“È consentito prevedere statutariamente che la consistenza patrimoniale, alla quale fa riferimento l’art. 2437-‐ter, comma 2, c.c. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso (ma anche, in virtù del richiamato operato dell’art. 2355-‐bis, comma 3, c.c., in caso di prelazione nella circolazione mortis causa), venga valutata secondo il criterio che tiene conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale”.
Con sentenza n.16168/2014, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità di una clausola statutaria che prevedeva il seguente meccanismo di liquidazione delle azioni: “il prezzo delle azioni verrà determinato […] sulla base della consistenza patrimoniale valutata tenuto conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della conservazione della continuità aziendale, delle prospettive reddituali della società, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni”.
Come è noto, l’art. 2347-‐ter prevede che la liquidazione delle azioni del recedente avvenga in applicazione di tre famiglie di criteri valutativi (la consistenza patrimoniale della società, le prospettive reddituali e l’eventuale valore di mercato delle azioni), rimettendo alla discrezionalità degli amministratori la ponderazione dei tre criteri e la scelta dei singoli metodi aziendalistici di declinazione dei criteri.
Nell’ambito della libertà riconosciuta al terzo comma dell’art.2347-‐ter, lo statuto può integrare e specificare meglio i suddetti criteri valutativi.
La Suprema Corte ha, in particolare, ritenuto come nella valutazione della consistenza patrimoniale sia possibile adottare diversi metodi nell’ambito della discrezionalità tecnica, i cui limiti vanno individuati nell’esigenza di non discostarsi nel risultato finale dal presumibile valore delle azioni. In un tale contesto, la Corte di cassazione ha ritenuto che il criterio della consistenza patrimoniale si presti all’applicazione di una pluralità di criteri, sia cioè connotato da una certa elasticità che ben può essere specificata dalla clausola statutaria. Detta specifica può avvenire attraverso il criterio di valutazione del going concern, il quale si mostra coerente con la condizione dei beni organizzati in azienda, il cui valore complessivo, sino a che continua l’attività di impresa, non si risolve nella somma del valore dei singoli beni, essendo invece inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell’attività.