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    15.05.2019

    Agenzia e procacciamento d’affari: quando <i>“l’abito non fa il monaco”</i>


    Con la sentenza n. 3557 del 23 ottobre 2018, la Corte d’Appello di Roma ha affrontato la definizione dei confini tra il contratto di agenzia, così come disciplinato dagli artt. 1742 e ss. del Codice Civile e il contratto di procacciamento di affari, evidenziandone analogie e differenze. La pronuncia appare particolarmente utile per gli operatori del diritto che quotidianamente si cimentano nell’attività di inquadramento giuridico della fattispecie, affinché maturino sempre maggior consapevolezza in merito alle clausole di un contratto di procacciamento d’affari che possano abilmente celare un contratto di agenzia.

    Il caso

    Nell’ottobre del 2010 una società subiva l’accertamento ispettivo da parte dell’Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (“Enasarco”), il quale contestava un’omissione contributiva di euro 41.847,83 per mancati versamenti sulla retribuzione pagata a tre intermediari di vendita. Enasarco riteneva, infatti, che, alla luce del rapporto intercorrente tra la società e tali intermediari, ad essi trovasse applicazione la disciplina degli agenti di commercio, nonostante fossero stati qualificati dalla società mandante come procacciatori d’affari.

    Il ricorso e la decisione del Tribunale di Roma

    A fronte dell’esito negativo del ricorso presentato al Comitato Regionale per i rapporti di lavoro tramite la Direzione Regionale del Lavoro di Roma la società proponeva ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma contro Enasarco contestando la qualifica di agente di commercio in capo ai predetti intermediari e la conseguente omissione contributiva.

     

    Si costituiva, a questo punto, Enasarco contestando in fatto ed in diritto la domanda proposta dalla società e proponendo, altresì, domanda riconvenzionale per vedere accertata e dichiarata la natura di rapporto di agenzia intercorrente tra la società e gli intermediari.

     

    Il Tribunale, accogliendo il ricorso della società, affermava che la continuità nella trasmissione degli ordini e l’ammontare delle provvigioni, quali elementi del contratto concluso con i suddetti intermediari, non dovessero essere considerati, di per sé, indici sufficienti a individuare un contratto di agenzia e riconosceva la qualifica di procacciatore d'affari a gli intermediari.

    L’impugnazione e la decisione della Corte d’Appello di Roma

    Contro la sentenza del Tribunale di Roma, Enasarco ha proposto impugnazione sostenendo che dal verbale ispettivo non fossero emersi elementi idonei a dimostrare quella stabilità del rapporto tali da poter configurare quest’ultimo come contratto d’agenzia e che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado, la continuità nella trasmissione degli ordini, l'ammontare delle provvigioni, la durata pluriennale dei rapporti, nonché gli stessi dati emergenti dal verbale ispettivo fossero sintomatici dell'esistenza di un contratto di agenzia e non di procacciamento d’affari.

     

    I giudici di secondo grado hanno quindi accolto l’impugnazione della fondazione, riformando totalmente la sentenza di primo grado e condannando la società a pagare all’Enasarco i contributi non versati sulle provvigioni corrisposte agli intermediari.

     

    Alla base della decisione della Corte d’Appello vi è la constatazione che il contratto di agenzia è, per giurisprudenza costante, caratterizzato dalla natura stabile e continua dell’attività di promozione di affari in un determinato ambito territoriale, elementi che valgono a distinguerlo dal rapporto di procacciamento d’affari, che, invece, si contraddistingue per l’occasionalità del rapporto. Mentre, quindi, la prestazione dell’agente è per natura stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere con continuità l’attività di promozione delle vendite nell’interesse della preponente, la prestazione del procacciatore d’affari è e deve essere del tutto occasionale, dipendendo esclusivamente dall’iniziativa dell’intermediario.

     

    La Corte d’Appello ha analizzato in dettaglio le risultanze dell’ispezione, con particolare riguardo alle fatture emesse dagli intermediari a favore della società. Esse recavano una numerazione progressiva continua, a dimostrazione della stabilità e dell'esclusività del rapporto con quest'ultima intrattenuto e risultavano talvolta emesse in acconto per provvigioni così dimostrando “senza timore di smentita”, la stabilità del rapporto intercorrente fra le parti. I giudici di secondo grado chiosano affermando che “il pagamento di acconti presuppone la certezza della continuazione nel tempo della prestazione da parte dell'agente, mentre non si coniuga con l'occasionalità della prestazione del procacciatore”.

     

    Oltre all’analisi delle modalità di fatturazione, decisive sono state le previsioni contenute nella lettera d’incarico dal momento che la società, oltre ad aver assegnato agli intermediari sfere territoriali di operatività ben determinata – elemento che costituisce ex se uno dei caratteri distintivi del contratto di agenzia – aveva anche previsto il recesso degli intermediari purché lo scioglimento del rapporto avesse tenuto conto della “stagionalità delle linee dei prodotti e dunque solamente al termine della stagione estiva o invernale”.

     

    Tale clausola, infatti, pur formalmente ribadendo la precarietà del mandato e la possibilità di scioglimento dello stesso in qualsiasi momento, avrebbe esplicitato, in realtà, un vincolo di carattere non occasionale, imponendo una particolare obbligazione di durata a carico dell’intermediario. Tale caratteristica risulterebbe essere estranea al contratto di procacciamento d’affari, atteso che, motiva la Corte, “l'occasionalità dell'impegno e la libera iniziativa del procacciatore, che caratterizzano tale ultimo rapporto, non si coniugano con una previsione quale quella in precedenza richiamata”.

     

    Infine, La Corte d’appello ha considerato indice della continuità dell’attività oggetto del contratto e del giudizio, il fatto che i tre intermediari risultassero da diversi anni iscritti all’Enasarco in qualità di agenti.

    Conclusioni

    In conclusione, la decisione della Corte d’Appello rappresenta un importante precedente giurisprudenziale ai fini dell’individuazione del discrimen tra i rapporti di agenzia e i rapporti di procacciamento d’affari.

     

    Per quanto possa risultare assai gradita una pronuncia autorevole sul tema da parte della Suprema Corte, la sentenza in commento resta, in ogni caso, un esemplare avvertimento a quanti (compresi i tribunali di merito), tratti talvolta in inganno dal nomen di un contratto di procacciamento d’affari, non si preoccupano di verificarne concretamente gli elementi giuridici costitutivi, offrendo agli operatori del diritto una serie di strumenti utili a smascherare il rapporto di agenzia che potrebbe essere stato abilmente nascosto.

     

     

     

     

     

     

     

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    Per ulteriori informazioni contattare Francesca Rogai o Claudia Colamonaco.