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    11.06.2018

    Deleghe di funzioni e modelli 231: strumenti essenziali per le imprese portuali anche in materia ambientale


    Nello scorso numero di questa newsletter si è evidenziata l’importanza di prevedere un idoneo sistema di deleghe e funzioni, nonché di adottare un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. 231/2001, al fine di evitare - in capo ai Datori di Lavoro e alle società - il sorgere di gravi responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

     

    Strumenti analoghi possono essere adottati anche per prevenire i rischi connessi all’eventuale violazione della normativa ambientale.

     

    Trattando per primo l’argomento della delega di funzioni, a differenza di quanto già visto in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non vi è alcuna norma nel nostro ordinamento che consenta espressamente di conferire specifiche deleghe in materia ambientale.

     

    D’altro canto, non può certo pretendersi che gli amministratori di una società abbiano competenze così vaste da potersi occupare, con efficacia, anche di tematiche così complesse e specialistiche come quelle relative alla gestione dei rifiuti o delle acque reflue, alla prevenzione dell’inquinamento o alla gestione di eventuali bonifiche.

     

    La giurisprudenza è quindi intervenuta a colmare il vuoto legislativo e, a più riprese, ha affermato che sia possibile estendere l’istituto della delega di funzioni (ed il connesso “modello” di gestione del rischio) anche a settori diversi da quello prevenzionistico e di tutela della sicurezza e, in particolare, a quello dell’ambiente.

     

    Proprio in quest’ambito – la cui corretta gestione è oggi sempre più avvertita come strategica per il buon funzionamento di un’impresa – si è fatta strada la delega di funzioni in materia ambientale.

     

    La Corte di Cassazione ha, ad esempio, chiaramente affermato che “una volta provata la sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio della delega di funzioni in materia ambientale, la responsabilità penale del delegato non è in discussione[1].

     

    Pertanto, la delega di funzioni è oggi di fatto ammessa anche nel settore ambientale, similmente a quanto disciplinato dal d.lgs. 81/2008 in tema di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguente possibilità di trasferimento dei relativi poteri e responsabilità.

     

    Mancando una specifica disciplina normativa, tuttavia, i requisiti della delega di funzioni in materia ambientale devono essere ricavati dalla giurisprudenza.

     

    In particolare, la Corte di Cassazione ha avuto modo di focalizzare l’attenzione sui quattro requisiti principali di efficacia di una delega di funzioni [2].

     

    In primo luogo, secondo la Suprema Corte, la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale.

     

    In questo senso, pena l’inefficacia della delega, il delegante deve astenersi da qualsiasi ingerenza nell’attività del delegato, che si realizzerebbe, ad esempio, qualora il primo continuasse ad esercitare, in concreto, un potere gestionale relativo alle funzioni trasferite al secondo.

     

    In secondo luogo, il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli.

     

    Secondo la sentenza in esame della Corte di Cassazione, infatti, le deleghe possono essere conferite “solo a condizione che la delega […] sia data a persone affidabili, in grado, cioè, di assolvere i relativi compiti”. In ogni caso, il soggetto delegato deve essere dotato di una competenza coerente rispetto alle funzioni delegate e deve avere acquisito esperienza nell’ambito interessato dalla delega. Una delega conferita in violazione di tali requisiti potrebbe configurare un’ipotesi di culpa in eligendo a carico del delegante, con conseguente inefficacia della delega.

     

    In terzo luogo, oltre alle funzioni, devono essere delegati i correlativi poteri decisionali e di spesa.

     

    È evidente che, in mancanza dei poteri necessari, le relative funzioni non potrebbero essere svolte dal delegato.

     

    In quarto luogo, l’esistenza della delega deve risultare da atto scritto recante data certa (ad es. atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio).

     

    Tra i requisiti di validità della delega, si è discusso sulla necessità che il conferimento della stessa venisse giustificato alla luce delle dimensioni dell’impresa.

     

    A questo proposito, in passato, era consolidato l’orientamento per cui l’istituto della delega di funzioni fosse applicabile solo nelle realtà di impresa medio-grandi.

     

    Tuttavia, la Cassazione, nel 2015[3], aveva affermato che “per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, [..] non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa”. Alla luce di tale statuizione si era arrivato a ritenere, dunque, che le dimensioni dell’impresa non costituissero un elemento rilevante ai fini della validità della delega.

     

    La Suprema Corte, tornando poco tempo dopo sui propri passi[4],ha affermato che “il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa”.

     

    Prendiamo quindi atto di come la giurisprudenza sia ancora in divenire in relazione a questa problematica.

     

    In caso di conferimento di una delega di funzioni valida ed efficace, il delegato dovrà quindi esercitare i relativi poteri, restando responsabile di eventuali violazioni della normativa applicabile.

     

    Un adeguato sistema di poteri in materia ambientale costituisce peraltro un pilastro fondamentale per la costruzione di un modello organizzativo capace di prevenire la commissione dei reati ambientali di cui all’art. 25-undecies del d.lgs. 231/2001.

     

    Quest’ultimo individua, infatti, quali reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, una moltitudine di fattispecie di reati ambientali tra cui, ad esempio, quelli di gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256 del d.lgs. 152/2006, c.d. Testo Unico Ambientale), inquinamento ambientale (art. 452-bis del codice penale) o disastro ambientale (art 452-quater del codice penale).

     

    Sul fronte sanzionatorio sono previste (a carico della società nel cui interesse o a vantaggio del quale la violazione è stata commessa, a seconda della prescrizione di carattere ambientale violata) sanzioni pecuniarie che potrebbero superare la soglia di Euro 1.000.000. Sono altresì previste sanzioni interdittive tra cui: la sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze e concessioni funzionali all’esercizio dell’attività; il divieto temporaneo di contrattare con la Pubblica Amministrazione; il divieto, per un determinato periodo di tempo, di pubblicizzare beni o servizi.

     

    Si pensi al caso di inquinamento di uno specchio acqueo all’interno di un porto a cui consegua la revoca delle autorizzazioni pubbliche necessarie per potere svolgere le operazioni portuali: è evidente che la sanzione interdittiva potrebbe avere un effetto di gran lunga più rilevante di quello delle pur ingenti sanzioni pecuniarie.

     

    Le società potranno tuttavia andare esenti da questo genere di responsabilità se proveranno che la loro organizzazione era in grado di prevenire e reprimere la commissione degli illeciti.

     

    Tale onere della prova può essere soddisfatto dimostrando, tra l’altro, che l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

     

    Le sinergie che si possono sviluppare, in materia ambientale, con la contemporanea adozione di un sistema di deleghe di funzioni e di un modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 sono peraltro confermate dalla Corte di Cassazione secondo cui: “la mancanza di deleghe di funzioni, nei termini sopra indicati, è fatto che di per sé prova la mancanza di un efficace modello organizzativo adeguato a prevenire la consumazione del reato da parte dei vertici societari[5].

     

    Ciò testimonia, ancora una volta, come il modello organizzativo debba essere uno strumento perfettamente integrato nel contesto organizzativo delle società e non possa prescindere dalla costruzione di un adeguato sistema di deleghe e poteri.

     

     

     

     

     

     

     

    Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.

    Per ulteriori informazioni contattare Luca Cavagnaro o Francesco Laureti.

     

     

     

     

     

     

     

    [1]Cass Pen., 19.11,2013, n. 46237.

     

    [2]Cass Pen., 12.1.17 - 24.2.17, n. 9132.

     

    [3]Cass Pen., 21/05/2015, n. 27862.

     

    [4]Cass. Pen., 01/06/2017, n. 31364.

     

    [5]Cass Pen., 12.1.17 - 24.2.17, n. 9132.

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