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    08.01.2018

    Il recepimento in Italia della Direttiva 2014/104/EU sulle azioni risarcitorie per violazioni antitrust


    Il 19 gennaio 2017, il governo italiano ha emanato il decreto legislativo n. 3/2017 (“Decreto”), recependo così nell’ordinamento italiano la Direttiva 2014/104/UE del 26 novembre 2014, “relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea” (“Direttiva”). Ad un anno dalla sua adozione, questo articolo si pone l’obiettivo di riassumere i più importanti principi introdotti dal Decreto, esaminandone l’impatto sul sistema italiano di private enforcement del diritto antitrust come risultante dall’elaborazione giurisprudenziale.

     

    La legittimazione ad agire

     

    Chiunque – i.e., qualsiasi persona fisica o giuridica o ente privo di personalità giuridica – può chiedere il risarcimento del danno subito a causa di una violazione del diritto della concorrenza italiano e/o dell’Unione Europea[1], anche per mezzo di class action[2].

     

    Questo principio è conforme a quanto previsto dall’ordinamento e dalla giurisprudenza italiani: infatti, sulla scia della sentenza Courage[3] della Corte di Giustizia, nel 2005 la Corte di Cassazione ha riconosciuto una analoga, ampia legittimazione ad agire[4]. Inoltre, le class action per il risarcimento dei danni (ivi inclusi i danni per gli illeciti antitrust) – fondate su un modello di opt-in – sono state introdotte in Italia nel 2010[5].

     

    Natura compensativa del risarcimento del danno antitrust

     

    Le vittime di illeciti antitrust possono chiedere il risarcimento (solo) del danno emergente (damnum emergens) e del lucro cessante (lucrum cessans), oltre al pagamento degli interessi. Il risarcimento non può determinare né sovra-compensazioni nè risarcimenti multipli (es., i danni punitivi previsti negli USA)[6].

     

    Questo principio è conforme a quanto previsto dall’ordinamento e dalla giurisprudenza italiani, secondo cui il risarcimento deve porre il soggetto danneggiato nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se non avesse subito il danno.

     

    La divulgazione di prove nella disponibilità delle parti o di terzi

     

    Tipicamente, i soggetti danneggiati da illeciti antitrust hanno difficoltà a fornire la prova delle proprie richieste risarcitorie, in particolare nel caso di cartelli, che sono intrinsecamente connotati da segretezza. Al fine di alleggerire l’onere probatorio su essi gravante, il Decreto prevede che, su istanza motivata di parte, il giudice possa ordinare alla controparte o a terzi la divulgazione di specifici elementi di prova o di categorie di prove che rientrano nella loro disponibilità, quando (a) l’istante abbia dato sufficiente prova della plausibilità della domanda risarcitoria; (b) le prove da acquisire siano rilevanti per la controversia; (c) l’esibizione sia proporzionata, tenuto conto degli interessi legittimi di tutte le parti interessate; (d) la richiesta non riguardi corrispondenza tra avvocato e cliente[7].

     

    Qualora l’elemento di prova di cui è richiesta l’esibizione contenga informazioni confidenziali, il giudice può adottare specifiche misure per evitare che tali informazioni siano divulgate nel corso del giudizio. Tali misure includono la possibilità di non rendere visibili le parti riservate di un documento, la conduzione di audizioni a porte chiuse, la limitazione del numero di persone autorizzate a prendere visione delle prove e il  conferimento ad esperti dell'incarico di redigere sintesi delle informazioni in forma aggregata o in altra forma non riservata.

     

    Nell’ordinamento italiano era già prevista una regola simile in tema di esibizione di prove: infatti, l’articolo 210 c.p.c. prevede che, su istanza di una parte, il giudice possa ordinare all’altra parte o a un terzo l’esibizione di un documento o di altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione per decidere il caso. Tuttavia, i giudici italiani hanno finora esercitato tale potere solo in pochi casi nell’ambito di cause risarcitorie antitrust.

     

    La novità principale della predetta previsione del Decreto rispetto all’articolo 210 c.p.c. sta nella più ampia portata dell’ordine di esibizione, che non riguarda soltanto specifici documenti o altri mezzi di prova, bensì anche intere “categorie di prove”.

     

    Ci si può ragionevolmente aspettare che la previsione del Decreto sulla divulgazione di prove possa incentivare una maggiore applicazione di tale strumento processuale da parte dei giudici, anche alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione secondo cui i giudici devono d’ufficio adottare un’intepretazione estensiva delle norme in materia di esibizione delle prove posta dall’articolo 210 c.p.c.[8].

     

    La divulgazione di prove contenute nel fascicolo di un’autorità antitrust nazionale (“AAN”)

     

    Al fine di incentivare ulteriormente il private enforcement, il Decreto prevede che, in caso di azioni cc.dd. follow-on, il giudice possa ordinare – su istanza motivata e specifica di parte – ad una AAN l’esibizione di determinati documenti contenuti nel fascicolo istruttorio[9], purché tale ordine non leda l’efficacia dell’applicazione a livello pubblicistico del diritto antitrust. Conformemente alla Direttiva, il Decreto chiarisce inoltre che:

    • non può mai esser ordinata l’esibizione di dichiarazioni legate a un programma di clemenza o a proposte di transazione[10] (black list);
    • può esser ordinata solo dopo la chiusura del procedimento la divulgazione di: (a) informazioni rese nell’ambito di un procedimento di una AAN; (b) informazioni che l’AAN ha redatto e comunicato alle parti nel corso del procedimento; e (c) proposte di transazione che sono state revocate (grey list);
    • in qualsiasi momento può esser ordinata la divulgazione di prove che non rientrano in nessuna delle precedenti categorie (white list).

    Nell’ordinamento italiano già esiste un analogo meccanismo di disclosure: ai sensi dell’articolo 213 c.p.c., infatti, il giudice può chiedere all’Autorità di fornire documenti nelle sue disponibilità che siano rilevanti al fine di decidere un determinato caso. Tuttavia, i giudici italiani hanno raramente fatto uso anche di tale potere.

     

    Anche in tal caso, si può ragionevolmente prevedere che la norma anzidetta sia idonea ad incoraggiare i giudici a fare uso di tale potere di disclosure.

     

    Gli effetti delle decisioni di una AAN

     

    Una violazione del diritto della concorrenza accertata con provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) passato in giudicato[11] si ritiene definitivamente provata ai fini dell’azione per il risarcimento del danno instaurata dinnanzi al giudice civile italiano. L’efficacia vincolante del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, non anche il nesso di causalità tra l’asserito danno e la violazione del diritto della concorrenza né l’esistenza del danno[12].

     

    Tale disposizione introduce un nuovo elemento nel sistema italiano di private enforcement che prima d’ora non ha mai riconosciuto alle decisioni dell’AGCM efficacia vincolante nel contesto delle azioni per il risarcimento del danno antitrust. Infatti, la Corte di Cassazione riconosce da anni alle decisioni dell’AGCM valore di “prova privilegiata” dell’illecito antitrust, nel senso che tali decisioni comportano una presunzione dell’esistenza della violazione, che può esser superata dal convenuto solo fornendo prove contrarie che non siano state già oggetto di valutazione da parte dell’AGCM.

     

    Inoltre, il Decreto prevede che le decisioni sanzionatorie definitive adottate da una AAN di un altro Stato Membro siano in linea di principio non vincolanti per i giudici italiani. In particolare, tali provvedimenti costituiscono prova della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale; tuttavia, essi possono essere valutati dal giudice congiuntamente altri elementi di prova forniti dalle parti[13].

     

    La prescrizione

     

    Il diritto al risarcimento del danno causato da un illecito antitrust si prescrive in cinque anni. Il dies a quo coincide con il momento in cui la condotta illecita è cessata e l’attore è a conoscenza – o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza – della condotta, del fatto che essa costituisca un illecito antitrust, del fatto che tale illecito gli abbia cagionato un danno e dell’identità dell’autore dell’illecito[14].

     

    Questa regola di carattere generale è conforme alla consolidata giurisprudenza italiana[15].

     

    Al fine di promuovere le azioni follow-on, il Decreto introduce poi una nuova previsione secondo cui: (a) la prescrizione è sospesa quando l’AGCM avvia un’indagine o un’istruttoria in relazione ad una violazione del diritto della concorrenza cui si riferisce l’azione per il risarcimento del danno, (b) la sospensione non può protrarsi oltre un anno dal momento in cui la decisione sanzionatoria è diventata definitiva o dopo che il procedimento si è chiuso in altro modo[16].

     

    La responsabilità solidale

     

    Qualora più imprese congiuntamente violino il diritto antitrust (es. in caso di cartello), le imprese co-autrici sono responsabili in solido per l’intero danno causato da tale violazione. Di conseguenza, ogni impresa co-autrice è tenuta a risarcire il danno nella sua integrità, mentre il soggetto danneggiato ha diritto di esigere il pieno risarcimento da ciascuna impresa e l’impresa che ha pagato può recuperare da ogni altra impresa autrice un contributo il cui importo è determinato alla luce delle rispettive responsabilità.

     

    Il Decreto prevede le seguenti due eccezioni al suddetto principio di responsabilità solidale:

    • quando l’autore di un illecito antitrust è una piccola o media impresa (“PMI”), la PMI è responsabile in solido solo nei confronti dei propri acquirenti diretti e indiretti quando: (a) la sua quota di mercato è rimasta inferiore al 5% per il tempo in cui si è protratta l’infrazione, e (b) l’applicazione delle regole in materia di responsabilità solidale determinerebbe un pregiudizio irreparabile per la sua solidità economica nonchè la totale perdita del valore delle sue attività. Tuttavia, tale eccezione non è applicabile quando: (a) i soggetti danneggiati non possano ottenere l’integrale risarcimento del danno dalle altre imprese co-autrici dell’illecito antitrust; (b) la PMI abbia svolto un ruolo di guida nella violazione del diritto della concorrenza o abbia costretto altre imprese a parteciparvi; (c) sia stata accertata una precedente violazione delle norme antitrust da parte della PMI[17];
    • l’impresa beneficiaria di immunità nell’ambito di un programma di leniency è solidalmente responsabile nei confronti (a) dei suoi acquirenti o fornitori diretti e indiretti e (b) di altri soggetti danneggiati solo se questi non possano ottenere il pieno risarcimento del danno dalle altre imprese co-autrici del medesimo illecito antitrust. In ogni caso, l’importo che il beneficiario dell’immunità può esser chiamato a pagare non può eccedere la misura del danno che lo stesso beneficiario abbia causato ai propri acquirenti o fornitori diretti o indiretti[18].

    Le due suddette eccezioni introducono una significativa ed innovativa deroga al principio generale della responsabilità prevista dall’articolo 2055 c.c., ai sensi del quale “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali”.

     

    Il trasferimento del sovrapprezzo

     

    Il Decreto regola nel dettaglio il c.d. passing-on del sovrapprezzo, i.e., il fenomeno per cui il danno inteso come differenza tra il prezzo che è stato effettivamente pagato e quello che sarebbe stato pagato in assenza della violazione del diritto della concorrenza è, in tutto o in parte, “trasferito” dal soggetto danneggiato ai suoi acquirenti. In tal caso, il danno che è stato trasferito non può più esser risarcito al soggetto danneggiato (nè tale soggetto ha più diritto al risarcimento secondo il rigoroso regime risarcitorio del danno antitrust previsto dalla Direttiva e trasposto nel Decreto).

     

    In particolare, il Decreto prevede:

    • la c.d. passing-on defense: il convenuto può invocare, avverso la richiesta di risarcimento del danno, il fatto che l’attore abbia trasferito, in tutto o in parte, il sovrapprezzo derivante dall’illecito antitrust. L’onere di provare il trasferimento del sovrapprezzo spetta al convenuto[19];
    • la c.d. passing-on offense: l’attore-acquirente indiretto può chiedere ed ottenere il risarcimento del danno, quando il sovrapprezzo causato dall’autore di un illecito antitrust gli sia stato trasferito da controparte, acquirente diretto di quest’ultimo, aumentando i propri prezzi[20]. L’onere di provare l’esistenza e la portata di tale trasferimento del danno spetta all’attore; in ogni caso, vige una presunzione, salvo prova contraria, del trasferimento del sovrapprezzo ove l’attore abbia dimostrato che: (a) il convenuto ha violato il diritto antitrust; (b) la violazione ha causato un sovrapprezzo per l’acquirente diretto del convenuto; e (c) l’acquirente indiretto ha acquistato beni o servizi oggetto della violazione, o ha acquistato beni o servizi che derivano dagli stessi o che li incorporano.

    Finora, il fenomeno del passing-on non aveva trovato espresso riconoscimento in Italia; tuttavia, in alcuni casi[21], i giudici italiani hanno applicato i principi del passing-on prendendo le mosse dai principi generali della responsabilità civile, secondo cui l’attore può chiedere il risarcimento solo dei danni effettivamente sofferti.

     

    Presunzione di danno in caso di cartello

     

    Il Decreto introduce una presunzione relativa circa l’esistenza del danno in caso di cartelli[22]. Tale innovativa presunzione, che non copre l’effettivo ammontare del danno, è limitata ai soli cartelli, data la loro intrinseca segretezza, idonea ad aumentare l’assimetria informativa e a rendere più difficile per gli attori procurarsi le prove necessarie a dimostrare il danno subito.

     

    Competenza

     

    Il Decreto ha concentrato la competenza a conoscere delle controversie relative al risarcimento del danno antitrust presso i tribunali di Roma, Milano e Napoli[23].

     

    Stato di recepimento della Direttiva negli Stati Membri

     

    Il 27 dicembre 2016 è scaduto il termine per recepire la Direttiva negli Stati Membri. A oggi, essa è stata recepita da quasi tutti gli Stati Membri, ad eccezione di Bulgaria, Grecia e Portogallo[24].

     

     

     

     

     

     

     

    Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.

    Per ulteriori informazioni contattare Luca Toffoletti e Alessandro De Stefano.

     

     

     

     

     

     

     

    [1] Articolo 2(1)(c) del Decreto che recepisce l’articolo 3(1) della Direttiva.

     

    [2] Articolo 1(1) del Decreto.

     

    [3] Sentenza della Corte di Giustizia del 20 settembre 2001, Courage Ltd contro Bernard Crehan e Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, caso C-453/99.

     

    [4] Cfr. sentenza No. 2207/2005.

     

    [5] Cfr. articolo 140-bis del Decreto Legislativo n. 206/2005 (Codice del Consumo).

     

    [6] Articolo 1(2) del Decreto che recepisce l’articolo 3(2-3) della Direttiva.

     

    [7] Articolo 3 del Decreto che recepisce l’articolo 5 della Direttiva.

     

    [8] Cfr. sentenza n. 11564/2015.

     

    [9] Articolo 4 del Decreto che recepisce l’articolo 6 della Direttiva.

     

    [10] Tuttavia, l’istituto della transazione non è attualmente previsto dall’ordinamento italiano.

     

    [11] Le decisioni dell’AGCM possono essere impugnate dinanzi al tribunale amministrativo, ovvero al TAR Lazio, in primo grado, e al Consiglio di Stato, in secondo grado.

     

    [12] Articolo 7(1) del Decreto che recepisce l’articolo 9(1) della Direttiva.

     

    [13] Articolo 7(2) del Decreto che recepisce l’articolo 9(2) della Direttiva.

     

    [14] Articolo 8(1) del Decreto che recepisce l’articolo 10(2-3) della Direttiva.

     

    [15] Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 2305/2007.

     

    [16] Articolo 8(2) del Decreto che recepisce l’articolo 10(4) della Direttiva.

     

    [17] Articolo 9(1-2) del Decreto che recepisce l’articolo 11(2-3) della Direttiva.

     

    [18] Articolo 9(3-5) del Decreto che recepisce l’articolo 11(4-5) della Direttiva.

     

    [19] Articolo 11 del Decreto che recepisce l’articolo 13 della Direttiva.

     

    [20] Articolo 12 del Decreto che recepisce l’articolo 14 della Direttiva.

     

    [21] App. Torino, sentenza in data 6.7.2000; App. Cagliari, sentenza in data 23.1.1999.

     

    [22] Articolo 14(2) del Decreto che recepisce l’articolo 17(2) della Direttiva.

     

    [23] Articolo 18 del Decreto.

     

    [24] Fonte: ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/directive_en.html.

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