Il 16 marzo UNI ha pubblicato un’interessantissima Prassi di Riferimento (la 125:2022. In seguito la “PdR”) relativa all’”adozione di specifici KPI inerenti le Politiche di parità di genere nelle organizzazioni" (qui il link per consultare il testo integrale).
Pur non essendo una normativa nazionale la PdR è un documento che si ricollega al Regolamento UE 1025/2012, che condensa gli esiti del tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese previsto dalla Missione 5 del PNRR; tavolo al quale hanno partecipato 4 Ministeri, oltre alla Consigliera Nazionale di Parità.
La premessa da cui parte il documento è una desolante fotografia del divario di genere nel mondo e nel nostro Paese, che il World Economic Forum (WEF, 2021), Eurostat, Istat (2019), INPS (2020) ed AlmaLaurea 2018 hanno evidenziato.
In estrema sintesi, se tra le quattro “dimensioni” del gender gap, quelle relative al divario in tema di salute e istruzione vedono un significativo restringimento delle differenze (se pure con le precisazioni che vedremo), rimane alta la percentuale del gap nella dimensione “opportunità e partecipazione economica” e in quella “politica e rappresentanza”.
Il basso tasso di occupazione femminile (di circa 20 punti percentuali inferiore a quello maschile su media nazionale) diventa drammatico con la discesa dell’indagine lungo lo stivale, ove il predetto tasso è al Sud circa il 50% inferiore a quella dell’equivalente dato del Nord; il risultato, per nulla esaltante, è la collocazione del nostro Paese nella graduatoria in Europa quali terz’ultimi, davanti solo a Grecia e Malta.
Interessante è anche il dato, apparentemente contraddittorio, relativo ai laureati e ai super-laureati (Master, PHD), che evidenza che in entrambe le categorie prevalgono percentualmente le donne. Tuttavia queste sono in minoranza nelle discipline STEM, con un picco negativo in ingegneria dove si registra un ingegnere donna per tre ingegneri uomini.
Quanto al dato relativo alla differenza salariale (poco sotto il 10%) Eurostat ci spiega come ci sia poco da rallegrarsi in relazione alla composizione della partecipazione femminile nel mondo del lavoro, concentrata nelle posizioni con più bassi redditi.
Un altro dato che illustra la condizione femminile è quello relativo ai contratti a tempo determinato, 4 volte superiore a quello maschile (32,4% contro 8%) e composto per il 60% da part-time involontario.
Gli studi in questione evidenziano anche che il fattore di rallentamento tipico della carriera di una donna è costituito dalla maternità; dato che è completato dalla constatazione che tale rallentamento non è solo nel breve periodo ma permane anche a 15 anni di distanza dalla maternità, tanto da registrare in quel momento un gap di 5.700 euro tra una lavoratrice senza figli e una con un figlio.
Completano il primo quadro i dati relativi ai settori in cui il lavoro femminile è presente; se questo registra una quasi parità uomo-donna nei settori della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione e dell’alloggio e ristorazione, esso rapidamente crolla nei settori maggiormente remunerativi.
Purtroppo quanto è descritto non esaurisce il divario di genere: infatti, le donne ricoprono ruoli di responsabilità in misura nettamente inferiore rispetto agli uomini, attestandosi a poco più di un quarto del totale dei manager (c.d. “glass ceiling” al quale corrisponde spesso, ancor prima, uno “sticky floor”). Del resto, anche le “azioni positive” che hanno favorito l’ingresso delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate (Legge Golfo-Mosca del 2011), non sono riuscite a portarle massicciamente nei posti di vertice degli Executive Committees.
Quanto descritto ha mosso l’UE ed altre organizzazioni internazionali ad evidenziare e cercare di misurare l’impatto positivo che una parità di genere avrebbe sulla società e sulla economia in particolare, giungendo ad ipotizzare una crescita di 11 punti di PIL per l’Italia. Del resto, esiste una correlazione tra maggiore inclusività delle donne e maggiore valore aziendali; anche se non è del tutto accertato che direzione tale correlazione abbia, ben potendo essere che aziende più “performanti” attirino più donne.
Per tutte tali ragioni l’Unione Europea nel 2020 ha definito una nuova agenda con gli obiettivi e le strategie per raggiungere la parità di genere entro il 2025. Tra queste ultime cita il Gender Impact Assessment (GIA) volto a valutare l’effetto che le misure correttive andranno a realizzare; tale strumento fornisce un forte ausilio, innanzi tutto, a fotografare la situazione esistente attraverso l’utilizzo degli strumenti quantitativi, che derivano dalle scienze statistiche.
Nell’alveo di queste iniziative il Governo Italiano ha predisposto la Strategia Nazionale sulla parità di genere 2021-2025 che si ispira al Gender Equality Strategy della Ue, ed è strettamente legata agli obiettivi del PNRR. Un primo atto normativo è costituito dalla L. 5 novembre 2021 n.162 sulla parità salariale. In esso si trovano una modifica estensiva della nozione di discriminazione indiretta, che include azioni apparentemente “neutre”, quali misure organizzative, orari di lavoro e trasparenza dei dati; introduce anche l’obbligo di una certificazione sulla parità di genere, che garantiscono sgravi contributivi e punteggi favorevoli nelle gare pubbliche.
In questo ampio quadro, caratterizzato da forti stereotipizzazioni e bias, la consapevolezza è che gli interventi volti a sradicare la diseguaglianza di genere e le discriminazioni che la genera devono necessariamente assumere le caratteristiche di obiettivi aziendali dichiarati, che devono avere le seguenti caratteristiche:
i) definizione di precisi obiettivi organizzativi con creazione di chiari KPI
ii) instaurazione di un metodo predefinito e standardizzato di misurazione del loro raggiungimento
iii) certificazione dei risultati tramite soggetti terzi e processi trasparenti e qualificati.
A dette metodologie di fissazione degli obiettivi, loro monitoraggio e certificazione è interamente derivata la PdR, che si rivela esser un utile strumento per chi voglia e debba affrontare la tematiche della gender equality.
Senza voler cercare di realizzare un sunto del documento (alla cui integrale lettura, anzi, si rimanda), mi preme sottolineare alcuni punti-cardine che emergono con chiarezza dal documento in questione per indirizzare un’efficace politica di gender equality.
Un’indicazione che reputo molto interessante è la raccomandazione di dare molto risalto alla policy, facendone oggetto di adeguata pubblicità esterna ed interna; in particolare, evidenzio il suggerimento di dedicare una pagina del proprio sito aziendale al tema che consente a tutti di conoscere gli obiettivi aziendali e di partecipare alla loro realizzazione. Essa, in altri termini, funziona da rafforzatore del committment aziendale
La PdR non si limita, peraltro al processo ma individua diverse aree di intervento meritevoli di particolare attenzione: tra queste i processi di recruitment e selezione, la configurazione dei percorsi di carriera e una attenta analisi delle politiche retributive.
Accanto a questi temi “hard”, la PdR affronta anche il tema della genitorialità e della cura più in generale, tema che statisticamente incide sul lavoro femminile in misura rilevante; anche su questo aspetto il documento fornisce spunti stimolanti, dalle politiche di incentivazione all’utilizzo dei permessi genitoriali anche per gli uomini, a politiche di supporto per il rientro dalla maternità sino a misure di supporto concreto come asili nido, gestione del dopo-scuola e delle vacanze estive.
Da ultimo ma non per importanza un cenno alla censura dei comportamenti devianti e contrari al mantenimento del gender gap; soprattutto quando essi vestono i panni della vera e propria discriminazione se non della molestia essi vanno combattuti con forza. Ancora oggi molte aziende preferiscono “chiudere un occhio” su fatti e comportamenti dei propri dipendenti, degradandoli a “questioni personali” o “private” con il pretesto di non volere instaurare un “clima di polizia”; ebbene, la tolleranza verso detti fatti o comportamenti mina, in realtà, alla radice ogni tentativo di miglioramento. Sono personalmente convinto che, viceversa, un esame tempestivo e corretto delle segnalazioni (siano essi veritiere o strumentali; non intendo negare l’esistenza di tale tipo di denuncia) possa fungere da stimolo a comportamenti maggiormente consapevoli.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Michele Bignami