    Il 2022 è un anno indubbiamente difficile per i mercati a livello globale, con cali compresi tra il 10% ed il 20%. Piazza Affari non fa eccezione, con una certa differenziazione tra i principali indici: al 21 dicembre il FTSE ha perso quasi il 12% da inizio anno e il FTSE All-Share quasi il 13%, mentre hanno fatto ben peggio il FTSE Italia Growth (-20%) e il FTSE Italia STAR (-28%).

     

    "La migliore tenuta del listino italiano è giustificato da una revisione significativamente positiva delle stime di andamento degli utili per il 2022, con un rialzo di circa il 30% rispetto alle attese di inizio anno - spiega Alberto Villa, responsabile della ricerca azionaria di Intermonte - Inoltre, il mercato italiano presenta un peso significativo di settori come finanziario e energetico che hanno beneficiato, per quanto riguarda i primi, dal rialzo dei tassi mentre i secondi dall’aumento dei prezzi delle materie prime e del petrolio. Le mid small caps sono state penalizzate rappresentando settori a maggior aspettativa di crescita e conseguentemente più sensibili all’andamento dei tassi di interesse".

     

    A fine dicembre 2021 si contavano sui mercati di Borsa Italiana 407 società quotate. Nel dettaglio: 232 società sul mercato Euronext Milan (di cui 74 sul segmento STAR), 1 strumenti FIA sul mercato MIV e 174 su Euronext Growth Milan. Al 22 dicembre dicembre 2022 sono diventate in totale 413, di cui 221 società sul mercato Euronext Milan (di cui 75 sul segmento STAR), 1 strumenti FIA sul mercato MIV e 188 su Euronext Growth Milan.

     

    Per quanto riguarda le nuove quotazioni, nel 2021 si sono registrate 49 IPO: 5 su Euronext Milan (PhilogenSecoThe Italian Sea GroupIntercosAriston Holding) e 44 su Euronext Growth Milan. Al 22 dicembre 2022, sono sbarcate in Borsa 24 aziende sull'EGM, 3 su Euronext Milan (Iveco come spin-off di CNH IndustrialCivitanavi Systems e De Nora), 1 sullo STAR (Generalfinance) e ci sono stati due uplisting da EGM a STAR (Net Insurance e REVO Insurance).

     

    Un altro tema sentito è stato il calo della liquidità, un fattore molto penalizzante durante tutto il 2022. Qui le notizie per il listino principale sono meno negative. Considerando i primi undici mesi dell'anno, il controvalore è stato di 2,8 miliardi di euro sull'EGM, in calo del 31% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Gli scambi si sono molto più ridotti sull'EGM che sul listino principale, considerano che il turnover di Euronext Milan è diminuito del 5,7% a 500 miliardi di euro. "L'incertezza su fattori macro hanno spinto molti investitori ad aumentare il peso della liquidità nei loro portafogli e a limitare l’operatività sul mercato mantenendo o gradualmente riducendo le posizioni - afferma Villa - Il fattore liquidità penalizza in particolare i titoli medio piccoli che escono dal raggio di operatività di molti investitori istituzionali al di sotto di determinate soglie di liquidità. È il classico cane che si morde la coda con effetti perversi sulle valutazioni che esulano dai valori fondamentali e dai risultati realizzati".

     

    Guardando ai settori col maggior peso in termini di capitalizzazione, al 30 novembre 2022 il primo è l'automotive con il 14,6% (13,9% al 31 dicembre 2021), il secondo le banche con il 14,4% (13,3% a fine anno scorso), il terzo le utilities con il 13,8% (vs 15,5%), seguiti da energia (13,6% vs 9,8%) e assicurazioni (7,5% vs 7,3%). La capitalizzazione totale a fine 2021 era di quasi 758 miliardi di euro, mentre a fine novembre 2022 era scesa a 653 miliardi di euro.

     

    Il problema delisting

     

    Nel 2022 è continuato il trend di costante arretramento del numero di società quotate dal listino principale, a fronte di una forte crescita del segmento non regolamentato, che sta portando a una mutazione del profilo del mercato azionario italiano, molto più orientato verso le small cap.

     

    Quest'anno si porterà via dal listino milanese - facendo la somma delle capitalizzazioni delle società che lo hanno lasciato - ben 43,3 miliardi di euro. Questo dato comprende anche casi più particolari come Exor, che si è trasferita in Olanda, Banca Carige, che è stata inglobata in BPER, e Cattolica Assicurazioni, che è stata assorbita da Generali. Le uscite più pesanti sono state quelle di Atlantia (quasi 19 miliardi di euro), Falck Renewables (oltre 2,8 miliardi di euro) e Cerved Group (circa 2 miliardi di euro).

     

    Se si aggiungono anche le operazioni già annunciate ma non ancora attuate - Autogrill (2,5 miliardi di euro), Dea Capital (393 milioni di euro), Net Insurance (172 milioni di euro), Finlogic (85 milioni di euro) e Nice Footwear (24 milioni di euro) - si arriva a circa 46,5 miliardi di euro.

     

    Il management di Borsa Italiana, commentando il problema nel corso dell'anno, ha più volte sottolineato che ogni azienda ha una storia a sé, ma è ormai indubbio che il fenomeno abbia assunto dimensioni notevoli. A favorire le OPA nel 2022 è stato anche il forte re-pricing delle azioni dovuto prevalentemente a fattori macroeconomici e geopolitici, che ha creato un contesto favorevole a offerte pubbliche finalizzate al delisting e offerto una sponda alla forte concorrenza del private equity già presente gli anni scorsi.

     

    Allargando lo sguardo al lungo periodo, uno studio molto commentato quest'anno e pubblicato a marzo da Intermonte e School of Management del Politecnico di Milano ha evidenziato come negli ultimi 20 anni le ammissioni a Piazza Affari siano state 448, mentre i delisting 336, di cui ben 268 sul listino principale, che ne ha guadagnate "solo" 185. La ricerca ha identificato quattro cluster di società che abbandonano Palazzo Mezzanotte: le sconfitte (imprese delistate perché sono fallite, hanno subito un dissesto finanziario o sono state escluse dal mercato per mancanza dei requisiti), le prede (aziende acquisite da soggetti esterni, spesso esteri, con il conseguente ritiro delle azioni dal mercato), le ristrutturande (società riassorbite in altri gruppi quotati per una logica di riorganizzazione societaria interna, quindi rimaste comunque nel perimetro della Borsa) e le pentite (aziende in gran parte presenti a Piazza Affari da 10 o più anni, che hanno ritenuto opportuno abbandonare il listino per decisione interna, per volontà dei soggetti controllanti o sulla base di considerazioni strategiche discrezionali). I casi del 2022 sembrano aderire in maggioranza a quest'ultimo profilo, i cui dati erano già in aumento negli anni scorsi.

     

    Secondo Villa, "il rialzo dei tassi rende più complicato procedere con delisting ad elevata leva finanziaria ma alcune operazioni di carattere industriale sono senz'altro possibili. È auspicabile che si torni ad avere un flusso solido e costante di nuove quotazioni nei prossimi trimestri. Questo ovviamente dipenderà principalmente dalla qualità delle società proposte in IPO. Come ben sappiamo, non mancano le società interessanti che potrebbero affacciarsi al mercato azionario con successo. Dopo un lungo periodo in cui, complice lo scenario di tassi ultra bassi, l'investitore principale sono stati i fondi di private equity, il mercato azionario può tornare a svolgere un ruolo da protagonista".

     

    La ripresa delle IPO

     

    La combinazione di tassi di interesse in rapido aumento e inflazione persistentemente elevata ha fatto ben poco per sostenere l'attività globale di Equity Capital Markets. Gli investitori sono stati attirati fuori dalle azioni dalla relativa sicurezza e dai rendimenti sempre più allettanti disponibili sui titoli di debito. Inoltre, l'inflazione e i tassi di interesse hanno causato incertezza, che è come la criptonite per le IPO. Nel 2022, il mercato delle IPO - dopo un primo semestre molto tranquillo - si è quasi fermato dopo l'estate, fattore che lo ha reso l'anno peggiore per le IPO dal 2009. Fare previsioni sulla ripresa delle quotazioni in Borsa nel 2023 è difficile, anche perché una condizione è la ripresa dei mercati azionari, i quali ancora rimangono ostaggio delle scelte delle banche centrali e delle prospettive di recessioni a ogni latitudine.

     

    Tenendo a mente che le performance passate non sono indicative dei risultati futuri, può essere utile guardare a periodi altrettanto negativi per avere indicazioni sulla loro durata. Dal 1995, il livello medio delle emissioni di IPO in Europa è stato di circa 25 miliardi di euro all'anno (circa -50% nel 2022), secondo uno studio di Beremberg. Guardando alla bolla delle dot-com, ci sono voluti tre anni perché il mercato delle IPO si riprendesse quando un mercato ribassista ha spazzato via il 60% della capitalizzazione di mercato. Nella recessione del 2007-2008 c’è stata un'inversione di tendenza più rapida, anche se con un calo simile del 60% nei mercati azionari. Il mercato delle IPO è crollato nel primo trimestre del 2008, con solo quattro IPO, e poi ci sono voluti sette trimestri prima che il mercato delle IPO tornasse con 16 IPO e quasi 6 miliardi di euro di emissioni nel primo trimestre del 2010 (10 trimestri per raggiungere la media di 25 miliardi di euro).

     

    Piazza Affari ha visto solo 3 IPO sul mercato principale, mentre diverse operazioni dell'anno sono state ritirate, come Plenitude o Epta, o prudentemente sospese per mercati troppo volatili, come Cantiere del Pardo o Deda Group. Entrando nel 2023, sembra difficile immaginare un primo semestre di ritorno alla normalità data l'imminente recessione per l'Eurozona. Tuttavia, una pipeline di IPO esiste, con diverse società in attesa di cogliere la finestra giusta, come ad esempio EuroGroup o l'unità EV di Enel.

     

    Gli interventi normativi

     

    Anche per stimolare nuove IPO sui mercati, quest'anno sono state implementati numerosi cambiamenti di normativa da parte di più soggetti, tanto a livello Italiano che a livello europeo. Per quanto riguarda la dimensione domestica, un deciso boost agli interventi lo ha dato la definizione - da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) e con un ampio contributo di Autorità, associazioni di categoria e operatori più in generale - del Libro Verde "La competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita". Molte di queste proposte sono poi state contenute negli interventi di agosto dalla Consob (in termini di rocedure semplificate per l'approvazione dei prospetti informativi e via libera alla documentazione in inglese) e di settembre di Borsa Italiana (che ha semplificato le regole per le IPO a vantaggio delle società che intendono raccogliere capitali sul mercato regolamentato Euronext Milan).

     

    A dicembre sono poi arrivate una serie di proposte per semplificare la quotazione in Borsa da parte della Commissione europea, nell'ambito di un pacchetto di misure per rafforzare l'Unione dei mercati dei capitali (la Capital Markets Union, CMU). Nelle speranze della Commissione, il cosiddetto Listing Act svilupperà ulteriormente l'Unione dei mercati dei capitali riducendo la burocrazia ei costi superflui per le imprese, incoraggiando le società a rimanere quotate sui mercati dei capitali dell'UE. Un accesso più facile ai public markets consentirà anche alle imprese di diversificare e integrare meglio le fonti di finanziamento disponibili.

     

    Secondo Lukas Plattner, partner di ADVANT Nctm che si occupa di Diritto del Mercato dei Capitali e di Fusioni & Acquisizioni, "c'è una forte attenzione della Commissione europea all'esigenza di semplificare il mercato, che deriva dal riconoscimento di mercati maturi così come il circuito informativo, e quindi si può passare a una nuova fase della disclosure societaria". "Gli investitori istituzionali hanno bisogno di prospetti più semplici, il retail legge spesso solo le note di sintesi e già gode della protezione MIFID", aggiunge.

     

    In prospettiva, una volta adottate, le modifiche alle norme proposte questo mese dalla Commissione europea dovrebbero aumentare l'attrattiva dei public markets nell'UE, la quale stima che le società quotate al suo interno risparmieranno circa 100 milioni di euro all'anno grazie a minori costi di conformità, mentre le società risparmieranno 67 milioni di euro all'anno solo grazie a norme più semplici sul prospetto.

     

    "Il Listing Act ha principalmente tre gruppi importanti di norme - spiega Plattner - Il primo riguarda i voti multipli, quindi dare la possibilità ai soci fondatori di andare a quotarsi senza perdere il controllo, con l'idea che a livello dell'Unione europea ci siano regole comuni. Il secondo è la normativa sui prospetti, che è stata semplificata in maniera importante per l’accesso al mercato, per le offerte secondarie e per l'uplisting; in sostanza, ora per passare dall'EGM all'EXM servirà solo un documento di 50 pagine, mentre ora il documento ha 200-300 pagine e costi per l’emittente per 1 milione di euro. Il terzo è la semplificazione della normativa MAR, a partire dalla definizione di informazione privilegiata, per cui l'emittente dovrà comunicarla quando è certa o presumibilmente tale, e quindi le informazioni future che dovranno essere comunicate si riducono moltissimo così come i rischi di sanzioni".

     

     

     

    Tratto da La Repubblica

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