La Suprema Corte torna sulla questione della validità dei contratti c.d. monofirma, ossia della copia del contratti bancari e finanziari conservati negli archivi della banca recanti la sola sottoscrizione del cliente e privi invece della firma dell’istituto di credito, affermando che detti contratti sono nulli e, come tali, inopponibili al correntista.
Accade di frequente, nella prassi dei rapporti bancari e finanziari, che il perfezionamento del contratto avvenga non già mediante lo scambio della proposta della banca e della conseguente accettazione del cliente, bensì per il tramite della sottoscrizione, a cura del rappresentante della Banca e del cliente, di due copie identiche del medesimo contratto. Al momento della conclusione del contratto, ciascuna parte trattiene copia del contratto sottoscritto dall’altra: pertanto, il cliente dispone della copia del contratto sottoscritta dal funzionario della Banca e la Banca dispone invece della sola copia recante la firma del cliente.
In un simile quadro, nell’ambito dei contenziosi instaurati dagli investitori al fine di conseguire la restituzione delle somme investite in mancanza di un valido contratto quadro – ma lo stesso vale con riferimento ai giudizi avviati dai correntisti per conseguire la ripetizione delle somme, a dire degli stessi, indebitamente percepite dalla Banca a titolo (inter alia) di anatocismo e usura – capita molto di frequente che il cliente ometta di produrre la copia del contratto regolante il rapporto contestato e che, dal canto suo, la banca si costituisca in giudizio producendo la sola copia del contratto di cui dispone: ovverosia, quella recante la sottoscrizione del cliente e non corredata anche dalla firma del funzionario dell’istituto di credito. A fronte di ciò, la contestazione ricorrente da parte degli investitori (o dei correntisti) che agiscono in giudizio è quella per cui la sola sottoscrizione del cliente non è di per sé sola sufficiente ad integrare il requisito della forma scritta ad substantiam, ciò da cui deriverebbe, quanto ai rapporti di investimento, la nullità delle operazioni di investimento eseguite e, quanto ai rapporti di conto corrente, la mancanza di pattuizione con riferimento alle condizioni economiche applicate dalla banca in corso di rapporto e, conseguentemente, la nullità del rapporto medesimo.
La normativa nel quale si collocano le sentenze della Suprema Corte in commento è quella dettata dal Testo Unico Bancario: a norma dell’art. 117 TUB, “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”, “nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”, e, secondo quanto disposto dall’art. 127, “le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice”.
La questione centrale è, dunque, se la produzione, ad opera della banca, della copia del contratto sottoscritto dal solo cliente sia un equivalente della sottoscrizione congiunta e sia sufficiente a ritenere rispettato il requisito della forma scritta posto dalla normativa di settore.
Il precedente orientamento della Suprema Corte (Cass. civ., 22 marzo 2012, n. 4564) affermava la validità del contratto c.d. monofirma a condizione che: (i) il contratto recasse la dicitura “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato” o “prendiamo atto che un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentarvi”; oppure (ii) alla sottoscrizione del contratto da parte del solo cliente facesse seguito la produzione in giudizio di copia del contratto da parte della Banca; oppure infine (iii) alla sottoscrizione del contratto da parte del solo cliente facesse seguito la manifestazione di volontà della banca di avvalersi del contratto stesso, risultante da plurimi atti esecutivi dalla medesima posti in essere nel corso del rapporto. A giudizio della Corte di Cassazione, il requisito della forma scritta poteva dunque ritenersi rispettato anche in mancanza di una copia del contratto recante la sottoscrizione dell’istituto di credito, non occorrendo la simultaneità delle sottoscrizioni.
La Corte di Cassazione, con due sentenze “gemelle” molto recenti pronunciate in materia di negoziazione di strumenti finanziari (Cass. civ., 24 marzo 2016, n. 5919 e Cass. civ.27 aprile 2016, n. 8395), muta il proprio precedente orientamento ed afferma l’invalidità del contratto monofirma. In particolare, secondo la Suprema Corte, le diciture “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato” o “prendiamo atto che un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentarvi” non hanno valore confessorio (non vertendosi in ipotesi nel quale il contraente, ovverosia la Banca, abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova ai sensi degli artt. 2724, n. 3, e 2725 c.c.) e non sono quindi sufficienti a dimostrare il rispetto della forma scritta. Ancora, il comportamento tenuto dalle parti durante il rapporto non può sostituire il consenso che la normativa di settore richiede sia dato per iscritto. Infine, la produzione in giudizio, da parte della banca, del contratto privo della sua firma realizza un equivalente della sottoscrizione e comporta il perfezionamento del contratto, perfezionamento che, tuttavia, non può che avere efficacia ex nunc. Da ciò discende, in caso di contratto quadro di investimento, la nullità degli ordini di acquisto eseguiti precedentemente al perfezionamento del contratto e, in caso di contratto di conto corrente, la nullità degli addebiti effettuati dalla banca a titolo di capitalizzazione, interessi ultralegali e commissioni di massimo scoperto per il periodo precedente alla produzione del contratto da parte della banca sono nulli, con conseguente diritto del correntista a ripetere le somme corrisposte.
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