Tratto da HR Link, People at Work
Negli ultimi anni, in Italia, si è parlato con crescente frequenza della possibilità di licenziare un dipendente tramite chat o un semplice SMS. Queste modalità hanno sollevato un dibattito acceso sia tra i giuristi che tra i lavoratori. Ma è legale licenziare un dipendente con un messaggio di testo? Cosa prevede la normativa italiana a riguardo?
In Italia, il licenziamento è regolato da un quadro legislativo piuttosto rigoroso, che prevede specifiche forme e modalità di comunicazione. La legge stabilisce che il licenziamento deve essere comunicato per iscritto. Questa regola è sancita dall’articolo 2 della Legge 604/1966, che richiede la forma scritta come requisito essenziale per garantire la validità del licenziamento.
“La giurisprudenza, fin dai tempi del telefax, si è interrogata sul mezzo tecnico con cui il licenziamento può essere validamente comunicato ed è pervenuta, anche rispetto all’SMS, alla conclusione che il mezzo è idoneo nella misura in cui garantisce tutti i requisiti richiesti dalla legge, tra i quali, in particolare, il fatto che la volontà di recedere sia chiara e inequivocabile e incorporata in un atto scritto, riconducibile al datore di lavoro. Inoltre, deve essere portata a conoscenza del lavoratore” spiega l’avvocato Francesca Pittau di ADVANT Nctm, che aggiunge: “Pertanto, come sempre, è importante analizzare la situazione nel suo complesso prima di scegliere una tale modalità per una decisione così importante come il recesso da un contratto di lavoro”.
La comunicazione scritta, va specificato, serve a tutelare il lavoratore, offrendogli una traccia documentale con cui poter contestare il licenziamento, se lo ritiene illegittimo o discriminatorio, presso il giudice del lavoro. La legge stabilisce inoltre che nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, il datore di lavoro è obbligato a fornire una dettagliata motivazione della decisione, spiegando chiaramente le ragioni che giustificano il recesso dal contratto.
Licenziare via Whatsapp, e-mail o SMS: è valido?
Tecnicamente, dunque, come ha spiegato l’avvocato Pittau, un SMS o una email potrebbero rispettare il requisito formale della comunicazione scritta, dato che offrono una traccia tangibile e verificabile: “Possiamo dire che ‘scritto’ non significa scritto sulla carta, come nel caso della classica lettera di licenziamento, ma si può anche riferire a una visualizzazione su display” chiarisce ancora l’avvocato; tuttavia, la giurisprudenza è stata piuttosto cauta su questo punto.
Secondo diversi tribunali italiani, sebbene un SMS o un’email possano in linea teorica costituire una comunicazione scritta, rimane fondamentale che il messaggio contenga tutti gli elementi richiesti dalla legge, come l’esplicitazione dei motivi del licenziamento. Inoltre, deve essere verificata la ricezione da parte del dipendente. Un aspetto critico che emerge è legato infatti alla possibilità che il lavoratore non legga il messaggio, per esempio a causa di un guasto tecnico o perché cambia numero di telefono.
Per questo motivo, i tribunali spesso consigliano modalità più sicure e tracciabili, come la raccomandata con ricevuta di ritorno o la PEC (posta elettronica certificata), che garantiscono una prova dell’effettiva ricezione del messaggio da parte del destinatario.
Le case history più emblematiche
Uno dei casi più noti in Italia riguardanti il licenziamento via SMS risale al 2006, quando la dipendente di un’azienda di telecomunicazioni fu licenziata con un messaggio di testo. Il caso fece molto scalpore e sollevò una serie di interrogativi legali e sociali sulla validità e sull’appropriatezza di questa modalità di licenziamento. La lavoratrice fece ricorso e il tribunale ritenne il licenziamento illegittimo, principalmente perché la comunicazione tramite SMS non era stata seguita da una raccomandata che esplicitasse le motivazioni del recesso.
Un altro esempio si ebbe nel 2015, quando un lavoratore fu licenziato via WhatsApp. Anche in questo caso, il giudice del lavoro dichiarò nullo il licenziamento perché non erano state rispettate le formalità richieste dalla legge. Nonostante l’uso di una piattaforma elettronica che forniva una traccia scritta del licenziamento, la procedura non rispettava i requisiti legali di trasparenza e chiarezza.
Nel 2021, durante la pandemia, sono emersi nuovi casi di licenziamenti comunicati via email o messaggistica istantanea, soprattutto nel contesto dello smart working. Tuttavia, molti di questi licenziamenti sono stati contestati dai dipendenti e successivamente annullati dai tribunali, poiché le modalità di comunicazione non garantivano il rispetto delle norme procedurali.
“Ci sono in realtà anche precedenti (benché la casistica non sia ampia) che hanno ritenuto il licenziamento via sms e whatsapp conforme ai requisiti di forma scritta – ribatte l’avvocato Pittau – e, poi, con una valutazione che si muove però su un piano diverso, hanno anche ritenuto valide le motivazioni indicate. Il caso per me più chiaro è una decisione del Tribunale di Catania del 2017, in cui il messaggio Whatsapp è stato ritenuto, come modalità, idoneo ad assolvere i requisiti di forma visto che il messaggio si presentava in forma scritta e, in quel caso, il giudice vi aveva anche rinvenuto caratteristiche di chiarezza e inequivocità tali da non far dubitare circa la volontà di recesso del datore di lavoro. La prova di ciò era peraltro data, a detta del Tribunale, dal fatto che l’atto di recesso era stato tempestivamente impugnato e, dunque, la lavoratrice non aveva avuto dubbi su quali fossero le conseguenze di quella comunicazione, sebbene fosse stato utilizzato un mezzo diverso dalla tradizionale lettera stampata consegnata a mani o via posta”.
Gli elementi imprescindibili
Ci sono alcuni fattori che devono essere garantiti se si usa uno strumento digitale per comunicazioni così importanti, come spiega Francesca Pittau: “Grande rilevanza è da attribuirsi alla certezza della provenienza di una comunicazione di recesso dal datore di lavoro e, dunque, ci si deve accertare che sia possibile per il destinatario collegare le utenze utilizzate a un soggetto che ha il potere di esprimere validamente la volontà di cessare il rapporto, onde evitare contestazioni sul punto.
Inoltre, se consideriamo l’SMS alla stregua di un documento informatico, la legge ci dice che il requisito della forma scritta deve essere liberamente valutato in giudizio tenendo conto delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità del documento.
Ovviamente, appurato il soddisfacimento della forma scritta, rimane sempre da svolgere il vaglio sulle motivazioni. Se, dunque, si pensa di usare un mezzo come l’SMS – che per sue caratteristiche può spingere a comunicazioni molto sintetiche – si dovrà valutare con attenzione se sia davvero il più idoneo anche per trasferire i contenuti necessari ed esplicitare le motivazioni che stanno alla base della decisione presa”.
I consigli per gli HR
“Accertarsi che il testo individuato abbia le caratteristiche in termini di motivazione che ci si aspetterebbe in una lettera di licenziamento – consiglia l’avvocato Pittau – e che sia inequivoca la provenienza da una utenza del datore di lavoro. Mi pare che si possa dire che, tenuto conto di alcune accortezze, il mezzo di per sé non determini, da solo, una illegittimità del licenziamento. Tuttavia, pur comprendendo che la velocità e semplicità possano essere attraenti per i datori di lavoro (soprattutto per le piccole realtà) non sottovaluterei altre “controindicazioni” rispetto a questa scelta. La messaggistica induce a un linguaggio normalmente più sintetico e più “veloce”, che potrebbe non essere la scelta ideale per veicolare decisioni e motivazioni che andrebbero invece attentamente ponderate e spiegate con adeguato livello di dettaglio.
Premesso ciò, vorrei mettere in guardia gli HR dal rischio di sottovalutare l’impatto ulteriormente negativo che la scelta comunicativa può comportare sul lavoratore. Infatti, sebbene la consegna di una lettera di licenziamento sia sempre un momento difficile, chi si occupa di risorse umane sa che può anche essere un momento per fornire dei chiarimenti, per comprendere le reazioni e per testimoniare come la società affronta situazioni complesse e assume la responsabilità delle proprie decisioni. Credo che non sia ancora arrivato il momento per la lettera di licenziamento di andare in pensione” conclude l’avvocato Pittau.