Un recente pronunciamento del Tribunale di Roma, a conferma del consolidato orientamento in materia, ha affermato che in caso di cancellazione volontaria di una società dal registro delle imprese, effettuata in pendenza di un giudizio introdotto dalla società medesima, si presume che quest’ultima abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito, ancorché incerto ed illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della società; tale presunzione comporta che non si determini alcun fenomeno successorio nella pretesa “sub iudice”, con conseguente esclusione della legittimazione dei soci della società estinta.
Una recente pronuncia del Tribunale di Roma (ordinanza 8 giugno 2018) offre lo spunto per sintetizzare alcune vicende chiave connesse con la cessazione volontaria della compagine sociale.
Nel caso di specie, una società aveva ottenuto un decreto ingiuntivo e si era poi cancellata volontariamente dal registro delle imprese dopo che il debitore aveva proposto opposizione, nella quale era intervenuto il socio. Il Giudice ha rigettato l’istanza per la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, richiesta dal socio intervenuto, escludendo la sussistenza di una successione automatica tra società e soci nella pretesa "sub iudice".
Occorre dunque domandarsi che ne è stato del credito sociale e cosa non ha funzionato nel “passaggio successorio” in conseguenza dell’estinzione della società.
In tal senso, si deve osservare che l’art. 2495, comma 2, c.c., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 2003, ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali. In tal senso, la novella normativa ha individuato un preciso momento estintivo della società di capitali, ovvero quello della sua cancellazione dal registro delle imprese; La stessa regola è apparsa poi applicabile anche alla cancellazione volontaria delle società di persone dal registro.
Venendo ora alle conseguenze che possono derivare dalla cancellazione in ordine ai rapporti facenti capo alla società estinta, con particolare riferimento ai rapporti debitori, si osserva che rispetto agli stessi si verifica un ‘fenomeno successorio': i soci subentrano nei rapporti obbligatori facenti capo all'ente ormai estinto nello stesso modo in cui gli eredi subentrano nei debiti del de cuius. Ovviamente, il limite di responsabilità dei soci dipenderà dal tipo di rapporto sociale prescelto; e così, si avrà una responsabilità intra vires nelle società di capitali, mentre si avrà una responsabilità ultra vires nelle società di persone.
Esaminando ora la questione dei rapporti “attivi”, ovvero dei crediti della società cancellata, occorre distinguere tra
In tal senso, secondo un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013), i soci non succedono nelle mere pretese, che devono intendersi rinunciate nel momento della cancellazione della società.
Il citato orientamento giunge alle stesse conclusioni per i crediti controversi ed illiquidi, laddove non ne sia stata fatta menzione nel bilancio finale di liquidazione, ovvero siano stati “assegnati” col medesimo bilancio. Pertanto, tali crediti devono intendersi rinunciati se la cancellazione della società sia avvenuta senza l'espletamento, da parte dei liquidatori, dell'ulteriore attività necessaria a renderli iscrivibili in bilancio.
Per quanto concerne, invece, i crediti certi e liquidi, altri beni mobili o immobili che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, sarebbero figurati in bilancio, le sentenze di legittimità riconoscono un pieno fenomeno successorio in capo ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa tra loro.
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