Lo svolgimento delle operazioni portuali da parte del terminalista è di norma regolato dall’atto di concessione che ne determina natura, ampiezza e durata.
Non è raro il caso in cui il concessionario formuli un’istanza per ottenere l’allargamento della lista delle operazioni autorizzate ovvero di provvedimenti della stessa Autorità Portuale o anche Marittima con cui viene imposto al concessionario di svolgere attività diverse a servizio dell’interesse del porto.
Si consideri ad esempio il caso in cui un concessionario sia costretto dalla Pubblica Amministrazione a mettere a disposizione parte delle banchine in concessione al fine di consentire l’accosto di navi per traffici che non sono quelli ivi autorizzati (l’ipotesi più comune sono i servizi di crociera ovvero di navi Ro/Ro che, sulla base di esigenze dovute alla saturazione di altre banchine normalmente adibite a tali usi, vengono “deviate” presso concessionari che non esercitano abitualmente tale attività).
Ogni volta che si dovesse verificare quanto sopra, sarà bene interrogarsi sulle conseguenze derivanti dai rischi connessi alle nuove attività svolte.
A prescindere dal livello, più o meno elevato, di tali rischi, l’impresa dovrà verificare che gli strumenti adottati per mitigare le proprie responsabilità continuino a garantirle adeguata copertura.
Particolare attenzione dovrà quindi essere riservata agli impatti dei nuovi rischi sotto il duplice profilo delle coperture assicurative e dei modelli di organizzazione, gestione e controllo previsti dal d.lgs. 231/2001.
Partendo da questi ultimi, i c.d. “modelli 231” sono oramai adottati da quasi tutti gli operatori portuali, assolvendo una funzione “assicurativa” in senso lato.
Essi, infatti, costituiscono l’unico strumento per tutelarsi dalle responsabilità che, in caso di commissione di particolari reati, possono essere imputate direttamente a carico delle società con notevoli sanzioni sia di ordine pecuniario (fino a 1.500.000 euro) sia di ordine interdittivo (tra cui l’interdizione dall’esercizio delle attività d’impresa e la sospensione delle autorizzazioni e delle concessioni, circostanza questa che potrebbe far revocare la concessione).
Il modello di governance introdotto dalla richiamata normativa dell’ordinamento italiano, protegge in senso giuridico coloro i quali lo adottano e lo mantengono efficace (nel senso che la sua adozione e aggiornamento prevengono la configurazione della responsabilità del terminalista portuale limitandola a coloro, le persone fisiche, che sono effettivamente responsabili della commissione del reato).
In ambito portuale i rischi riguardano principalmente la commissione dei reati in materia ambientale e in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Poche attività nella nostra industry sono così rischiose come gestire una banchina merci che viene temporaneamente adibita ad area per l’imbarco e sbarco di auto e passeggeri da un traghetto o –peggio– di crocieristi.
Fallire le adeguate misure standard di sicurezza comporta una astratta responsabilità penale del concessionario per reati che sono puniti a titolo colposo con la conseguenza che mere sviste o errori possono fare sorgere una responsabilità (in altre parole non è necessario il dolo ovvero la volontà di commettere l’evento ai fini della loro contestazione).
Pertanto chi non ha ancora adottato il modello 231, ovvero chi, avendolo, non lo adatta alla mutata situazione operativa sul terminal, è esposto ad un grande rischio.
Primo passo è allora l’individuazione e la valutazione dei rischi (il c.d. “risk assessment”) e la definizione delle procedure aziendali necessarie per prevenire gli eventi di danno che, come visto, sono pregiudizievoli sia per i terzi che per l’azienda stessa.
Ciò –lo si ripete– deve essere fatto anche nel caso di ampliamento delle attività svolte da un concessionario perché l’ampiamento delle attività porta ad un ampliamento delle responsabilità.
Le stesse ragioni ci inducono ad esaminare le ripercussioni delle vicende esaminate sul fronte assicurativo.
Ogni apprezzabile modificazione del rischio che originariamente è alla base del contratto assicurativo deve essere regolata tramite la stipula di una appendice del contratto iniziale.
Per questo motivo, le polizze assicurative abitualmente descrivono in modo puntuale i rischi assicurati, confidando sulle dichiarazioni rese dall’assicurato al momento della stipulazione della polizza, il quale è tenuto per legge a fornire informazioni complete e veritiere.
Non a caso l’art. 1898 del codice civile italiano impone all’assicurato di dare “immediato avviso all’assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio”, così che la compagnia abbia la possibilità di recedere dal contratto o chiedere un incremento del premio assicurativo.
L’omissione di tale avviso può comportare addirittura l’esclusione del risarcimento nel caso in cui l’aggravamento si sia rivelato tale per cui l’assicuratore, avendolo conosciuto, non avrebbe stipulato la polizza. Nei casi meno gravi, è comunque prevista una diminuzione del risarcimento in base al rapporto tra il premio pagato e quello, maggiore, che sarebbe stato preteso dall’assicuratore ove fosse stato a conoscenza del maggior rischio.
Una ragione in più per prendere in considerazione l’esigenza di attivarsi nel senso sopra considerato può rinvenirsi ogni volta che l’operatore di terminal, per propria iniziativa ovvero per ordine della Autorità Portuale o Marittima, si trovi ad esercitare un’attività che originariamente non era stata prevista nel contratto di concessione.