Le decisioni del Tribunale di Rovereto del 13 ottobre 2014 e del Tribunale di Bergamo del 26 settembre 2013 risolvono in modo opposto il tema della libera utilizzabilità, ai fini della proposta di concordato preventivo, delle risorse di cassa generate dalla prosecuzione dell’attività d’impresa successivamente all’omologazione del concordato.
Il caso
In entrambi i casi oggetto di decisione, una società presentava proposta di concordato basata su di un piano di continuità aziendale, prevedendo numerose distinte classi di voto per (i) il pagamento integrale dei crediti prededucibili, (ii) il pagamento dei privilegiati sino ad esaurimento del valore di liquidazione del patrimonio ai sensi dell’art. 160, secondo comma, l.fall. e (iii) il pagamento dei creditori chirografari con i flussi di cassa che sarebbero stati generati dalla prosecuzione dell’attività aziendale.
La proposta veniva approvata in entrambi i casi dalla maggioranza assoluta dei crediti e dalla maggioranza delle classi. Nel conseguente giudizio di omologazione il Tribunale effettuava uno scrutinio di legittimità della proposta, a fronte di opposizioni da parte dei creditori privilegiati non integralmente soddisfatti.
Le questioni
Secondo l’insegnamento di Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, qualora la proposta di concordato preveda la falcidia dei creditori assistiti da privilegio generale, che grava sull’intero attivo mobiliare, il soddisfacimento dei creditori chirografari non può essere realizzato con l’attivo concordatario: conseguentemente, la proposta di concordato è ammissibile solo se le risorse vengono messe a disposizione da terzi, come “finanza esterna”. Ciò in quanto ai sensi dell’art. 160, secondo comma, l.fall. la formazione delle classi ed il pagamento non integrale dei creditori privilegiati non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
Il Tribunale di Rovereto e di Bergamo hanno quindi affrontato il tema della possibilità di qualificare come “finanza esterna” le risorse future destinate ad essere generate dalla continuità aziendale, in quanto beni non sussistenti nel patrimonio del debitore al momento della proposta e dell’omologazione del concordato.
La decisione
Il Tribunale di Bergamo ha ritenuto erronea la qualificazione come “finanza esterna” dei flussi di cassa, in quanto tale potrebbe essere solo un apporto proveniente dal patrimonio di un soggetto terzo, mentre i flussi di cassa attesi dalla continuità aziendale, benché futuri e non presenti attualmente bel patrimonio del debitore, sono comunque generati dallo stesso in quanto scaturiscono dall’impiego di beni strumentali che di questo fanno parte. Con riferimento, nel caso specifico, al pagamento integrale dei crediti chirografari di una classe di fornitori strategici, il Tribunale si è pronunciato in senso negativo, affermando la chiara alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione. Il Tribunale ha quindi rigettato l’omologazione della proposta concordataria.
Il Tribunale di Rovereto ha invece accolto l’impostazione del debitore ed ha ritenuto ammissibile ed ha omologato la proposta di concordato, valorizzando la circostanza che le risorse derivanti (nel caso specifico) dal completamento dei cantieri in essere, sarebbero altrimenti andate perdute in caso di liquidazione senza prosecuzione dell’attività di impresa. Il Tribunale, dichiarando di aderire alla precedente decisione del Tribunale di Monza del 22 dicembre 2011, ha quindi concluso che tutto l’utile che deriva dal concordato, in quanto si aggiunge al patrimonio del debitore ricavabile dalla liquidazione dei beni, deve essere considerato “nuova finanza”.
Il commento
Le due decisioni ben riflettono l’atteggiamento contrastante dei giudici di merito sul punto.
La decisione del Tribunale di Bergamo esprime un orientamento di generalizzata cautela e “diffidenza” che ha circondato l’istituto del concordato con continuità aziendale, affinché non venga utilizzato come ultimo disperato tentativo di salvataggio per situazioni di crisi imprenditoriali ormai irrimediabilmente compromesse che, una volta naufragato, comporta a tutto danno dei creditori la perdita definitiva delle risorse impiegate nella (tentata) gestione in continuità, con l’aggravio dei debiti medio tempore maturati. È noto peraltro come si tratti di questione di merito rimessa alla valutazione dei creditori con il voto. Se questa potrebbe essere una motivazione sottostante ed inespressa della decisione, l’argomentazione giuridica fa poi leva sulla rigida applicazione del divieto di alterazione dell’ordine dei privilegi ed applica letteralmente il criterio dettato dalla Cassazione, secondo cui tutto il patrimonio va comunque destinato ai creditori prelatizi, con possibile soddisfazione dei chirografari solo con risorse esterne.
La decisione del Tribunale di Rovereto esprime invece un approccio di maggiore apertura, che appare condivisibile in quanto maggiormente in linea con la ratio normativa non solo delle nuove regole dirette a disciplinare espressamente (e quindi a favorire) il concordato con continuità aziendale, in quanto si richiede che in tal caso debba essere dimostrato che la soluzione concordataria è più favorevole per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.
Da questo punto di vista, è difficilmente contestabile che i creditori privilegiati, avendo per legge la garanzia del livello minimo di soddisfacimento che sarebbe conseguito in caso di mancata approvazione del concordato, non risentono alcun pregiudizio dalla proposta concordataria, mentre di questa può beneficiare non solo la collettività dei creditori, ma anche l’insieme dei soggetti che hanno interesse alla conservazione dell’impresa, primi tra tutti i lavoratori dipendenti ed i fornitori. Non pare quindi ragionevole un’interpretazione che si irrigidisce sulla tutela a tutti i costi dei privilegi, a scapito degli interessi di collettività più ampie.
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Fabio Marelli, fabio.marelli@advant-nctm.com
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