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    22.02.2019

    <i>“Per la Corte Suprema di Cassazione è illegittimo il sequestro di infiorescenze di cannabis light”</i>


    Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 4920, 31 gennaio 2019

     

    Il mercato della cannabis light continua a crescere in maniera esponenziale e ad attirare un grande numero di investitori da tutto il mondo.

     

    Tuttavia, come anticipato nel nostro precedente articolo “Cannabis light in Italia: boom clamoroso nelle vendite, ma l’uso ricreativo resta illegale”, la Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, non prevedendo la vendita delle infiorescenze per uso ricreativo, ha generato molti dubbi ed incertezze interpretative, che rischiano di incidere in modo negativo sulla vendita dei prodotti a base di cannabis light.

     

    Un importante passo in avanti sul punto, però, è stato fatto dalla Corte Suprema di Cassazione, la quale è stata chiamata a decidere proprio in merito alla legittimità o meno della vendita di infiorescenze di cannabis light (cioè con THC compreso tra lo 0,2% e lo 0,6%).

     

    Con la rivoluzionaria sentenza n. 4920 del 31 gennaio 2019, i giudici di legittimità affermano, in sintesi, che dalla liceità della coltivazione della cannabis light, alla stregua della legge 2 dicembre 2016, n. 242, discende, quale corollario logico-giuridico, la liceità della commercializzazione al dettaglio dei relativi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0.6 %, (e, in particolare, delle infiorescenze) - percentuale al di sotto della quale la sostanza non è considerata dalla legge come produttiva di effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti - nel senso che non possono più essere considerati sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto d.P.R.

     

    Ne consegue che, se il rivenditore di infiorescenze di cannabis light provenienti dalle coltivazioni considerate dalla Legge n. 242 del 2016 è in grado di documentare la provenienza lecita dei prodotti, il sequestro preventivo delle infiorescenze, al fine di effettuare successive analisi, può giustificarsi solo se emergono specifici elementi di valutazione che rendano ragionevole dubitare della veridicità dei dati offerti e lascino ipotizzare la sussistenza del reato di cui all’ art. 73, comma 4, d.P.R. 309 del 1990.

    Il Caso di specie

    L’ordinanza del Tribunale del Riesame di Macerata

    Il caso trae origine dall’ordinanza di rigetto del Tribunale del Riesame di Macerata avverso l’istanza di riesame proposta contro il sequestro preventivo di infiorescenze di cannabis light.

     

    Nella fattispecie, le infiorescenze di cannabis light contenevano un valore medio di THC inferiore allo 0,6%, conformemente a quanto previsto per legge.

     

    Nonostante ciò, il Tribunale di Macerata riteneva sussistente il fumus in relazione al reato di produzione, traffico e detenzione di illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990 ed affermava che, sebbene la Legge n. 242/2016 si ponga in rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale in tema di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti contenuta nel d.P.R. 309/1990, non possa derogarvi in quanto non riguarda scopi ricreativi, regolamentando soltanto le coltivazioni di canapa delle varietà ammesse ex art. 17 direttiva 2005/53/CE – non rientranti nell’ambito di applicazione del d.P.R.309/1990 e riferendosi esclusivamente alle condotte dell’agricoltore.

    Ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Macerata

    Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Macerata veniva proposto ricorso sulla base di tre motivi, che possono così sintetizzarsi:

     

    Primo motivo di ricorso

     

    Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sosteneva la contradditorietà dell’ordinanza impugnata, avendo il Tribunale di Macerata erroneamente affermato che (i) la Legge n. 242/2016, pur ponendosi in rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale in tema di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti contenuta nel d.P.R. 309/1990, non possa derogarvi; (ii) la commercializzazione al dettaglio dei prodotti derivanti dalla coltivazione di canapa sia illecita, poichè non prevista e disciplinata dalla Legge n. 242/2016.

    Il ricorrente osservava, invece, che il mancato inserimento del commercio di infiorescenze nell’elenco delle attività lecite non esclude automaticamente la sua liceità e che, in ogni caso, la circolare ministeriale n. 70 del 22 maggio 2018 ha ricondotto le infiorescenze alla categoria del florovivaismo, così rendendo lecito il loro commercio.

     

    Secondo motivo di ricorso

     

    Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduceva il vizio di motivazione nella apodittica affermazione della illiceità del commercio di infiorescenze di cannabis light a scopi ricreativi.

     

    Terzo motivo di ricorso

     

    Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduceva l’erronea applicazione dell’art. 4, commi 5 e 7 della Legge n. 242/2016, anche in relazione all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.

     

    A tale proposito, per mera chiarezza espositiva, si precisa che ai sensi dell’art. 4, commi 5 e 7, della Legge n. 242/2016, qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6%, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni previste per legge, mentre al comma 7 è previsto che il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa piantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla Legge possano essere disposti dall’autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, il contenuto di THC nella coltivazione risulti superiore allo 0,6%. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso è esclusa la responsabilità dell’agricoltore.

     

    Fermo quanto sopra, il ricorrente sosteneva che, come desumibile dalla lettura dei succitati articoli, quando si tratti della coltivazione di semi certificati, conformemente alla normativa vigente, anche per il venditore (così come previsto per l’agricoltore) è esclusa la responsabilità penale ove il livello di THC sia superiore alla soglia di massima tolleranza (0,6%). Il ricorrente evidenziava, inoltre, che nel caso di specie, non era stato effettuato l’accertamento genetico sui semi coltivati.

    La sentenza della Corte Suprema di Cassazione

    Prima di entrare nel merito della questione, i giudici di legittimità hanno ritenuto necessaria l’analisi preliminare del quadro normativo italiano in materia di sostanze stupefacenti e cannabis light, con particolare riferimento alla Legge n. 242/2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” e ai profili relativi alla commercializzazione delle infiorescenze.

     

    La sopracitata Legge, spiega la Corte, è mossa dalla ratio di promuovere e diffondere nel sistema produttivo italiano l’uso della canapa, ricreando le condizioni per fare ripartire la filiera nazionale della canapa e, come si evince dalla relazione alla proposta di legge, di evitare che i coltivatori rischino gli effetti (procedimenti penali con onerose spese legali, sequestri o distruzioni o, comunque, perdite di raccolti) di accertamenti eseguiti con procedure di prelievo e di esami contrastanti con le norme europee.

     

    L’articolo 1, comma 2, sancisce che la Legge n. 242/2016 si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art.17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza di cui al d.P.R. 309/1990.

     

    La coltivazione delle varietà di canapa nella stessa considerate, non costituisce, pertanto, reato ai sensi dell’art.73 d.P.R. 309/1990 ed è consentita senza previa autorizzazione. La Legge n. 242/2016 prevede soltanto che (i) il coltivatore conservi i cartellini della semente e le fatture di acquisto per almeno 12 mesi; (ii) l’autorità competente effettui i controlli secondo il metodo prescritto dalla vigente normativa dell’Unione europea e nazionale di recepimento; (iii) il contenuto complessivo di THC della coltivazione non superi il limite dello 0,6%.

    Difatti, dal superamento del summenzionato limite consegue la perdita dei benefici economici erogati dallo Stato e, come previsto dall’art. 4, comma 7, le coltivazioni possono essere confiscate o distrutte, senza che ciò comporti una responsabilità in capo all’agricoltore.

     

    Orbene, dopo aver delineato i principali profili del quadro normativo italiano in materia di canapa light, i giudici di legittimità hanno affrontato la questione inerente alla vendita al dettaglio dei prodotti a base di canapa, lumeggiando che, sebbene non prevista dalla Legge n. 242/2016, deve comunque ritenersi consentita la commercializzazione per i prodotti della canapa oggetto del “sostegno e della promozione”, espressamente contemplati negli articoli 2 e 3 della legge.

     

    Ed ancora, i giudici di legittimità precisano che con la Circolare del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo del 22 maggio 2018 n.70, le infiorescenze di canapa sono state ufficialmente inserite nella categoria del florovivaismo, così rendendo lecito il loro commercio.[1]

     

    Alla luce di tutto quanto sopra, la Corte ha ritenuto, pertanto, di poter condividere l’orientamento espresso in precedenza da parte della giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Ancona, 27 luglio 2018; Tribunale di Rieti 26 luglio 2018; Tribunale di Macerata, 11 luglio 2018; Tribunale di Asti, 4 luglio 2018) e della dottrina, secondo cui dalla liceità della coltivazione di cannabis alla stregua della Legge n. 242/2016, deriverebbe la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0,6%, per cui non potrebbero più considerarsi (ai fini giuridici) sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 309/1990.

    La fissazione del limite dello 0,6% di THC rappresenta già, infatti, l’esito di quello che il legislatore ha considerato un ragionevole equilibrio fra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell’ordine pubblico, cosicché la vendita delle infiorescenze provenienti dalle coltivazioni lecite ai sensi della 242/2016 non potrà considerarsi illecita, salvo diverse previsioni di leggi.

    A questo proposito, è appena il caso di evidenziare che né il d.P.R. 309/1990 né (inesistenti) fonti normative primarie successive alla Legge n. 242/2016 presentano contenuti che consentono di affermare questa conclusione. Ne deriva che vale il principio generale secondo il quale “la commercializzazione di un bene che non presenti intrinseche caratteristiche di illiceità deve, in assenza di specifici divieti o controlli preventivi previsti dalla legge, ritenersi consentita nell’ambito del generale potere (agere licere) delle persone di agire per il soddisfacimento dei loro interessi (facultas agendi)”.

     

    La Corte Suprema conclude precisando che, se non è contestato che le infiorescenze sequestrate provengano da coltivazioni lecite ex lege 242/2016, come per l’agricoltore, anche per il commerciante è esclusa la responsabilità penale nel caso di sequestri (e distruzioni) dei prodotti a causa del superamento del limite dello 0,6% e sarà, quindi, ammissibile soltanto il sequestro in via amministrativa (art. 4, comma 7, Legge n. 242/2016). Ad una diversa conclusione potrà giungersi soltanto se risulti che il commerciante sia stato consapevole oppure artefice dei trattamenti del prodotto successivi all’acquisto dal coltivatore e volti ad incrementare il contenuto di THC.

     

    La pronuncia in esame rappresenta senza dubbio un importante tassello per rendere via via più chiaro il significato delle disposizioni della Legge n. 242 del 2 dicembre 2016 e non lasciare spazi a dubbi interpretativi.

     

     

     

     

     

     

     

    Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.

    Per ulteriori informazioni contattare Paolo Quattrocchi, Guido Foglia o Michelle Pepe.

     

     

     

     

     

     

     

    [1]L’articolo 2 della Legge n. 242/2016 prevede che dalla canapa coltivata è possibile ottenere specifici prodotti e attività (a titolo esemplificativo e non esaustivo: alimenti, cosmetici, semilavorati, materiale destinato alla pratica del sovescio, materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia), tra i quali sono incluse le coltivazioni destinate al florovivaismo.