di Adriano Lovera
Il 2020 sarà un anno di consolidamento per gli investimenti alberghieri in Italia, con un volume di transazioni atteso intorno ai 2-2,5 miliardi di euro, rispetto al record di 3,3 miliardi del 2019. Ma già nel 2021 è pronto un rimbalzo, per l'effetto combinato di alcuni elementi: liquidazione di asset e arrivo sul mercato di nuovi portafogli. Se ne è parlato ieri nel corso di un convegno sul settore organizzato a Milano dallo studio legale Nctm. «Già nel 2020 - ha detto Marco Zalamena, head of hospitality di EY - assisteremo al passaggio di alcuni portafogli di ampie dimensioni e di singoli asset sopra i 50 milioni di euro. Ma è soprattutto dal 2021 che alcuni soggetti del private equity, che avevano acquistato alcuni anni prima, inizieranno a rivendere seguendo l'esempio di Varde Partners, che nel 2016 aveva preso gli immobili Boscolo Hotels e ora ha perfezionato la cessione a Covivio». «Tra i portafogli che stanno per trovare un acquirente - ha affermato Domenico Basanisi, head of investment property di Cbre Hotels Italy - ci sono quello di Invitalia, che vale circa 140 milioni, poi il multi asset di Enpam, da 1 miliardo».
Chi saranno i protagonisti delle operazioni?
La palla è sempre in mano per lo più a soggetti stranieri, seguendo un trend che riguarda tutta Europa, non solo l'Italia. «Il 48% degli investimenti alberghieri in Europa è extra continentale - suggerisce Roberto Galano, executive vice president di Jones Lang LaSalle - e questa quota è destinata ad aumentare. Per il 70% a muoversi sono soggetti istituzionali e del private equity, una quota interessante è appannaggio di fondi sovrani e Hnwi (High net worth individual) mentre una classe ormai scomparsa è quella degli operatori che acquisiscono direttamente l'immobile». Due questioni sono sul tappeto: l'oggetto giusto da mettere nel mirino e il rendimento.
L'oggetto giusto
Sul primo punto, la preferenza va sempre a portafogli di medio-grandi dimensioni o su hotel iconici di fascia alta, in località "sicure". Insomma, i trophy asset. Ma senz'altro, se non nel 2020 in un futuro prossimo, si andrà verso una diversificazione che finirà per abbracciare l'extra alberghiero, l'utilizzo misto, o perché no, la piccola dimensione. Ad esempio, lo short rent di lusso. «Noi a Roma abbiamo aperto una service apartment house in piazza di Spagna, appena 5 appartamenti, ma su un filone molto promettente - conferma Maurizio Saccani, director of operations di Rocco Forte Hotel -. E bisognerebbe convincere gli investitori a sganciarsi dalla ricerca rigida di operazioni sopra le 100 camere, rare in Italia. Il Sud, pensiamo alla Puglia, sono piene di opportunità, come masserie da riconvertire sulla fascia alta, che possono dare grandi margini, ovviamente con un cambio di gestione e di mentalità». Restando al segmento prettamente turistico, faranno più fatica i resort, benché oggetto di interesse di alcune operazioni importanti. «Sono interessanti quelli inseriti in portafogli e in location primarie - ha affermato Dario Leone, head of hospitality Italy di Cushman & Wakefield - ma vista la stagionalità cui sono soggetti scontano comunque qualche decimale in termini di rendimento rispetto ad altre soluzioni». Quanto ai rendimenti, nella media l'alberghiero regala un 4%-5% e presenta un premio di 50-100 punti base sulla classe "uffici".
Ma le incertezze non mancano, così come le opinioni opposte. «Ragionare del 5% è riduttivo - ha sottolineato Giampiero Schiavo, amministratore delegato di Castello sgr -. Gli investitori che si muovono secondo una logica precisa, quella opportunistica, considerano almeno la doppia cifra». E le opportunità non mancano. «Per esempio - ha aggiunto Schiavo - i villaggi vacanze, che in Francia hanno avuto un grande sviluppo grazie all'innalzamento della professionalità e qualità della gestione».
Frena invece Giorgio Ribaudo, professore all’Università di Bologna, esperto di revenue management turistico: «Un conto sono gli annunci e le medie statistiche, altro sono i conti economici messi nero su bianco e visibili dai bilanci. I 3 miliardi investiti nel 2019, con un rendimento atteso del 5%, ora sono da dimostrare. L’Italia è fatta da una moltitudine di destinazioni, soggette a stagionalità e volatilità diverse. Inoltre la maggior parte delle operazioni è composta da riconversioni». E, conclude Robaudo, «su queste, al contrario di quanto avviene quando si costruisce dal nuovo, è più complicato fare previsioni certe. Di sicuro, nello scenario attuale le grandi catene alberghiere stanno rispettando le previsioni e c’è una fetta di piccoli white label che cresce bene».