Gli ultimi anni sono stati contraddistinti da un progressivo potenziamento dei meccanismi di screening degli Stati membri dell’Unione Europea rispetto agli investimenti esteri.
L’epidemia di Covid 19 e l’invasione russa dell’Ucraina hanno esacerbato i disequilibri macroeconomici, determinando nuove tensioni internazionali e turbolenze nei mercati, contribuendo così ad accelerare e sviluppare ulteriormente i meccanismi di “difesa” dei governi europei nei confronti delle proprie imprese nazionali e dei propri asset strategici.
Il d.l. 21/2022 “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina” (il “Decreto Ucraina”) adottato per fronteggiare questa nuova onda di crisi globale, si colloca in tale contesto, riguardando, tra le altre cose, il rafforzamento del controllo statale sugli investimenti in Italia, il c.d. “golden power”.
Il Decreto Ucraina apporta una serie di novità al d.l. 21/2012 (c.d. Decreto Golden Power”), ampliando, al di là della fase emergenziale, il novero dei settori strategici e prevedendo, per alcuni settori, l’obbligo di notifica degli acquisti di partecipazioni di controllo di società strategiche anche in capo a soggetti residenti o stabiliti in Italia.
Dalla golden share al golden power: una genesi sofferta
In una fase iniziale, i poteri di intervento dello Stato italiano erano limitati alle società partecipate in via di privatizzazione, nelle quali lo Stato stesso si riservava poteri speciali: la cosiddetta “golden share”.
A seguito del massiccio processo di privatizzazione avvenuto all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, processo che ha coinvolto tutta l’Unione europea, si era sentita l’esigenza di salvaguardare l’interesse nazionale con una prima legge, il d.l. del 31 maggio 1994, che attribuiva all’allora Ministro del Tesoro poteri speciali di gradimento all’assunzione di partecipazioni rilevanti, di veto all’adozione di determinate delibere societarie e di nomina degli amministratori in alcune società strategiche. Lo strumento della golden share poteva essere attivato solo in relazioni a talune società (controllate direttamente o indirettamente dallo Stato) e nell’ambito di settori limitati, tradizionalmente reputati strategici.
La normativa è stata censurata dalla Corte di Giustizia, che ne ha rilevato, in più di una occasione, il contrasto con le norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali (in considerazione, in estrema sintesi, della mancanza di criteri predeterminati per l’attivazione dei poteri speciali e dell’eccessivo margine discrezionale in capo allo Stato azionista).
Nel 2012 l’Italia decide di rivedere l’intera disciplina, cambiando radicalmente prospettiva: il controllo degli investimenti esteri si trasforma in una norma generale che introduce obblighi di notifica preventiva di determinate operazioni e permette l’intervento del Governo nelle acquisizioni estere di qualunque impresa dal valore strategico, a prescindere dalla sua proprietà (inizialmente, nei settori della difesa e sicurezza nazionale, energia, trasporti, telecomunicazioni): nasce così il “golden power”.
Ulteriori ampliamenti sono stati poi previsti negli anni successivi, con possibilità di intervento del Governo esteso ai settori ad alta intensità tecnologica e alle comunicazioni elettroniche basate su tecnologia 5G.
La disciplina ha conosciuto un’ulteriore estensione e un deciso rafforzamento durante la pandemia di COVID-19, a partire dal marzo 2020. L’indebolimento di molti settori produttivi, le condizioni difficili vissute da tante imprese a causa dei ripetuti lock down, l’incertezza globale hanno reso i mercati volatili e turbolenti. Le imprese coinvolte sono diventate più facilmente contendibili e il rischio di perdere asset strategici si è fatto più concreto. Per questo il legislatore (in sintonia con quanto indicato dalla Commissione europea nelle proprie raccomandazioni del marzo 2020) ha previsto un allargamento (inizialmente previsto solo in via temporanea) dei settori strategici, inserendo anche il settore sanitario e farmaceutico, l’agroalimentare e quello finanziario (nel quale vengono compresi il settore creditizio e quello assicurativo).
Nella fase emergenziale, estesa da ultimo sino al 31 dicembre 2022, è stato previsto un obbligo generale di notifica preventiva anche per acquirenti dell’UE e, al ricorrere di determinate condizioni, anche di mere partecipazioni di minoranza per gli acquirenti extra-UE.
Il decreto 21/2022. Le principali novità
La caratteristica principale del Decreto Ucraina è quella di superare la disciplina transitoria, rendendo definitive alcune scelte adottate nel regime emergenziale.
Ecco, quindi, che i settori definiti strategici fino al 31 dicembre 2022 (sanitario, farmaceutico, agroalimentare e finanziario) rimarranno tali anche per il futuro, così come l’obbligo di notifica di acquisizioni di minoranza da parte dei soggetti extra-UE in tutti i settori strategici.
Del pari, ed è questa forse la novità più importante, per taluni ambiti (comunicazioni, trasporti, energia, salute, agroalimentare e settore finanziario, compreso quello bancario e assicurativo) l’obbligo di notifica è previsto anche per i soggetti acquirenti italiani.
L’altra novità di rilievo riguarda le “reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G, basati sulla tecnologia cloud”.
Le imprese che, anche attraverso contratti o accordi, intendano acquisire, a qualsiasi titolo, beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle attività attinenti ai servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G, (ma anche “componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione”) saranno tenute a presentare un piano annuale alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in cui dovranno essere elencati una lunga serie di dettagli: il settore; il programma di acquisto; l’elenco completo dei fornitori, compresi quelli potenziali; tutti i contratti in corso e le prospettive di sviluppo; una dettagliata descrizione delle specifiche tecniche, dei beni, dei servizi utili alla progettazione, alla realizzazione e alla manutenzione dell’attività, nonché “ogni ulteriore informazione funzionale a fornire un dettagliato quadro delle modalità di sviluppo dei sistemi di digitalizzazione”.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri avrà 30 giorni (salvo sospensioni) per approvare il piano, imporre prescrizioni o condizioni o porre il veto.
Si prevede inoltre che il Presidente del Consiglio dei ministri possa, con appositi decreti, individuare ulteriori “servizi, beni, rapporti, attività e tecnologie rilevanti ai fini della sicurezza cibernetica” da far rientrare nel perimetro del golden power.
Come si vede, l’intero Decreto Ucraina opera un sostanziale allargamento dei confini della precedente disciplina – introducendo nuovi obblighi come la comunicazione preventiva dei piani di acquisto in ambito 5G, aumentando i controlli, estendendo strutturalmente, in alcuni casi, il campo di intervento governativo.
Importanti novità si registrano anche sotto il profilo della procedura. Nel caso di acquisto di partecipazioni, per l’impresa acquirente e per l’impresa target viene introdotta, “ove possibile”, la notifica congiunta dell’operazione. La società acquisita potrà altresì presentare memorie e documenti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e potrà essere assoggettata ad impegni, e a sanzioni per la relativa inottemperanza.
Infine, vengono demandate a un successivo decreto attuativo misure di semplificazione delle modalità di svolgimento del procedimento, nonché l’introduzione dell’istituto della pre-notifica, che dovrebbe consentire un filtro preventivo in merito all’applicabilità della normativa a una data operazione.
Aspetti problematici e una possibile prospettiva
Il progressivo rafforzamento delle normative europee in tema di controllo sugli investimenti esteri, ivi incluso il c.d. golden power, in funzione delle emergenze che si sono succedute negli ultimi anni, pare costituire la “naturale” conseguenza di una tendenza già in atto, di crescente scetticismo nei confronti del libero esplicarsi delle forze di mercato e della globalizzazione nel suo complesso.
Le ondate di crisi globale che si sono succedute negli ultimi anni (dalla crisi finanziaria del 2007 alla guerra in Ucraina) sembrano avere fatto da detonatore a questioni irrisolte da tempo presenti nel tessuto economico-produttivo (si pensi al tema delle dipendenze nel settore energetico e in quello alimentare) rendendo più urgente la questione della tutela e della valorizzazione degli asset strategici nazionali.
Anche il recente Decreto Ucraina - che stabilizza una serie di norme emergenziali in materia di controllo degli investimenti - si colloca in questo contesto, profondamente difforme da quello che aveva dato origine alle procedure di infrazione delle Commissione europea e alle sentenze della Corte di giustizia nei primi anni 90, pronte a censurare ogni deviazione nazionale rispetto alla logica della integrazione europea e ogni temperamento alle libertà di circolazione dell’UE.
Per quanto concerne il nostro ordinamento, a fronte di alcune modifiche procedurali che sono da salutare con favore (si pensi all’introduzione della pre-notifica, che dovrebbe accrescere la certezza del diritto per le imprese), permangono, tuttavia, una serie di dubbi sulla coerenza complessiva del sistema “golden power”.
In primo luogo, il perimetro applicativo della nuova disciplina appare oltremodo vasto, estendendosi ad un catalogo pressoché infinito di “beni e rapporti” collegati ad attività non immediatamente percepibili come strategiche per l’interesse nazionale. La normativa perde dunque, anche sotto questo profilo, la sua natura “eccezionale”, rischiando di divenire uno strumento generale di scrutinio di determinate operazioni societarie negli ambiti di maggiore appeal (si pensi al settore IT o a quello dell’Intelligenza Artificiale), con effetti di deterrenza rispetto agli investimenti stranieri.
In secondo luogo, la stabilizzazione – oltre la fase emergenziale e al di là dei settori della difesa e sicurezza nazionale (che costituiscono i settori strategici per eccellenza) degli obblighi di notifica anche in capo ai soggetti UE (e ai soggetti italiani) rischia di collidere con le libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali, ponendo vincoli sproporzionati rispetto agli interessi perseguiti.
Più in generale, se è vero che le recenti crisi globali hanno trovato una forte risposta “europea” (si pensi al Recovery fund o al coordinamento delle norme in materia di aiuti di Stato nell’ambito della crisi finanziaria e in quella pandemica) anche nel caso del controllo sugli investimenti esteri è auspicabile un maggiore coordinamento a livello UE, con un ribaltamento di prospettiva che ponga al centro la necessità di tutelare gli asset strategici dell’UE ; un mero ripiegamento su logiche nazionali, rischia infatti, ancor prima di compartimentare ulteriormente il mercato interno e di ostacolare ingiustificatamente gli investimenti, di costituire una risposta inadeguata rispetto ai legittimi interessi perseguiti (in primis la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico rispetto a taluni investimenti di paesi terzi).
La strada, dunque, potrebbe essere quella di un rafforzamento dei meccanismi di cooperazione presenti a livello UE, a partire dal Regolamento (UE) 452/2019, che istituisce il quadro per il controllo degli investimenti diretti nell’Unione, accompagnato da un percorso politico di maggiore integrazione delle politiche europee, ivi incluse quelle economiche ed industriali, che releghi gli strumenti di controllo degli investimenti all’ambito delle (genuine) eccezioni.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Giuliano Berruti, Francesco Mazzocchi e Alberto Toffoletto.