Articolo a cura di Maria Pia Marzaro e Francesco Follieri.
Con ordinanza dell’11 settembre 2024, n. 7518, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. 50/2016, laddove prevede la soglia di gravità per le violazioni tributarie definitivamente accertate, discostandosi da precedenti della Sez. V (che aveva già dichiarato manifestamente infondate analoghe questioni di illegittimità costituzionale).
Infatti, in base all’art. 80, co. 4, d.lgs. n. 50/2016:
le violazioni tributarie definitivamente accertate sono gravi se superano l’importo di euro 5.000,00, stabilita dall’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973;
le violazioni non definitivamente accertate, invece, sono gravi se sono pari o superiori al 10% del valore del contratto e comunque superiori ad Euro 35.000,00.
Con l’ordinanza in commento, il Consiglio di Stato, esclusa la disapplicazione per contrasto con il principio di proporzionalità che deve informare le deroghe alle cause di esclusione previste dalle Direttive del 2014 in materia di contratti pubblici, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, co. 4, d.lgs. n. 50/2016, in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Invero, ad avviso del Collegio, il sistema di determinazione della soglia di gravità per le irregolarità fiscali definitivamente accertate (a portata automaticamente escludente) “si pone in tensione insanabile con l’art. 3 Cost. quale crogiuolo in cui si fondono secondo un sapiente dosaggio assiologico i principi cardinali di proporzionalità e ragionevolezza”.
In particolare, secondo il Collegio, la norma è irragionevole e sproporzionata per due ordini di ragioni:
(a) l’art. 80, co. 4, d.lgs. n. 50 del 2016 richiama la soglia di un meccanismo (quello dell’art. 48 bis del d.P.R. n. 602 del 1973) che comporta la compensazione automatica tra crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni e debito erariale. Con la conseguenza che lo stesso debito, se sorto prima della partecipazione alla gara, comporta automaticamente l’esclusione (indipendentemente dal valore del contratto e dalle dimensioni dell’operatore economico), mentre se sorto in corso di esecuzione comporta solo il congelamento del credito vantato dal contribuente nei confronti della p.a. per la somma corrispondente al debito tributario;
(b) la soglia per le violazioni tributarie definitivamente accertate è ingiustificatamente più bassa di quella prevista per le violazioni tributarie non definitivamente accertate, ove la gravità è commisurata al valore del contratto da aggiudicare e presidiata da una soglia de minimis (Euro 35.000,00).
Il Consiglio di Stato – conscio della discrezionalità del legislatore in materia – quasi suggerisce alla Corte costituzionale una sentenza additiva di principio, con la quale cioè si sancisca che sono “gravi violazioni definitivamente accertate quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”, ossia superiore ad Euro 5.000,00,“e che, in ogni caso, sono correlate al valore dell'appalto”, lasciando perciò al legislatore la determinazione della proporzione rispetto al valore dell’appalto. In altre parole, secondo il Consiglio di Stato, il legislatore non sarebbe tenuto ad estendere alle violazioni definitivamente accertate la soglia di rilevanza del 10% del valore del contratto da aggiudicare.
La questione portata all’attenzione della Corte costituzionale è estremamente attuale, perché l’art. 94, co. 6, l’art. 95, co. 2, e l’Allegato II.10 del d.lgs. n. 36/2023 (allo stato non oggetto dello schema di decreto correttivo) ripetono la medesima disciplina della gravità delle violazioni tributarie. A ben vedere, poi, il d.lgs. 36/2023 ha in un certo senso ulteriormente sottolineato la disparità di trattamento tra le violazioni tributarie definitivamente accertate e quelle non definitivamente accertate, collocando quelle definitive nell’art. 94, cioè fra le cause di esclusione automatica, e quelle non definitive nell’art. 95, cioè fra le cause di esclusione non automatica. Sicché, malgrado l’ordinanza di rimessione si riferisca solo all’art. 80 dell’abrogato codice dei contratti pubblici e, perciò, l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale possa avere effetti solo in relazione a quella norma, non è da escludere che una pronuncia sull’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 possa riverberarsi anche sulla disciplina attualmente vigente.
Del resto, per le stesse ragioni evidenziate dal Consiglio di Stato è lecito dubitare della legittimità costituzionale anche dell’art. 94, co. 6, d.lgs. n. 36/2023. Sicché non è da escludere che, in attesa della decisione della Corte costituzionale, possa essere sollevata anche questione di legittimità costituzionale dell’attuale disciplina di questa causa di esclusione.