Le questioni su cui la Suprema Corte è intervenuta con meritoria attività di riordino e chiarimento, di cui si dà conto in questo breve articolo (se un lodo si debba qualificare come parziale o non definitivo e se la validità della convenzione arbitrale sia questione di merito o di rito), a prima vista potrebbero sembrare di natura spiccatamente (e solamente) tecnica, ma le implicazioni pratiche che le stesse comportano e il rischio che una poco attenta difesa, sottovalutandole, pregiudichi i diritti della parte assistita, inducono a prestare alla decisione in oggetto l’attenzione che merita.
La Suprema Corte, a sezioni unite, è intervenuta in merito all’impugnazione del lodo non definitivo e del lodo parziale, statuendo, con la sentenza n. 23463 depositata in data 18 novembre 2016, il seguente principio di diritto:
“Lodo che decide parzialmente il merito della controversia, immediatamente impugnabile a norma dell'art. 827 c.p.c., comma 3, è sia quello di condanna generica ex art. 278 c.p.c. sia quello che decide una o alcune delle domande proposte senza definire l'intero giudizio, non essendo immediatamente impugnabili i lodi che decidono questioni pregiudiziali o preliminari".
Al fine di comprendere la portata e la rilevanza della pronuncia in esame sembra utile svolgere una breve premessa sul terzo comma dell’art. 827 c.p.c. La disposizione contempla, a partire dalla riforma del 1994, due tipologie di lodo che non definiscono la controversia arbitrale. Trattasi del lodo parziale (o lodo su domande), immediatamente impugnabile, e del lodo non definitivo (o lodo su questioni), impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.
In concreto, gli arbitri emettono un lodo “parziale” quando decidono solo una parte delle domande proposte, non esaurendo il mandato a decidere la controversia. Esempio di lodo parziale è quello di condanna generica (decisione sull’an debeatur e prosecuzione del giudizio in merito al quantum).
Può invece qualificarsi “non definitivo” il lodo che risolve una questione preliminare o pregiudiziale senza definire la controversia. È non definitivo, ad esempio, il lodo che rigetta un’eccezione di prescrizione e rinvia ad un momento successivo la decisione sull’esistenza del credito. Se infatti l’eccezione di prescrizione fosse accolta, l’arbitro emetterebbe un lodo definitivo.
Dalla distinzione dipende l’immediata impugnabilità (lodo parziale) o meno (lodo non definitivo) della statuizione degli arbitri. Il lodo parziale infatti produce effetti nella sfera giuridica sostanziale delle parti, decidendo su un diritto e generando, pertanto, una soccombenza immediata ed effettiva. Il lodo non definitivo, invece, ha il solo effetto di esaurire il potere decisorio dell’arbitro su una determinata questione, impedendo allo stesso di modificare quanto ha già pronunciato. In questo modo produce una soccombenza solamente ipotetica che andrà valutata unitamente agli effetti prodotti dal lodo definitivo.
La possibilità di pronunciare lodi che non definiscano il giudizio arbitrale è stata introdotta nel 1994. Prima di tale modifica legislativa, la giurisprudenza aveva già ammesso la possibilità di pronunciare un lodo parziale (tra le altre, Cass. civ., 9 novembre 1988, n. 6021). Tuttavia, era stata fermamente negata la facoltà di impugnazione immediata dello stesso (Cass. civ., 9 giugno 1986, n. 3835). Ciò in forza del principio di indivisibilità del lodo, in base al quale l’eventuale nullità di un capo del lodo si estendeva agli altri (Cass. civ., 28 novembre 1992, n. 12731). Principio superato dallo stesso legislatore per adeguare la legislazione italiana alle convenzioni di New York e di Ginevra e alle varie legislazioni straniere.
Tornando al caso di specie, le Sezioni Unite si sono pronunciate su una sentenza con la quale la Corte di Appello di Napoli ha dichiarato la nullità di due lodi arbitrali, qualificando il primo in ordine cronologico come non immediatamente impugnabile in quanto risolutivo della sola questione relativa alla competenza del collegio arbitrale. Il ricorrente ha impugnato la decisione della corte di appello sostenendo che avesse erroneamente qualificato come pregiudiziali le questioni di merito decise dal lodo ed attinenti a (i) titolarità attiva del rapporto dedotto in giudizio e (ii) validità della clausola compromissoria. Le suindicate questioni avrebbero dovuto essere infatti, secondo il ricorrente, dichiarate quali pertinenti al merito e quindi il lodo, quale decisione parziale sul merito, avrebbe dovuto essere immediatamente impugnato ai sensi dell’art. 827 c.p.c. Le Sezioni Unite si sono interrogate circa la qualificazione, come lodo parziale o lodo non definitivo, del suddetto lodo, rispondendo a due distinte domande:
Per quanto concerne il profilo sub a), la Corte di Cassazione ha risolto il conflitto giurisprudenziale in materia. Secondo alcune precedenti pronunce, infatti, il lodo che provvede sulla “competenza” degli arbitri, ritenendo sussistente tra le parti una valida clausola compromissoria oppure escludendo il proprio potere di decidere, deve essere definito quale lodo parziale e, come tale, deve essere impugnato immediatamente in quanto avente ad oggetto una questione preliminare di merito (Cass. civ., 6 aprile 2012, n. 5634; Cass. civ., 17 febbraio 2014, n. 3678). Secondo altre pronunce, il lodo che incide solo sulla ammissibilità e procedibilità del giudizio degli arbitri deve qualificarsi “non definitivo” e come tale non è immediatamente impugnabile in quanto la questione proposta deve ritenersi preliminare o pregiudiziale (Cass. civ., 26 marzo 2013, n. 4790; Cass. civ., 24 luglio 2014, n. 16963).
Partendo dalla considerazione che la distinzione tra lodo parziale e lodo non definitivo è solo in parte sovrapponibile a quella tra sentenze definitive e non definitive ai sensi dell’art. 279 c.p.c., gli ermellini hanno inteso fare riferimento alle norme introdotte dal d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (art. 360, terzo comma, c.p.c. e art. 361, primo comma, c.p.c.) in base alle quali sono direttamente ricorribili in cassazione solo le sentenze di condanna generica ai sensi dell’art. 278 c.p.c. e le sentenze che decidono su una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio. Queste norme, a detta di precedente pronuncia a sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza 22 dicembre 2014, n. 25774), si pongono in linea con la riforma del 1994 che ha introdotto il terzo comma dell’art. 827 c.p.c.
In questa ottica, la Suprema Corte giunge a ritenere che lo stesso criterio normativo di definizione previsto per le sentenze in forza degli articoli 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c. possa essere applicato al lodo arbitrale, restando quindi non immediatamente impugnabili i lodi che decidono questioni pregiudiziali o preliminari.
Con riferimento al profilo sub b), la Corte di Cassazione ha preso atto della residualità del contrasto giurisprudenziale, atteso l’orientamento unanime della più recente giurisprudenza. Il giudice di legittimità ha infatti riconosciuto all’arbitrato natura giurisdizionale e sostituiva della funzione del giudice ordinario, di talché la competenza del primo è da intendersi definitivamente come questione di rito (Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153; Cass. civ., sez. un. 20 gennaio 2014, n. 1005; Cass. civ., 6 novembre 2015, n. 22748). Di conseguenza, l’indagine circa l’esistenza o la validità della convenzione di arbitrato è da ritenersi questione pregiudiziale di rito e può essere oggetto di lodo non definitivo, come tale non immediatamente impugnabile.
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