La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) ha, recentemente, avuto modo di dichiarare la legittimità dei controlli doganali «a posteriori» e l’incompatibilità con la normativa europea di una normativa nazionale che imponga limiti su detti controlli.
Nel caso in esame, una società lettone importava, nel 2007, delle biciclette provenienti dalla Cambogia, accompagnate dal certificato di origine emesso dal governo cambogiano. La società, avendo prodotto il certificato richiesto ai sensi della normativa UE, non aveva versato né l’IVA, né i dazi doganali relativi ai prodotti importati.
Nel 2008, l’Amministrazione fiscale lettone procedeva a un primo controllo dal quale non risultava alcuna irregolarità. Tuttavia, nel corso del 2010, avendo ricevuto delle informazioni dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), circa la non conformità del certificato d’origine alle disposizioni del diritto dell’Unione Europea, l’Autorità fiscale lettone emetteva un avviso di accertamento nei confronti della società, contestando il mancato pagamento di IVA e dazi doganali.
La società impugnava tale avviso di accertamento ritenendolo illegittimo, in quanto frutto di un secondo controllo «a posteriori», come tale vietato dalla legge lettone. L’Autorità fiscale si difendeva affermando che l’articolo 78, paragrafo 3 del Codice Doganale Comunitario (“CDC”)[1] consentiva di reiterare i controlli già effettuati, entro il termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione. La società eccepiva, però, che il diritto nazionale lettone consentiva un riesame solo nel caso in cui venisse contestualmente avviato un procedimento penale per frode o altri reati connessi, circostanza non verificatasi nel caso concreto.
Il Giudice del rinvio chiedeva quindi alla CGUE se la normativa nazionale lettone, nel prevedere tale limitazione dei controlli, fosse o meno compatibile con l’articolo 78, paragrafo 3 del CDC.
La Corte ha innanzitutto evidenziato come la ratio del CDC sia quella di garantire la corretta applicazione delle imposte. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto conforme al diritto dell’Unione Europea l’adozione di tutte le misure necessarie per la regolarizzazione della situazione, alla luce dei nuovi elementi emersi[2], qualora si rilevi che siano stati effettivamente commessi errori o omissioni materiali, ovvero errori interpretativi della normativa applicabile.
È, inoltre, imperativo che tali revisioni e controlli a posteriori rispettino i principi generali del diritto dell’Unione Europea, segnatamente quelli derivanti dal principio di certezza del diritto e, in quanto corollario di quest’ultimo, dal principio della tutela del legittimo affidamento.
Su questo tema, la CGUE si è più volte espressa nel senso che il principio della certezza del diritto intende garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici e richiede che la situazione di un debitore, con riferimento ai suoi diritti e ai suoi obblighi nei confronti dell’amministrazione fiscale o doganale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione[3].
La stessa Corte, a tale riguardo, ha, inoltre, già da tempo chiarito come l’imposizione di un termine di prescrizione ragionevole sia funzionale a tutelare l’interesse della certezza del diritto e non impedisca quindi l’esercizio, da parte del singolo, dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione[4].
Nella fattispecie in esame, lo stesso CDC[5], all’articolo 221, paragrafo 3, prevede un termine di tre anni per la comunicazione di eventuali nuove obbligazioni doganali. Pertanto, la CGUE ha ritenuto che gli operatori economici siano adeguatamente tutelati e che il principio della certezza del diritto sia rispettato.
Infine la Corte ha statuito che, in applicazione del principio di tutela del legittimo affidamento, gli operatori economici non possano fare affidamento sulla conservazione di una situazione esistente (ad es. una obbligazione doganale) ove essa sia ancora suscettibile di modifica discrezionale da parte delle autorità nazionali[6],. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui si verifichino nuovi elementi di fatto che legittimino l’intervento delle predette novità[7].
Per tutto quanto sopra la Corte ha, quindi, concluso per l’incompatibilità della normativa lettone con le disposizioni del Codice Doganale Comunitario.
[1] Regolamento (CE) 2913/1992
[2] Vds., in tal senso, sentenza Terex Equipment e a. C-430/08 e C-431/08, EU:C:2010:15, punto 62
[3] Vds., in tal senso, sentenze Alstom Power Hydro, C-472/08, EU:C:2010:32, punto 16, e Elsacom, C-294/11, EU:C:2012:382, punto 29
[4] Vds., in tal senso, sentenze Barth, C-542/08, EU:C:2010:193, punto 28, e CIVAD, C-533/10, EU:C:2012:347, punto 23
[5] Secondo la giurisprudenza, la previsione può essere sia europea, che nazionale. Si veda in tal senso la sentenza Greencarrier Freight Services Latvia, C-571/12, EU:C:2014:102, punto 40
[6] Vds., in particolare, sentenza Plantanol, C-201/08, EU:C:2009:539, punto 53
[7] Vds., in tal senso, sentenza Lagura Vermögensverwaltung, C-438/11, EU:C:2012:703, punto 30.