La tua ricerca

    10.01.2016

    Note minime a margine di Laudato sì


    “In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per qua-le motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?”, Papa Francesco

     

    1. Perché discutere di un’Enciclica papale in una rivista giuridica? Sono stato a lungo tormentato da dubbi e incertezze, ma alla fine ho rotto gli indugi. Sento, tuttavia, preliminarmente, la necessità di spiegare le ragioni di un esercizio che a prima vista potrebbe apparire sfrontato e fuori luogo.

    Diversi anni fa mi è stato chiesto di partecipare a un dibattito sull’etica negli affari. In quell’occasione per cercare di uscire dalle consuete affermazioni di circostanza, avevo pensato di rivolgere la mia ricerca ai testi che costituiscono la base dell’etica del mondo occidentale e ho così iniziato a leggere con grande interesse le Encicliche papali dedicate alla dottrina sociale della Chiesa (1), scoprendo un mondo, a me totalmente ignoto, ricco di spunti preziosi e utili anche per noi giuristi. Innanzitutto mi pare del tutto banale, ma non inutile, ricordare che i precetti religiosi hanno costituito nella storia dell’umanità l’antefatto logico e morale delle norme di comportamento prima e di un’infinità di norme giuridiche poi. Con il che non voglio certo arrivare a suggerire che le prese di posizione della Chiesa Cattolica attraverso i Papi debbano avere un qualche ruolo nella formazione delle norme, ma ritengo tuttavia molto interessante, in una prospettiva laica, osservarne l’evoluzione, anche solo al fine di misurare il grado di allineamento delle norme con i principi dell’etica cattolica.

     

    In secondo luogo rilevo come le norme che hanno un’ampia condivisione nella società, hanno più probabilità di essere osservate spontaneamente dai consociati. È sufficiente ricordare la storia della normativa contro il fumo nel nostro Paese per rendersi conto della assoluta inconfutabilità di questa semplice affermazione. È del tutto evidente, a mio avviso, che se la società è culturalmente pronta, l’introduzione di nuove discipline risulterà indolore e di rapida efficacia; al contrario norme calate senza un’adeguata preparazione del contesto, rischiano di rimanere inosservate per sempre, indipendente-mente dall’apparato di vigilanza e sanzionatorio che il legislatore ritiene di approntare. In questa chiave la presa di posizione dell’uomo che costituisce la guida spirituale della larga maggioranza della popolazione italiana e, soprattutto, di oltre un quinto della popolazione mondiale, essendo nel contempo la voce più autorevole del mondo cristiano, che con i suoi 2,2 miliardi di seguaci rap-presenta il più diffuso credo religioso dell’umanità, costituisce certamente un solido presupposto affinché certe indicazioni ricevano il consenso di larghe fasce della popolazione occidentale, che ancora costituisce una delle forze trainanti dello sviluppo del mondo intero.

     

    Credo in definitiva che l’analisi di tutti gli aspetti di un’Enciclica che possono avere riflessi sulla formazione degli orientamenti culturali, sociali e comportamentali della società in ambito economico costituisca un esercizio tutt’altro che inutile o fuori luogo per gli studiosi di tutte le branche del diritto dell’economia.

     

    Resta il rischio di apparire sfrontati e arroganti nel-l’affrontare testi e temi così elevati. Spero, ma ne sono ragionevolmente convinto, che non si corra-no rischi di questo genere se si approccia la questione con la dovuta umiltà, con l’unico obiettivo di arricchire il dibattito, si badi bene, in una prospettiva esclusivamente laica, su un testo che per la sua autorevolezza, per i temi affrontati e per le posizioni assunte, non può che avere effetti rilevantissimi sul modo in cui l’umanità si appresta ad affrontare le difficili sfide dei prossimi decenni. Queste brevi note si propongono soltanto di mette-re in evidenza alcuni passaggi della Enciclica di Pa-pa Francesco dai quali si possono trarre utili indicazioni in relazione alla gestione dell’impresa e ai suoi scopi.

     

    Infine un’ultima annotazione introduttiva. Perché questo argomento nell’ambito di un numero dedicato al Presidente Vincenzo Salafia? Il Presidente Salafia ha dedicato tutta la sua vita professionale, dapprima, per lunghi anni, come giudice, poi come professionista e giurista, alla coerente e intellettualmente onesta interpretazione delle norme, costituendo per tutti noi un esempio di correttezza, rigore e rettitudine. Credo che non si possa fare un omaggio migliore al suo compleanno che testimoniargli la nostra riconoscenza e ammirazione, cercando di raccogliere i suoi insegnamenti e di rivolgerci ai giovani affinché rifuggano da interpretazioni di convenienza, ma svolgano il loro ruolo di interpreti con rigore, nella prospettiva degli interessi perseguiti dal legislatore e del benessere della collettività.

     

    2. L’Enciclica Laudato sì è volta a richiamare l’attenzione dell’umanità sull’esigenza di preservare il frutto della creazione che ci è stato messo a disposizione, affinché lo custodissimo nel rispetto di tutte le creature di Dio (2). L’analisi del Pontefice è impietosa e colpisce con particolare rigore le derive del sistema capitalistico, irrispettoso dell’individuo e delle sue prerogative (3).

     

    Al par. 29, ad esempio, in relazione ai cambiamenti climatici afferma: “molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo.”

    Al par. 51, citando una presa di posizione cruda e veritiera dei Vescovi della Regione Patagonia-Co-mahue, rileva: “A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dell’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: ‘Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo. General-mente quando cessano la loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può sostenere’”.

     

    Ancora al par. 60: “(…) aldilà di qualunque previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano (…)”. Al punto 93, a proposito della “Destinazione comune dei beni”, afferma “ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva socia-le che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una regola d’oro del comportamento sociale, e il ‘primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale’. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata.”.Al punto 94 citando la presa di posizione enunciata dai Ve-scovi del Paraguay: “Ogni contadino ha diritto na-turale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suo esercizio non sia illusorio ma reale. Il che significa che, oltre al titolo di proprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti, assicurazioni e accesso al mercato”.

     

    Nel terzo capitolo “La radice umana della crisi ecologica”, muove dalle opportunità e dai rischi che scaturiscono dalle tecnologie. In particolare al punto 104 rileva: “L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio. Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a va-pore, la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità, l’automobile, l’aereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l’informatica e, più recentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie. È giusto rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilità che ci aprono queste continue novità, perché ‘la scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio’”. E, dopo aver ricordato come la trasformazione della natura a fini di utilità sia una delle caratteristiche dell’uomo fin dalle origini e aver dato atto che grazie alle tecnologie è stato possibile superare innumerevoli mali, conclude: “non possiamo non apprezzare e ringraziare per i progressi conseguiti, specialmente nella medicina, nell’ingegneria e nelle comunicazioni. E come non riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecnici che han-no elaborato alternative per uno sviluppo sostenibile?”.

     

    Riconosce ancora (punto 103) che la tecnologia oltre a consentire la produzione di beni utili a migliorare la qualità della vita degli esseri umani, è anche “capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il salto nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovo strumenti tecnici. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana.”.

     

    Mette tuttavia in guardia dal “dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero” che può derivare a coloro che detengono le conoscenze e il potere economico per sfruttarle (punto 104).

     

    “L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli manca un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé” (punto 105). Ancora al punto 109: “Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negati-ve per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. (…) Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei pro-fitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale”. Al punto 123: “E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare.”.

     

    Dopo avere con forza ricordato il ruolo insostituibile del lavoro nella formazione della persona umana, al par. 129, afferma: “perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile pro-muovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale”.(…) “Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengo-no più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica.

     

    L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune.”.

     

    “La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale che è un tesoro dell’umanità. Per tale ragione, pretendere di risolvere tutte le difficoltà mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la complessità delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva degli abitanti” (par. 144). “La scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie ani-male o vegetale. L’imposizione di uno stile di vita legato a un modo di produzione può essere tanto nocivo quanto l’alterazione di ecosistemi” (par. 145).

     

    “Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integra-le nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone” (par. 147).

     

    “La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. (…) Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. (…)Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggia-mento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno” (par. 159).

     

    “Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare” (par. 175).

     

    “Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il diritto, che stabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene comune” (par. 177).

     

    “Deve rimanere fermo che la redditività non può essere l’unico criterio da tenere presente e che, nel momento in cui apparissero nuovi elementi di giudizio a partire dagli sviluppi dell’informazione, dovrebbe esserci una nuova valutazione con la partecipazione di tutte le parti interessate (par. 187). “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia” (par. 189). “Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore è una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso” (par. 194). “Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi al-tra considerazione, è una distorsione concettuale dell'economia” (par. 195, ove afferma altresì che il calcolo dei costi di un'attività economica non può prescindere dal computo integrale dei costi socia-li).

    “Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico per piazzare i suoi pro-dotti, le persone finiscono con l'essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico” (par. 203).

    3. Ho ritenuto di riportare alcune frasi prese qua e là nel testo dell’Enciclica perché mi sembrava che potessero, meglio di qualunque sintesi, trasmettere, a chi non avesse avuto occasione di leggerla, la potenza e la profondità del messaggio di Papa Francesco. Svolgerò ora alcune minime annotazioni in relazione al contributo che il pensiero del Papa può, a mio avviso, utilmente apportare all’esercizio interpretativo che tutti i giorni siamo chiamati a svolgere.

     

    Un primo profilo interessante concerne la trattazione, contenuta nell’Enciclica, di tutti i principi fondanti del nostro ordinamento. Infatti, ai fini che qui interessano, nello svolgimento del ragiona-mento è possibile individuare una analisi, orientata alla loro portata applicativa, degli elementi essenziali dell’art. 3 del Trattato sull’Unione Europea, e nello specifico del comma 3. Le nozioni di sviluppo sostenibile, di crescita economica equilibrata, di economia sociale di mercato, di progresso sociale e di tutela dell’ambiente, nonché di un responsabile uso del progresso scientifico e tecnologico, trovano compiuta declinazione nelle parole del Santo Padre. L’utilità per l’interprete delle norme, sia esso un giurista, un professionista o un giovane studente, mi sembra di palmare evidenza. Abbiamo a disposizione un testo autorevole che, con le parole semplici e nette di Papa Francesco, ci consente di discutere non di un asciutto testo normativo, ma della sua attuazione concreta. Sarà più semplice per tutti noi fare uso di questi concetti nell’ambito dell’interpretazione delle norme che ad essi si ispirano, perché avremo una fonte, libera da condizionamenti, che ci indica una via ricostruttiva molto efficace e coerente.

     

    La discussione sugli obiettivi del sistema economi-co, sul tipo di efficienza da perseguire, privilegiando i profili allocativi o quelli redistributivi, sul modo di operare della solidarietà e sulla rilevanza del-le esternalità negative, non può che uscire ridimensionata da una lettura così limpida del traguardo del benessere collettivo.

     

    In relazione poi all’art. 41 Cost., l’Enciclica fa apparire così inattuali e inopportuni i tentativi di una sua modifica in senso liberista [si è discusso nella passata legislatura della possibilità di aggiungere nel primo comma l’inciso: “ed è permesso tut-to ciò che non è espressamente vietato dalla legge”], anche attraverso un depotenziamento dei li-miti contenuti nel comma 2 (4), che vi è da chiedersi se il mondo non stia imboccando, o debba imboccare, una strada per certi versi opposta (5). Pur non essendo certamente all’ordine del giorno dell’agenda delle organizzazioni internazionali il superamento o anche solo il ridimensionamento del principio della libertà di iniziativa economica, che anzi, in continuità con le Encicliche precedenti, viene ancora una volta considerata un elemento essenziale della crescita e della realizzazione della persona, in quanto frutto della creatività e della insopprimibile spinta verso la conoscenza che caratterizza l'essere umano, la prospettiva indicata da Papa Francesco può certamente contribuire a dare una lettura più completa e convincente di quell’utilità sociale che l’art. 41 pone come limite all’esercizio dell’attività economica. Allo stesso modo e in un impianto del tutto coerente, appare di particolare rilevanza nel dare un contenuto concreto al concetto di economia sociale di mercato che non può non comportare un’attenta valutazione sia de-gli effetti redistributivi, sia delle esternalità negative.

     

    4. Un ulteriore spunto di grande interesse riguarda la tutela e l’attuazione della libertà di iniziativa economica. Papa Francesco mette in guardia dalle enunciazioni di principio non seguite dai fatti. Sancire la libertà di impresa senza preoccuparsi della sua concreta attuazione è contraddittorio e fuorviante. In effetti la libertà di iniziativa economica è il principio fondante del diritto della concorrenza, e dunque la sua attuazione sembrerebbe essere un cardine delle economie di mercato. Tuttavia l’osservazione del Santo Padre appare essere una critica pertinente al modo in cui il diritto della concorrenza viene di fatto attuato. Da tempo or-mai la prassi applicativa ha abbandonato la tutela delle iniziative imprenditoriali di per se stesse, ma considera auspicabile il raggiungimento dell’efficienza come obiettivo del sistema di selezione. Una prospettiva per certi versi meccanicistica che trascura la rilevanza della diversità a beneficio di una più efficiente allocazione delle risorse. Il Papa invece riporta l’attenzione sul tema, affermando con decisione la necessità di rendere attuale e con-creta la libertà economica come principio essenziale di democrazia e possibilità di realizzazione della persona. È un passaggio cruciale che sottolinea l’importanza di rivedere alcuni aspetti della politica della concorrenza; il sistema di controllo delle concentrazioni o le policy applicative sulla libertà di fissazione dei prezzi, si pensi alle vendite sottocosto, o quelle sulla libertà di determinazione degli orari di esercizio, che così pesantemente hanno condizionato lo sviluppo del commercio al dettaglio - per fare solo qualche esempio - hanno porta-to, in nome dell’efficienza, a privilegiare le macro-organizzazioni a discapito di quelle piccole, inducendo a una radicale trasformazione della struttura delle imprese, di fatto, in certo qual modo, rendendo la libertà di iniziativa economica più un’enunciazione di principio che una reale possibilità. Ancora una volta non si tratta di riscrivere le regole da zero, ma di orientare l’interpretazione verso una più concreta attuazione dei principi dell’ordina-mento. L’economia sociale di mercato posta a fondamento del sistema dal Trattato sull’Unione Europea deve essere probabilmente perseguita senza dare rilevanza soltanto all’efficienza, ma valutando con più attenzione le implicazioni sociali di ogni scelta, per fare sì che sia davvero possibile fare impresa per tutti, senza dover necessariamente dispor-re di capitali infiniti. Altrimenti la libertà di iniziativa economica rischia di essere un privilegio di pochi.

     

    5. Con riguardo poi ad aspetti più specifici relativi allo studio dell’impresa, tra i numerosi spunti di grande interesse che l’Enciclica ci offre, ne vorrei annotare due, a mio avviso di particolare rilevanza. Il primo concerne da un lato la funzione dell’impresa e dall’altro le finalità che devono essere per-seguite. Il dibattito è noto e non è questa certo la sede per riproporlo, ma il quadro proposto da Papa Francesco immagina l’impresa come cellula feconda del sistema economico a condizione che i suoi obbiettivi non siano limitati al profitto e le modalità gestionali tengano conto degli effetti sul sistema e dei relativi costi. Funzioni e obiettivi questi, perfettamente allineati con i principi dell’ordina-mento economico sopra ricordati, ma molto timidamente applicati nella realtà Non so dire se al fine di determinare una concreta svolta in senso virtuoso nella gestione delle imprese sia necessario ripensare alla radice, nella disciplina delle società lucrative, il concetto di interesse sociale o se, invece, sia sufficiente, in sede applicativa, dare più rilevanza al limite dell’utilità socia-le posto dalla Costituzione quale confine della libertà di impresa. Credo però che sia definitiva-mente tramontata, almeno nella percezione generale, l’era di gestioni ispirate esclusivamente allo shareholder value (6); altri, più ampi, interessi devo-no essere tenuti presenti dagli amministratori, affinché l’impresa crei davvero benessere per il suo contesto sociale e territoriale (7).

     

    Il secondo spunto, strettamente correlato al primo, riguarda il tema delle modalità con cui tali funzioni e finalità possono essere concretamente realizzate, con particolare riguardo alla governance delle imprese. L’impresa può assolvere al suo fondamentale ruolo sociale soltanto attraverso l’adozione di sistemi di governance trasparenti e inclusivi, tenuti a vagliare tutti gli interessi coinvolti, con priorità al-l’ambiente, all’occupazione e alla tutela dei lavoratori (8).

     

    I fondamenti stessi del diritto dell’impresa come noi li conosciamo sono in definitiva messi in discussione o, forse, più correttamente, sono chiama-ti a evolversi verso la ricerca di un nuovo e più sostenibile equilibrio che consenta davvero di raggiungere gli obiettivi che il sistema, almeno a livello europeo, si è dato.

     

    Superare la logica esclusiva del profitto, impostare la gestione dell’impresa tenendo a mente interessi esterni ad essa, abbandonare la prospettiva dell’efficienza ad ogni costo per abbracciare una visione di insieme delle conseguenze di tutte le scelte, riconoscere e assicurare una tutela reale per tutti coloro che subiscono conseguenze negative per effetto del-l’attività dell’impresa, presuppone un cambiamento culturale profondo in chi assume ruoli di responsabilità nella conduzione delle imprese. Per altro verso non è forse azzardato affermare che, almeno nelle economie più evolute, la collettività è pronta a questa evoluzione. I principi enunciati appaiono in larga misura a prima vista condivisibili ed è compito del diritto tradurli in azioni coerenti. A mio modo di vedere, già oggi, con le norme che abbiamo e alla luce dei moderni ed equilibrati principi che costituiscono la base dei Trattati Europei e della nostra Costituzione, è forse possibile imprimere un nuovo so all’esercizio delle attività imprenditoriali. Una corretta, costante e rigorosa applicazione dei principi in materia di illecito, suffragati da un’evolutiva interpretazione dei principi dell’ordinamento, potrebbe già di per sé comportare un livello di tutela molto elevato della collettività e degli interessi diffusi. L’evoluzione delle norme e della loro interpretazione passa in primo luogo attraverso una profonda rifondazione culturale, l’impostazione e la ricerca di un nuovo modo di pensare, la volontà di riequilibrare i poteri, garantendo la protezione dei più de-boli e limitando lo strapotere economico. Questa funzione è assegnata in primo luogo alla politica, che deve disegnare norme coerenti con i principi dell’ordinamento e, in seconda battuta, al diritto e ai suoi operatori che hanno il dovere di individuare linee interpretative e applicative rispettose dei principi a cui le norme si ispirano.

     

    Occorre però avere coraggio e applicare le norme esistenti avendo sempre a mente i fini verso i quali devono tendere. A questo riguardo tutti i giuristi, i professionisti, la magistratura, i legali di impresa e in generale gli operatori del diritto sono chiamati a uno straordinario impegno di coerenza, senza subire il fascino di altri, “meno commendevoli”,interessi (9).

     

     

     

    [1] L’elenco dei documenti e degli scritti che costituiscono quella che viene definita come dottrina sociale della Chiesa è ampio. Tra quelli che hanno maggiore rilevanza con riguardo ai temi trattati in questo breve scritto devono certamente esse-re ricordate le seguenti Encicliche: Rerum novarum, di Papa Leone XIII del 15 maggio 1891; Quadragesimo anno, di Papa Pio XI del 15 maggio 1931; Mater et Magistra, di Papa Giovanni XXIII del 15 maggio 1961; Popolorum progressio, di Papa Paolo VI del 26 marzo 1967; Centesimus annus, di San Giovanni Paolo II del 1° maggio 1991; Caritas in veritate, di Papa Benedetto XVI, del 29 giugno 2009.

     

    [2] Cfr. ad esempio il punto 64, ove citando San Giovanni Paolo II afferma: “Se il solo fatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, ‘i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creato-re sono parte della loro fede’. Pertanto è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni”.V. an-che il punto 67 ove chiarisce che il riferimento contenuto nella Bibbia a “coltivare e custodire” il giardino del mondo deve in-tendersi quanto a “coltivare” ad arare o lavorare la terra, men-tre “custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare: Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e di garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future.”.

     

    [3] Questa impostazione, e in particolare la critica alle derive del capitalismo e alla cieca avidità prevaricante della finanza, si pone in linea di coerenza e continuità con la dottrina sociale della Chiesa espressa con la stessa forza e chiarezza nelle Encicliche precedenti, naturalmente con accenti e prospettive differenti nei diversi momenti storici.

     

    [4] Cfr. in proposito la Proposta di L. Cost. del 16 dicembre 2009, presentata da Vignali - Lupi - Palmieri - Pizzolante e il d.d.l. n. 4144 A, di iniziativa del Governo, approvato con modi-fiche dalla I Commissione Affari Costituzionali il 22 settembre 2011. La successiva caduta del Governo ha di fatto bloccato la prosecuzione dell’iniziativa. V. per la documentazione su queste iniziative e alcuni sintetici commenti www.aperta-contrada.it/wp-content/uploads/2012/03/ApertaContrada-Dossier-art.-41-Cost.pdf.

     

    [5] Cfr. il par. 185: “In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo?Chi paga le spese e come lo farà?”.

     

    [6] È ancora oggi questo il parametro principale di riferimento del Codice di autodisciplina adottato da Borsa Italiana S.p.a. nella versione approvata nel luglio 2015: cfr. l’art. 1.P.2.: “Gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa e in autonomia, perseguendo l’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio lungo periodo.” L’idea della “creazione di valore per gli azioni-sti nel lungo periodo” non è estranea alla versione contemporanea delle teorie dello shareholder value: si veda il paradigma (così da lui stesso definito) del enlightened shareholder value (o enlightened value maximization) proposto da Michael C. Jen-sen, Value Maximization, Stakeholder Theory, and the Corporate Objective Function, Jounrnal of Applied Corporate Finance, Vol. 14, No. 3, Fall 2001, disponibile sul Social Science Re-search Network, papers.ssrnj.com/abstract_id=220671. Cfr. anche, per gli ampi riferimenti al dibattito in corso, V. E. Harper Ho, “Enlightened Shareholder Value”: Corporate Governance Beyond the Shareholder-Stakeholder Divide,36 Journal of Corporation Law 61 (2010), papers.ssrn.com/sol3/pa-pers.cfm. La sola aggiunta della prospettiva di lungo periodo, tuttavia, rischia di non spostare i termini della questione e, se presa sul serio, crea non pochi problemi sia sul piano teorico, sia su quello pratico. Da notare che i Principles of Corporate Governance, OECD Report to G20 Fi-nance Ministers and Central Bank Governors del Settembre 2015 nella introduzione, a p. 10, chiariscono: “The principles recognise the interests of employees and other stakeholders and their important role in contributing to the long-term success and performance of the company. Other factors relevant to a company’s decision-making process, such as enviromental, anti corruption or ethical concerns are considered in the Principles (…)” ma sono trattati più nel dettaglio in altri rapporti OECD. Per la dimostrazione che la Corporate Social Responsability concepita come sistema di volontaria misurazione del-l'impatto sociale, non può produrre alcun risultato apprezzabile nella modificazione del comportamento delle imprese cfr. F. Denozza e A. Stabilini, The Shortcomings of Voluntary Conceptions of CSR, in rivistaodc.eu/edizioni/2013/2/saggi/the-shortcomings-of-voluntary-conceptions-of-csr/.

     

    [7] Cfr. sotto questo profilo, quale esempio spesso citato di approccio normativo illuminato, la Section 172 del Companies Act 2006 inglese, rubricata “Duty to promote the success of the company”, che così dispone: “1)A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a who-le, and in doing so have regard (amongst other matters) to (a) the likely consequences of any decision in the long term, (b) the interests of the company's employees, (c) the need to foster the company's business relationships with suppliers, customers and others, (d) the impact of the company's operations on the community and the environment, (e) the desirability of the company maintaining a reputation for high standards of business conduct, and (f)the need to act fairly as between members of the company. (2)Where or to the extent that the purposes of the company consist of or include purposes other than the benefit of its members, subsection (1) has effect as if the reference to promoting the success of the company for the benefit of its members were to achieving those purposes. (3)The duty imposed by this section has effect subject to any enactment or rule of law requiring directors, in certain circumstances, to consider or act in the interests of creditors of the company”. Per una visione critica dell’effettiva portata di questa norma, cfr. R. Williams, Introduction: Enlightened Shareholder Value and Section 172 of Companies Act 2006, 35 UNSW Law Journal 360 (2012).

     

    [8] Cfr. in proposito i Principles of Corporate Governance, OECD Report to G20 Finance Ministers and Central Bank Governors, cit., al capitolo IV, The role of stakeholders in corporate l’ampio e prolifico dibattito riguardante la responsabilità socia-le dell’impresa (Corporate Social Responsibility, o CSR), che ve-de tra i suoi attori anche le principali istituzioni internazionali. Tra queste, la Commissione Europea: si veda in proposito la Comunicazione “A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility”, COM(2011) 681 final del 25 ottobre 2011, nella quale la Commissione richiama la propria definizione di CSR come “a concept whereby companies integrate social and environmental concerns in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a voluntary basis”, e propone di adottarne la seguente versione più moderna: “the responsibility of enterprises for their impacts on society”.. Si vedano anche: i Ten Principles del UN Global Compact (https://www.unglobalcompact.org/AboutTheGC/-TheTenPrinciples/index.html); gli United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights (http://www.ohchr.org/Do-cuments/Publications/GuidingPrinciplesBusinessHR_EN.pdf); la Tripartite Declaration of principles concerning multinational enterprises and social policy – 4th Edition dell’ILO, 2014, , e infine le OECD Guidelines for Multinational Enterprises, mneguidelines.oecd.org/text/.

     

    [9] Onestà intellettuale, equidistanza, equilibrio, tecnica rigorosa e critica coraggiosa: tutte le doti che dovrebbe avere il giurista, oggi troppo spesso appiattito sulle posizioni più convenienti: questo in sintesi il pensiero del compianto indimenticabile Maestro B. Libonati, Di petrolio, di intese, e di altre cose meno commendevoli, in Riv. dir. comm., 2002, 185 ss.

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