Con la sentenza n. 1649 del 19 settembre 2017 la Corte di Appello di Catania ha aderito all’orientamento secondo cui la scissione societaria non è revocabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, L.F.
Il caso
La curatela ha chiesto al Tribunale di Catania la revoca dell’atto di scissione in forza del quale il patrimonio della società scissa, poi fallita, era stato in parte assegnato alla società scissionaria di nuova costituzione, dovendosi tale operazione considerare alla stregua di un qualsivoglia atto di disposizione patrimoniale lesivo della garanzia dei creditori.
Il Tribunale di Catania ha accolto le domande e la società revocata ha proposto appello.
Le questioni
È dubbia la revocabilità dell’atto di scissione societaria ex art. 2506 c.c. (con cui una società “assegna l'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci”) in relazione ad un duplice ordine di considerazioni:
La decisione
La Corte d’Appello di Catania ha escluso l’esperibilità dell’azione revocatoria (sia fallimentare sia ordinaria) in forza delle seguenti argomentazioni:
Commento
La pronuncia si inserisce in una tendenza altalenante della giurisprudenza di merito. In particolare, con riferimento alla questione della natura “traslativa” della scissione, la Corte di Appello di Catania contrasta e supera l’orientamento di alcuni giudici di merito (Trib. Roma 16 agosto 2016 e 16 marzo 2016, Trib. Pescara 17 maggio 2017).
La giurisprudenza di merito ha invece più frequentemente negato la revocabilità della scissione (Trib. Bologna 24 marzo 2016, Trib. Roma 7 novembre 2016, Trib. Napoli 18 febbraio 2013 e Trib. Modena 22 gennaio 2010) sul fondamento della previsione della tutela alternativa costituita dall’opposizione ex art. 2503 c.c. e dall’azione risarcitoria ex art. 2504-quater c.c., nonché in relazione al fine della stabilità degli effetti dell’atto di organizzazione societaria.
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