La frequenza con la quale l’intelligenza artificiale viene impiegata nell’attività contrattuale impone di valutare, in primo luogo, se gli smart contracts, conclusi mediante macchine intelligenti, siano compatibili con la disciplina che già regola la materia dei rapporti contrattuali e, in secondo luogo, perciò, se vi sia l’esigenza di dettare un sistema di norme nuove volte ad adattare tale disciplina alle diverse situazioni nascenti dai contratti digitali, conclusi mediante intelligenza artificiale.
Infatti, nel momento in cui si ammette che nella vicenda contrattuale possa fare il suo ingresso una intelligenza artificiale progettata per condurre l’attività contrattuale, e, dunque, scegliere le sue controparti, negoziare i termini contrattuali e concludere il contratto stesso, occorre verificare se, e in che misura, tale contraente sia dotato di autonomia e volontà negoziale al pari di qualunque altro contraente umano.
La digitalizzazione dell’attività contrattuale ha condotto, con il passare del tempo, alla tecnologia blockchain e dei c.d. smart contracts.
Come noto, la tecnologia blockchain è finalizzata alla gestione di transazioni attraverso la creazione di un registro distribuito, pubblico e condiviso in rete dai partecipanti, i quali lo gestiscono secondo una modalità “peer to peer”.
Tale registro è strutturato come una catena di blocchi, ciascuno contenente una o più transazioni, tale per cui l’aggiunta di ogni blocco avviene legando irreversibilmente il nuovo blocco a quello precedente mediante un’operazione logaritmica, detta “funzione di hash”.
L’aggiunta di nuovi blocchi dipende necessariamente da un processo di validazione compiuto dagli stessi partecipanti alla rete e consiste nella risoluzione di un complesso problema matematico il cui risultato sarà condiviso dagli altri utenti c.d. miners.
Dall’utilizzo della tecnologia della blockchain sono, così, nati gli smart contracts, destinati ad autoeseguirsi automaticamente (self executing) e al verificarsi di determinate condizioni stabilite nelle istruzioni date.
L’esito irreversibile degli smart contracts basati sulla tecnologia blockchain conduce, pertanto, alla pressoché assoluta garanzia dell’esecuzione del contratto.
Il contratto diventa, così, idoneo a regolare nuove forme di diritti (smart properties) che, seppur automatizzati, restano associati a elementi del mondo fisico.
Dall’idea del contratto “automatico” nasce, perciò, il quesito se esso abbia realmente bisogno della legge per esistere e produrre i propri risultati.
Il problema si pone, in particolare, in tutti quei casi in cui la macchina artificiale diviene capace di compiere da sola decisioni più o meno complesse, sino a poter sostituire l’intervento umano anche in quei momenti o aspetti della vicenda contrattuale che implicano l’attuazione di “scelte”, potendosi considerare, in un certo senso, “autonoma”.
Le macchine artificiali divengono, così, portatrici di una propria autonomia, determinando una soltanto apparente dissociazione dalla persona del contraente delle sue facoltà cognitive e volitive.
La macchina, infatti, in quanto produttrice di esiti contrattuali imprevedibili e non predeterminati dal contraente “umano”, sarebbe portatrice di volontà e, conseguentemente, di responsabilità proprie.
Ci si chiede, pertanto, se a tale autonomia decisionale corrisponda la manifestazione di una soggettività di diritto distinta da quella del contraente umano, così da attribuire alla macchina la titolarità di un patrimonio e di una responsabilità distinta da quella del contraente umano.
Ciò che è certo, in ogni caso, è che l’intelligenza artificiale opera autonomamente, sottraendo al contraente umano il pieno controllo dei risultati.
È proprio da questa considerazione che sorge il problema della imprevedibilità dei risultati di un contratto il cui contenuto sia frutto di scelte, in tutto o in parte, intraprese dalla macchina stessa.
Si tratta, tuttavia, di un falso problema che nasce dall’idea del contratto come prodotto esclusivo della volontà dei contraenti, sulla base di una consapevole rappresentazione della realtà e del pieno controllo delle informazioni.
Nella realtà, infatti, le parti si rappresentano soltanto il risultato pratico che con il contratto intendono perseguire, trascurando il complesso di norme destinato a regolamentare il rapporto contrattuale che ne deriva.
Ne consegue che l’imprevedibilità del risultato è un “problema” che interessa sempre qualsiasi rapporto contrattuale.
Ciò premesso, il vero problema, perciò, è quello di adattare alle nuove modalità di conclusione del contratto, tutti quei rimedi che l’ordinamento appresta per i casi in cui vi sia una divergenza tra la volontà dei contraenti ed i risultati che, in concreto, il contratto ha prodotto.
Il vantaggio dei contratti “automatici” è che l’utilizzo di macchine artificiali può consentire la verificabilità oggettiva dei processi di cui si compone la vicenda contrattuale. I fini pratici, gli intenti, le aspettative che rilevano sono esclusivamente quelli del contraente umano.
Di talché, i rimedi giuridici potranno essere attivati soltanto se e nei limiti in cui la disfunzione della macchina abbia determinato un vizio del contratto valutato alla stregua delle finalità, degli intenti e delle aspettative del contraente umano.
La psicologia della macchina non può rilevare dal momento che la macchina non è il contraente: essa è soltanto l’autrice dei processi cognitivi e volitivi a cui il contraente umano affida la conclusione del contratto.
Il vero problema è, dunque, quello della reciproca comprensione tra la macchina intelligente ed il contraente umano affinché alle aspettative del secondo corrispondano i risultati dell’attività contrattuale condotta dalla macchina.
Pertanto, di rimedi giuridici si potrà parlare soltanto in quanto la divergenza tra aspettative umane e attività contrattuale condotta dalla macchina si manifesti all’esterno.
Alla luce delle considerazioni suesposte, pertanto, pare evidente la necessità che sia progettato un sistema di rimedi che si collochino in un momento anticipato rispetto a quello nel quale operano quelli tradizionali, provvedendo a disciplinare ed omologare gli stessi strumenti digitali della contrattazione e regolamentare l’ambiente digitale dove essa avviene al fine di renderlo trasparente e controllabile ex ante.
Soltanto in questo modo è auspicabile che, con l’implementazione della tecnologia e le numerose novità dal punto di vista normativo e legislativo, lo smart contract e il potenziale della tecnologia blockchain possano essere applicati sempre di più al mondo del diritto, conducendo, in questo modo ad una vera e propria rivoluzione giuridico-informatica.
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