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    03.05.2021

    E-Sports e videogiochi, nuova sfida per gli studi legali


    Il boom dovuto anche alla pandemia ha lanciato un nuovo mercato che cerca tutele efficaci.

     

    I videogiochi e il mondo dei giochi elettronici (gli Esports), di cui si chiede il riconoscimento per i prossimi giochi Olimpici di Parigi 2024, sono sempre più spesso opere complesse, in grado di fare concorrenza ai broadcast per accaparrarsi fasce di utenti giovani e investimenti pubblicitari milionari. Un settore cui guardano con interesse molti dipartimenti Ip dei più importanti studi legali.

     

    «I videogiochi sono creazioni complesse che aggregano al proprio interno diverse opere dell’ingegno», spiega Elena Varese, avvocato del dipartimento Intellectual Property and Technology di Dla Piper. «Recentemente ci sono stati casi di sincronizzazione non autorizzata di opere musicali all’interno di videogame o di violazione di diritti di immagine di persone esistenti da parte dei personaggi virtuali inseriti all’interno dei videogame. Interessante è anche il tema della proteggibilità delle movenze degli avatar come opere coreografi che o la possibilità che tali sequenze di movimento violino diritti esistenti. Altro caso frequente sono i procedimenti di contraffazione contro i produttori di tecnologie volte ad aggirare le misure tecniche di protezione e «craccare» i videogame. Infine, anche la questione delle loot boxes ha fatto sorgere contenziosi in diversi Paesi legati soprattutto ai possibili profili di gambling non autorizzato che tali strumenti potrebbero comportare».

     

    Secondo Antonio Debiasi e Yari Fera rispettivamente partner e senior associate di Rucellai&Raffaelli, «sono numerosi gli strumenti giuridici di protezione, anche per fronteggiare i classici casi di pirateria. A seconda dei casi, il videogioco può infatti beneficiare delle tutele del diritto d’autore, del segreto commerciale, del design e del marchio. Analogo discorso riguarda oggi gli Esports, intesi come competizioni elettroniche organizzate che avvengono tramite e grazie ai videogiochi: in questo senso i format degli eventi Esports possono ad esempio essere tutelati come diritto d’autore.

     

    Massima attenzione deve in ogni caso essere prestata sul piano contrattuale per ottenere la protezione più adeguata. Sono diversi i profili che possono dar luogo a criticità se non gestiti correttamente: ad esempio la regolamentazione dei diritti di sfruttamento economico del videogioco deve essere chiara e completa per evitare criticità nei rapporti tra tutti i soggetti coinvolti nello sviluppo del videogioco. Attenzione va poi prestata nel predisporre l’EndUser License Agreement (Eula) per disciplinare tutti i profili di proprietà intellettuale connessi all’utilizzo del videogame da parte dei videogiocatori. Specifiche problematiche variano ovviamente da caso a caso e dalla tipologia e contenuto dei videogiochi. In quelli che riproducono beni culturali, per fare un esempio, può essere necessario seguire un procedimento ad hoc per ottenere l’autorizzazione dell’ente pubblico responsabile».

     

    «La tutela è quella garantita dalle norme di carattere generale vigenti nel nostro ordinamento. Vista la categoria di opere dell’ingegno alla quale appartengono i videogiochi, la normativa in tema di diritto d’autore è la prima da tenere in considerazione», spiega Stefano La Porta dello studio Gallavotti Bernardini & Partners. «Nelle competizioni Esport, peraltro, grande rilevanza assumono le norme in materia di attività d’impresa, visto il carattere «organizzato» delle relative attività. Il videogioco è un’opera estremamente complessa, nella quale coesistono i contributi di molteplici soggetti che, ciascuno per quanto di propria spettanza, mettono a fattor comune i propri talenti in ambito artistico, tecnico, organizzativo, etc. La maggiore difficoltà nella fase della produzione e realizzazione risiede, pertanto, nel coordinamento delle diverse fasi di lavoro necessarie al raggiungimento dell’obiettivo finale».

     

    «Al di la dei noti problemi connessi alla pirateria e alla elusione delle misure tecnologiche a tutela dei videogiochi originali, meritano menzione le criticità derivanti dalla scarsa regolamentazione del settore degli Esports, trattandosi di un fenomeno piuttosto nuovo per il nostro Paese. Penso ai temi dell’applicazione della normativa relativa alle manifestazioni a premio e del gioco d’azzardo che non solo pongono notevoli limitazioni, ma comminano anche ingenti sanzioni in caso di mancato rispetto delle stesse. Altri aspetti interessanti concernono il product placement e l’utilizzo di immagini di persone celebri (su tutti i calciatori professionisti) o che riproducono opere coperte da diritto d’autore o dalla normativa a tutela dei beni culturali all’interno delle scene di gioco» sottolinea Massimo Tavella fondatore di Tavella Studio di Avvocati che aggiunge: «Oggigiorno, molti brand investono nell’inserimento dei propri prodotti a fi ni commerciali nel contesto di videogame ed Esport: le forme più diffuse sono l’in-game advertising (un product placement all’interno del gioco) e l’advergaming (un gioco relativo al prodotto reclamizzato che può arricchire le pagine web dell’inserzionista o anche inserirsi all’interno di veri e propri videogiochi). Tali annunci, in quanto comunicazioni commerciali, sono soggetti alle norme relative alla trasparenza della pubblicità e, pertanto, dovranno essere chiaramente percepibili come tali da parte dei fruitori del gioco».

     

    Per Lorenzo Attolico, responsabile del Dipartimento antitrust, Ip, Trade di Nctm Studio Legale, «il tema della creazione di un’opera degna di tutela è decisivo. L’originalità del videogioco non impatta solo sulla parte commerciale, ma anche su quella legale. L’originalità è, infatti, uno degli elementi necessari a far sì che un’opera sia tutelata dalla legge. Con riferimento alla commercializzazione, essendo un settore con infi niti prodotti, fondamentale è l’attività di marketing e comunicazione. Il settore che ultimamente ha più avuto punti di contatto con il mondo dei videogiochi è quello della moda. Le modalità sono sostanzialmente tre. La più light è quella della semplice sponsorizzazione che si attua con un semplice accordo di co-branding. Troviamo, poi, anche la riproduzione dei brand o anche di vere situazioni delle maison di moda all’interno delle immagini di un videogioco, regolata da un accordo di licenza. Vi sono, infi ne, le stesse case di moda che realizzano videogiochi diretti a promuovere i propri prodotti e brand».

     

    «In relazione agli esports emerge la figura del gamer professionista e la tutela giuslavoristica applicabile. Su questo tema stiamo assistendo a un ampio dibattito che verosimilmente condurrà in un futuro prossimo alla creazione di una normativa ad hoc o comunque ad un più certo inquadramento di questa «nuova» figura professionale destinata, come pare, ad evolversi», spiegano Edoardo Tedeschi socio e responsabile del team Tmt/Ict ed Alessandra Bianchi, supervising specializzata nel gaming/esports per Simmons & Simmons in Italia. «Infine, vale ricordare il potenziale conflitto tra chi vuole creare federazioni per giocare ad alcuni giochi ed i titolari della proprietà intellettuale sul gioco stesso e la complessa interazioni tra i campionati e la regolamentazione dei concorsi a premio ad essi applicabile». «Per quanto attiene alla fase della commercializzazione, visti i canali di distribuzione (app, social network, piattaforme ecc.), riteniamo meritino attenzione i temi relativi alla redazione dei termini e condizioni di uso, nonché alla informativa privacy circa le modalità di raccolta, trattamento e possibile condivisione dei dati degli utenti. Non si deve infine omettere un tema molto importante che è legato alla necessità del publisher di valutare il sistema geopolitico e religioso del paese in cui il gioco verrà distribuito e giocato nonché il tema relativo ai c.d. loot boxes. Occorre ragionare su una duplice prospettiva: quella del video game inteso in senso materiale come «giocattolo», e quindi (per usare la definizione legislativa in materia) come prodotto progettato o destinato, in modo esclusivo o meno, a essere utilizzato per fi ni di gioco nella fascia di età tra 0 e 14 anni e quella invece che riguarda l’essenza del video game, i suoi contenuti ed il suo uso e abuso. L’altro aspetto del video game, legato ai contenuti e all’uso dello stesso che, soprattutto nei minori, è tale da recare maggiori preoccupazioni sotto il profilo della salute, è invece paradossalmente meno normato con una conseguente maggiore difficoltà di individuare obblighi, responsabilità e sanzioni».

     

    Per Simona Lavagnini, founding partner di Lgv Avvocati, «un tema importante riguarda l’acquisizione dei diritti, sia da parte dei vari soggetti coinvolti nella produzione (o fornitori delle diverse componenti del videogioco), sia da parte di altri terzi, come nel caso di utilizzazione nel videogioco di specifici brand, immagini, luoghi iconici ecc. Un’altra problematica oggi di estrema attualità è quella dell’intelligenza artificiale, utilizzata sia per migliorare lo sviluppo, sia per realizzare voci o immagini virtuali, sia per creare un’esperienza di gioco nuova, in cui il giocatore partecipa alla creazione del videogioco con i propri input. Spesso nei videogiochi sono inseriti marchi come citazione, senza che vi sia un accordo di brand placement. In questi casi la questione è se l’uso del marchio altrui sia lecito, in quanto sostenuto da reali motivazioni espressive ed artistiche. Ci sono poi situazioni in cui il marchio è inserito nel videogioco a seguito di un accordo commerciale, così che – come avviene da tempo nei fi lm – il brand viene visualizzato nel corso dell’opera dell’ingegno a scopo promozionale/pubblicitario. Si tratta di contratti certamente leciti, anche se vincolati al rispetto del principio della trasparenza».

     

    Per Andrea Rizzi fondatore di Rizzi & Partners e Gaetano Dimita professore di Interactive Entertainment alla Queen Mary University di Londra «A livello comunitario, la Corte di Giustizia, nel caso Nintendo/ PC Box, ha precisato che i videogiochi costituiscono «materiale complesso», ossia materiale che comprende non solo un software ma anche elementi grafi ci e sonori che possono essere protetti autonomamente dal diritto d’autore. In Italia, la Corte di Cassazione, nel caso Dalvit, ha definito i videogiochi come opere complesse e multimediali, che impiegano un software ma non possono essere confuse con esso. Il videogaming competitivo, a cui si fa riferimento con il termine Esports, è un fenomeno eterogeneo che ricomprende videogiochi che simulano sport tradizionali come il calcio e la pallacanestro – ad es. le serie Fifa (dell’editore Electronic Arts) ed Nba (dell’editore 2K) - e altri prodotti - come Fortnite (dell’editore Epic Games) e League of Legends (dell’editore Riot Games) - che invece hanno ben poco a che vedere con gli sport tradizionali, se non il fatto che al pari di questi si prestano perfettamente a essere giocati competitivamente. Le competizioni esportive possono svolgersi su scala mondiale, regionale o locale, e vi partecipano giocatori e squadre sia di livello professionistico che di livello amatoriale. Gli Esports sono ecosistemi complessi, all’interno del quali l’editore svolge spesso un ruolo centrale proprio in virtù dei suoi diritti di proprietà intellettuale sul videogioco che gli consentono il sostanziale controllo dell’ecosistema competitivo. Proprio per bilanciare il ruolo dell’editore si sta assistendo, a livello mondiale, ad interventi normativi tesi a regolamentare il fenomeno (ad esempio, in Francia, dove qualche anno fa è stata introdotta una normativa di settore) e al crescente interesse da parte dell’ordinamento sportivo tradizionale, che a livello internazionale fa capo al Comitato Olimpico Internazionale ed in Italia al Coni. Quest’ultimo interesse, tuttavia, è concentrato sugli «sport virtuali», ossia sui simulatori di sport tradizionali, come chiarito recentemente dal comitato esecutivo del Cio nell’agenda «2020+5» presentata a marzo di quest’anno».

     

    Per Fabio Ghiretti, partner di Mondini Bonora Ginevra Studio Legale, «la software house che produce un videogioco sa che realizza un prodotto destinato ad essere tendenzialmente distribuito in tutto il mondo e che, dunque, deve misurarsi con legislazioni spesso diversissime su temi come il product placement e il gioco d’azzardo, nonché sulla differente tolleranza nazionale su questioni come il consumo di alcolici, il sesso e la violenza. L’ufficio legale della software house è dunque sempre chiamato ad un lungo e paziente lavoro di «localizzazione» in coordinamento con i diversi avvocati locali che porta spesso a «tarare» il videogioco sulle legislazione nazionali più rigide. Si spiega così perché l’interactive entertainment sta sempre più assumendo la dignità di branca autonoma del diritto, con problematiche giuridiche proprie e peculiari: basti pensare alla distribuzione digitale e alla rivendita delle «game keys», ossia dei codici di accesso che permettono l’accesso al videogioco, oppure al «cloning», ovvero la realizzazione di cloni che riproducono pedissequamente le regole e le dinamiche di interazione dei videogiochi più popolari, mutandone semplicemente la grafi ca. Un altro tema caldo è la tutela dei minori: la maggior parte dei giochi online è infatti all’apparenza gratuita, in quanto gli sviluppatori monetizzano attraverso l’acquisto di beni virtuali necessari per progredire nel gioco o per aumentare le proprie skills, con le conseguenti insidie per i minori che spesso prosciugano in modo inconsapevole le carte di credito dei genitori. Il tema si è recentemente posto con riferimento alle c.d. loot boxes, ossia «pacchetti» presenti all’interno di alcuni dei più popolari videogiochi contenenti potenziamenti e skins, ma il cui contenuto è causale e viene scoperto solo al momento dell’acquisto e dell’apertura del pacchetto, un po’ come avviene per le figurine: per queste loro peculiari caratteristiche sono stiate vietate in alcuni Paesi come il Belgio, in quanto ritenute assimilabili al gioco d’azzardo» conclude.

     

    «Oltre al problema tristemente noto che riguarda la pirateria, la creazione e lo sfruttamento dei beni immateriali nel mondo dei videogames può dare luogo a numerose problematiche di natura legale, che sono spesso disciplinate in complessi contratti di sponsorizzazione e licensing», dice Raffaele Ranieri, Ip manager di Notarbartolo & Gervasi. «Si pensi ad esempio ai videogiochi sportivi, dove viene riprodotta la fi sionomia di giocatori professionisti e l’abbigliamento sportivo con tanto di marchio oppure i veicoli del mondo reale. Proprio il tema della riproduzione delle fattezze dei giocatori è stato recentemente oggetto di un acceso dibattito che ha visto come protagonista il calciatore del Milan Zlatan Ibrahimovic, il quale lamentava di non avere mai dato ad Electronic Arts Inc. il consenso allo sfruttamento della propria immagine».

     

     

     

    Tratto da ItaliaOggi Sette

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