Allo scopo di ottenere il pagamento della provvigione, a suo parere dovutale in ragione dell’attività di mediazione svolta, la titolare di uno studio tecnico industriale cita in giudizio una società di capitali. La convenuta si costituisce eccependo in primo luogo la nullità della pattuizione sul compenso, non essendo parte attrice iscritta nell’elenco dei mediatori di cui alla Legge n. 39/1989.
In primo grado, il Tribunale di Verona condanna la società al pagamento, inquadrando l’attività svolta dalla titolare dello studio nell’ottica del mero procacciamento d’affari e, in quanto tale, sottratta alla disciplina di cui alla Legge n. 39/1989. In appello, la Corte di Venezia ribalta la sentenza in ragione della mancata dimostrazione dell’iscrizione dell’attrice presso l’albo dei mediatori professionali, ritenendola invece presupposto essenziale per fare sorgere il diritto alla provvigione.
A seguito del ricorso per Cassazione proposto dalla procacciatrice, la seconda sezione della Suprema Corte, alla luce del contrasto giurisprudenziale in materia di mediazione atipica, ha ritenuto opportuno l’intervento delle Sezioni Unite, le quali sono state chiamate a pronunciarsi sulla possibilità di attrarre anche il procacciamento d’affari nell’ambito della disciplina della mediazione, prevedendo quindi la necessità che colui che svolga tale attività, per poter fondatamente richiedere il pagamento per la prestazione espletata, debba o no essere iscritto negli appositi registri o repertori.
Al fine di poter correttamente comprendere la questione in analisi, è opportuno richiamare brevemente, in via introduttiva, i punti maggiormente caratterizzanti della disciplina della mediazione, della cd. mediazione atipica (o unilaterale) e del procacciamento d’affari, ovvero di tutte quelle tipologie contrattuali - ad esclusione dell’agenzia - aventi ad oggetto una prestazione d’opera finalizzata alla conclusione di contratti tra le parti.
Come anticipato, la decisione cui è stata investita la Suprema Corte nel caso di specie riguardava la riconducibilità del procacciamento d’affari all’interno della disciplina positivamente stabilita per la mediazione, in particolar modo per ciò che concerne la nullità della pattuizione riguardante la provvigione, qualora i soggetti che si pongono come mediatori non siano iscritti nel registro delle imprese o nel R.E.A.
I precedenti orientamenti giurisprudenziali in materia possono essere ricondotti a due filoni.
Per un primo orientamento, nucleo essenziale della mediazione sarebbe costituito dall’obbligo di imparzialità: il procacciatore d’affari, in quanto non sottoposto a tale obbligo, non sarebbe conseguentemente soggetto all’applicazione dell’art. 6 della Legge n. 39/1989. L’iscrizione negli appositi registri o repertori non costituirebbe, per questa categoria di professionisti, presupposto per il sorgere del diritto alla provvigione.
Per un secondo orientamento, vero nucleo essenziale della mediazione sarebbe costituito dall’attività diretta a favorire fra due o più parti la conclusione di un affare. In quest’ottica, il procacciamento d’affari, allo scopo di contrastare il fenomeno dell’abusivismo da parte di soggetti moralmente e professionalmente inidonei, viene qualificato forma di mediazione atipica e fatto perciò rientrare nell’ambito di applicabilità della Legge n. 39/1989.
Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto fosse da prediligere il secondo orientamento.
Il ragionamento della Cassazione parte dalla costatazione che il cd. ruolo dei mediatori è suddiviso in quattro sezioni, rispettivamente dedicate a: (i) mediatori immobiliari; (ii) mediatori merceologici; (iii) mediatori muniti di mandato a titolo oneroso (nel quale rientrano i mediatori atipici); (iv) mediatori in servizi vari.
L’art. 2, comma 4, della Legge n. 39/1989 stabilisce che l’iscrizione nel cd. ruolo dei mediatori muniti di mandato a titolo oneroso dev’essere richiesta - anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo - da coloro che svolgono attività per la conclusione di affari relativi a beni immobili o ad aziende: restano quindi escluse le attività di mediazione atipica realizzate in forma occasionale in relazione a beni mobili.
Sposando il summenzionato secondo orientamento, e ritenendo perciò il procacciamento d’affari quale forma di mediazione atipica, sorge obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese o il R.E.A., secondo la Corte, per il procacciatore d’affari che (i) svolge in maniera professionale la propria attività o (ii) svolge in maniera occasionale la propria attività in relazione a beni immobili o ad aziende.
Riassumendo, alla luce di tali considerazioni la Suprema Corte ha stabilito che, qualora l’attività sia svolta a titolo professionale deve ritenersi che, qualsiasi forma assuma la mediazione, a prescindere da quale sia l’oggetto di essa, il mediatore, tipico o atipico (e quindi anche il procacciatore), è tenuto all’iscrizione nel registro delle imprese o nel R.E.A. con tutte le conseguenze che dalla mancata iscrizione derivano nei confronti del diritto alla provvigione.
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