Il Tribunale di Arezzo (3 maggio 2018) in linea con l’orientamento della Cassazione (11 dicembre 2017, n. 29632 e 17 luglio 2017, n. 17703) conferma che i creditori concordatari insoddisfatti possono chiedere la dichiarazione di fallimento “omisso medio”, cioè senza dovere prima ottenere la risoluzione del concordato per inadempimento
Una società in liquidazione è risultata inadempiente rispetto al pagamento della percentuale promessa ai creditori concorsuali, avendo dovuto destinare parte dell’attivo in fase di esecuzione del concordato per ottemperare ad ordini di bonifica emessi dalla Provincia di Arezzo.
Il P.M. ha quindi presentato richiesta per la dichiarazione di fallimento.
La società ha eccepito di avere già eseguito la proposta mettendo a disposizione dei creditori tutti i propri beni ed ha rilevato che nessun vantaggio potesse derivare ai creditori dalla dichiarazione di fallimento.
L’art. 186 l.fall. prevede il termine di un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento previsto dal concordato per chiederne la risoluzione per inadempimento, alla quale sono legittimati esclusivamente i creditori concordatari.
Decorso il termine, si discute se l’imprenditore resti soggetto alla dichiarazione di fallimento per i debiti concordatari rimasti inadempiuti, ovvero ciò sia precluso dal venir meno della possibilità di risolvere il concordato.
Il Tribunale ha dichiarato il fallimento della società, richiamando le recenti pronunce conformi della Corte di cassazione, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 106/2004 che (in relazione alla disciplina previgente) aveva escluso l’illegittimità delle norme della l.fall. in quanto consentono la dichiarazione di fallimento per debiti concordatari, senza previa risoluzione del concordato.
Il Tribunale rileva inoltre che, diversamente, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento con altri imprenditori in bonis.
La possibilità di procedere alla dichiarazione di fallimento senza preventiva risoluzione del concordato non è dubbia in relazione ad obbligazioni successive al deposito della domanda di accesso alla procedura e, quindi, sottratte alla falcidia concordataria.
Per quanto riguarda i crediti concorsuali, il tema è stato di recente affrontato dalla Cassazione che, con le due sentenze nn. 17703/2017 e 29632/2017, ha escluso che le disposizioni che pongono un limite alla risoluzione del concordato possano prevalere sulle altre, di portata generale, che consentono la dichiarazione di fallimento in presenza del presupposto oggettivo dell’insolvenza, ad iniziativa dei creditori e del P.M. (artt. 6 e 7 l.fall.). La Corte rileva, da un lato, che il debitore può sempre sottrarsi alla dichiarazione di fallimento dimostrando che le obbligazioni concordatarie sono in corso di adempimento e, dall’altro, che i creditori che hanno omesso di chiedere la risoluzione del concordato concorreranno nel fallimento per l’importo falcidiato dei propri crediti, avendo essi stessi omesso di attivarsi tempestivamente per determinarne la reviviscenza nell’importo originario. Il presupposto da cui muove la giurisprudenza, pertanto, è quello della liquidazione ormai esaurita e dell’esito ormai consolidato, secondo cui l’adempimento del concordato non è più nell’ordine delle cose.
In senso contrario si è invece recentemente pronunciato il Trib. Pistoia (20 dicembre 2017), sul rilievo che il debitore adempie alla proposta di cessione dei beni rimettendo il proprio intero patrimonio al liquidatore giudiziale, con la conseguenza che i debiti concorsuali, in tale tipo di concordato, sono definitivamente adempiuti e la dichiarazione di fallimento potrebbe quindi conseguire solo alla preventiva risoluzione del concordato, oppure ad una nuova insolvenza riferita a debiti successivi. A ciò si oppone però la considerazione che nella disciplina vigente il debitore, con la proposta di concordato, deve obbligarsi in ogni caso (e quindi anche nel concordato con cessione dei beni) all’adempimento di una specifica percentuale in un tempo determinato.
Il tema tuttora irrisolto è invece quello dell’ammissibilità di una seconda proposta di concordato in pendenza di adempimento di altra precedente. In questo caso si riscontrano alcune fondamentali differenze rispetto ai casi sopra considerati: (i) il termine di risoluzione del concordato non è ancora spirato e, quindi, la falcidia concordataria non si è ancora consolidata; (ii) l’iniziativa è assunta dal debitore stesso, il quale potrebbe prevenire quella dei creditori volta alla risoluzione e, al contempo, imporre un ulteriore stralcio ai creditori concordatari. Sembra quest’ultimo un esito che non può essere consentito e, pertanto, o si ritiene che il precedente concordato si risolve automaticamente per effetto della seconda domanda, o si ammettono i creditori ad attivare il giudizio di risoluzione a latere della nuova procedura.
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