Lo scorso 7 dicembre le Parti Sociali hanno sottoscritto, su impulso del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile.
Tutte le maggiori sigle sindacali e le maggiori associazioni imprenditoriali lo hanno firmato: lo scopo del documento è quello di dare delle direttive ai proprio sottoscrittori per stesura dei prossimi contratti collettivi, siano essi nazionali o si secondo livello. Esso è, peraltro, molto utile anche per la redazione degli accordi individuali che saranno sottoscritti nel prossimo futuro, in attesa che i suddetti contratti collettivi vengano alla luce; ricordo, infatti, che la Legge 81/2017 richiede che lo smart working sia regolato da accordi individuali (a prescindere dall’esistenza o meno di una normativa collettiva superiore).
I punti trattati dal Protocollo non sono solo quelli regolati dalla Legge 81/2017 ma anche quelli che l’esperienza accumulata in questo ultimo periodo, caratterizzato da un utilizzo massiccio, intenso e prolungato del lavoro agile, ha fatto emergere come particolarmente delicati e controversi.
Segnalo, inoltre, che all’”incremento della competitività” e alla “conciliazione dei tempi di vita e lavoro” - che erano gli obiettivi dichiarati della Legge 81/2017 - il Protocollo aggiunge tematiche tipicamente ESG, quali quella ambientale e altre di tipo sociale, quali, ad esempio, la promozione della genitorialità e la tutela dei fragili e dei disabili.
Particolare attenzione è, poi, dedicata alla individuazione dei luoghi idonei a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile, chiarendo che essi debbano garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori ma anche la sicurezza dei dati trattati, con facoltà di identificare a priori tipologie vietate di luoghi, classificati come inidonei a questo fine.
Sempre nell’ottica di assumere un approccio pragmatico su aspetti delicati, il Protocollo specifica le responsabilità in capo al lavoratore e al datore di lavoro in tema di gestione e manutenzione degli strumenti tecnologici attraverso i quali è possibile rendere la prestazione; così come regola le altrettanto delicate questioni del diritto alla disconnessione e dei controlli a distanza. Tutti temi che quotidianamente si pongono agli operatori nella stesura degli accordi e nella gestione degli stessi.
Da ultimo, ricordo alcuni principi generali che, ancorchè dovrebbero essere ormai acquisiti, nella realtà, non sempre lo sono; in primis il principio che una organizzazione del lavoro basata sullo smart working non è un diritto di alcuna parte; nessuna, quindi, può pretenderla in caso di mancata sottoscrizione dell’accordo. Il secondo che l’adozione del lavoro agile non può costituire titolo per avere un diverso trattamento – sia esso in melius o in pejus – rispetto a chi lavora secondo un’organizzazione “tradizionale” in tema di remunerazione, inquadramento, livello, promozione e percorsi di carriera.
Da ultimo, segnalo la evidenziazione dell’importanza dei programmi di formazione continua e all’accesso agli stessi anche da parte dei lavoratori agili; programmi che sono, al contempo, fonte di diritto ma anche di obbligo per entrambe le parti in un contesto ove le stesse sono egualmente sollecitate continuamente ad aggiornarsi rispetto ai continui progressi che la tecnologia mette loro a disposizione.
Per un’esaustiva analisi del documento, una volta tanto scritto con uno stile accessibile, invito tutti alla sua integrale lettura.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Michele Bignami.