È ammissibile una responsabilità, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, della società capogruppo per reati commessi nell'ambito delle attività svolte dalle società da essa controllate a condizione che a) il soggetto che agisce per conto della holding concorra con il soggetto che commette il reato per conto della persona giuridica controllata; e che b) possa ritenersi che la holding abbia ricevuto un concreto vantaggio o perseguito un effettivo interesse a mezzo del reato commesso nell'ambito dell'attività svolta dalla società controllata.
- Cass. Pen., Sez. II, n. 52316 del 9 dicembre 2016 -
1. Il caso oggetto della pronuncia
Il caso oggetto della pronuncia in commento riguarda una truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche, ideata e realizzata dai vertici del gruppo Ilva (noto gruppo siderurgico italiano di proprietà della famiglia Riva che lo controlla attraverso la holding di famiglia Riva Fire s.p.a.). In particolare, tra il 2008 e il 2013, Ilva s.p.a. (principale società operativa del gruppo), attraverso un “ciclo finanziario” cui prendevano parte Ilva s.a. (società svizzera costituita ad hoc dalla famiglia Riva e solo apparentemente operativa), Eufintrade s.a. (società finanziaria collusa con il gruppo Ilva) e Banca Intesa (che fungeva da intermediario tra Ilva s.p.a. e Simest s.p.a.), simulava di praticare un credito agevolato a favore degli acquirenti esteri, che in realtà non praticava, ottenendo così l’erogazione del contributo in conto interessi, concesso dal Ministero dello Sviluppo Economico a favore degli esportatori italiani che praticano siffatte agevolazioni. In questo modo il Gruppo Ilva otteneva, al contempo, sia l’immediato pagamento della merce venduta sia l’erogazione pubblica di sostegno. Per le condotte appena descritte, venivano tratti a giudizio gli amministratori di Ilva s.p.a., Ilva s.a., Eufintrade s.a. e Riva Fire s.p.a. per i reati di associazione per delinquere (ex art. 416, commi 1 e 2, c.p.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (ex art. 640-bis c.p.) nonché la stessa Riva Fire s.p.a., cui veniva contestato l’illecito amministrativo dipendente dal reato di truffa, previsto dall’art. 24, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 231/2001. Il procedimento si concludeva, in primo grado, con la condanna degli imputati e della società. La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza di appello gli imputati e la società proponevano ricorso in Cassazione. Per la società, venivano proposti quattro motivi di ricorso: il primo relativo alla configurabilità del reato-presupposto; il secondo alla sussistenza dell’interesse o vantaggio della società; il terzo all’esclusione della responsabilità della società, alla luce dell’adozione del modello organizzativo; il quarto ai presupposti della confisca. In particolare, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente sosteneva che nessuna responsabilità poteva essere affermata nei confronti di Riva Fire s.p.a. in quanto la truffa era stata commessa nell’interesse e a vantaggio della sola Ilva s.p.a. La Suprema Corte rigettava il ricorso, evidenziando come le condotte contestate fossero state poste in essere e si fossero risolte a vantaggio anche di Riva Fire s.p.a., i cui vertici peraltro coincidevano soggettivamente con quelli di Ilva s.p.a.
2. La responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001 nei gruppi di imprese
Il d.lgs. n. 231/2001 si limita a disciplinare il caso in cui sia una singola società ad essere chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo. Nulla dispone, invece, in relazione al fenomeno del gruppo d’imprese. Si tratta di una vicenda tutt’altro che irrilevante sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli enti. Ben può darsi, infatti, che gli effetti “positivi” del reato si riverberino su società connesse o collegate a quella alla quale è legato il suo autore. Si consideri, inoltre, ad ulteriore riprova della rilevanza della questione, che una responsabilità di gruppo può porsi non solo nell’ambito del gruppo cosiddetto “verticale”, ma anche nel cosiddetto gruppo “orizzontale” (cui partecipano, con ruoli paritetici, più società) così come nell’ambito di entità contingenti ed estemporanee, quali sono le associazioni temporanee di imprese e le joint venture. Ma a quali condizioni può essere affermata la responsabilità della capogruppo per il reato commesso nell’ambito dell’attività della controllata? Un primo orientamento giurisprudenziale riteneva che la mera esistenza di un interesse di gruppo, individuabile anche nel semplice accrescimento della redditività o del valore del gruppo, costituisse condizione necessaria e sufficiente a fondare la responsabilità amministrativa della capogruppo. Questa soluzione, tuttavia, prestava il fianco a numerose critiche: se, infatti, la responsabilità amministrativa si basa su una colpa di organizzazione, nessun rimprovero può evidentemente essere mosso in assenza di un qualsiasi profilo di colpevolezza a carico della capogruppo. Con la sentenza in commento, la Cassazione, superando definitivamente la teoria dell’interesse di gruppo, approda ad una soluzione più equilibrata e rispettosa del dettato normativo che àncora la responsabilità della capogruppo per il reato commesso da una controllata nell’ambito dell’attività della capogruppo a due fondamentali presupposti. Il primo è che il reato presupposto sia stato commesso dalla controllata con il concorso di almeno una persona fisica che agisca per conto della capogruppo: deve cioè esistere un collegamento soggettivo qualificato tra l’autore del reato, legato alla controllata, e la capogruppo. Tale presupposto ricorre, ad esempio, nel caso in cui l’autore del reato sia amministratore sia della controllata, sia della capogruppo o, comunque, abbia all’interno di entrambe un ruolo direttivo (amministratore nell’una e direttore finanziario nell’altra), ovvero quando l’esponente della capogruppo, pur essendo soggettivamente collegato soltanto ad essa, abbia concorso ex art. 110 c.p. alla commissione del reato presupposto insieme all’esponente della controllata. Il secondo è che il reato sia stato commesso anche nell’interesse della capogruppo: l’interesse o vantaggio della capogruppo non può cioè essere identificato – come detto prima – in un generico interesse di gruppo che si esaurisca nell’accrescimento della reddittività o del valore del gruppo ma è necessario che sussista un interesse specifico in concreto della capogruppo.
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