Con sentenza del 20 gennaio 2020, n. 1082, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di vendita dei beni di consumo stabilendo che, sebbene il comma 2 dell'articolo 130 del Codice del Consumo non annoveri il diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento, il consumatore che abbia ricevuto un bene non conforme al contratto può comunque esercitare, nei confronti del professionista, delle pretese risarcitorie. Il diritto al risarcimento del danno rientra, infatti, fra i diritti attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico italiano.
La sentenza in commento ha ad oggetto la vicenda riguardante il proprietario di un immobile, il quale citava in giudizio il titolare di una ditta individuale per avergli venduto una partita difettosa di “perline” in legno di larice che avevano provocato un anomalo restringimento dell’orditura del tetto, dopo la messa in posa.
L’attore chiedeva pertanto in via principale la condanna del venditore all’eliminazione dei vizi riscontrati in sede di accertamento tecnico preventivo e, in via subordinata, il risarcimento dei danni patiti a causa dei vizi del materiale, consistenti nelle spese per il rispristino del tetto. Il venditore si opponeva e chiamava in giudizio il produttore del materiale, il quale, a sua volta, contestava la sussistenza dei vizi.
In prime cure, il Tribunale rigettava la domanda principale, consistente nella richiesta di eliminazione dei vizi, in quanto eccessivamente onerosa per il venditore, accogliendo purtuttavia la richiesta risarcitoria, sulla base della quantificazione risultante dal verbale del consulente tecnico d’ufficio, nonché la domanda di garanzia del venditore verso il produttore.
In secondo grado, l’appello proposto dai soccombenti veniva accolto. In particolare, la Corte d’Appello riteneva che la domanda principale di eliminazione dei vizi – rigettata in primo grado – non fosse stata oggetto di impugnazione e, quindi, si fosse formato un giudicato interno sull’eccessiva onerosità del ripristino del tetto e, inoltre, che il danno lamentato fosse meramente di natura estetica tale per cui sarebbe stato possibile unicamente procedere all’eliminazione delle fessure e non alla riparazione dell’intero tetto. Inoltre, non avendo l’appellato formulato una specifica richiesta risarcitoria in tal senso, lo stesso veniva condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
La vicenda giunge dunque alla Suprema Corte di Cassazione, ove gli ermellini sanciscono l’operatività delle regole generali dettate dal Codice civile anche in materie disciplinate dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (di seguito, “Codice del Consumo”), cassando la sentenza di appello.
Muovendo dall’inquadramento normativo della vicenda che ci occupa, il Codice del Consumo, agli articoli 128 e seguenti, di cui al Capo I del Titolo III, rubricato “Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali”, impone, in estrema sintesi, in capo del venditore il generale obbligo di consegnare al consumatore "beni conformi al contratto di vendita".
L’articolo 129 del Codice del Consumo, rubricato “Conformità al contratto”, impone poi al venditore il preciso obbligo di consegnare al consumatore beni che presentino caratteristiche, qualità e requisiti conformi a quelli effettivamente concordati nel relativo contratto di vendita.
Ai sensi del medesimo articolo 129, si presume altresì che i beni di consumo siano conformi al contratto di compravendita qualora, ove applicabili, coesistano le seguenti circostanze: i) siano idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; ii) siano conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello; iii) presentino la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura; iv) siano, altresì, idonei all’uso particolare voluto dal consumatore - portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto - e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.
Alla luce di quanto precede, qualora venga consegnato dal venditore un bene che presenti un difetto di conformità, ai sensi dell’articolo 130 del Codice del Consumo, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo ovvero, ancora, alla risoluzione del contratto.
Il consumatore potrà infatti richiedere al venditore – a propria esclusiva discrezione – di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all'altro, dovendosi considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all'altro, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell'entità del difetto di conformità; e c) dell'eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
In alternativa, il consumatore potrà richiedere, a suo insindacabile giudizio, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto di compravendita, ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui sopra; c) la sostituzione o la riparazione, precedentemente effettuata, ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.
Chiave di volta in tale contesto è rappresentato dall’articolo 135 del Codice del Consumo, posto a chiusura della disciplina sulla vendita dei beni di consumo, che prevedere l’applicabilità delle disposizioni del Codice civile in tema di contratto di vendita per quanto non specificamente previsto dal titolo III del Codice del Consumo, codificando il principio della massima tutela del consumatore. In ragione di ciò, assumono quindi rilievo tutte le disposizioni dell’ordinamento giuridico che siano idonee ad attribuire all’acquirente di beni di consumo un vantaggio maggiore di quello assicurato dalla vendita dei beni di consumo.
Pertanto, sebbene tra i diritti che competono al consumatore, nel caso di difetto di conformità, l'articolo 130 del Codice del Consumo, non annoveri il diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento, il consumatore può comunque esercitare le proprie pretese risarcitorie sulla base delle “altre norme dell'ordinamento giuridico” italiano in conformità a quanto previsto dal succitato articolo 135.
La sentenza in commento ha di fatto censurato la decisione della Corte di Appello nella parte in cui ha riconosciuto che, una volta ritenuto eccessivamente oneroso per il venditore l'intervento volto all'eliminazione dei vizi, il compratore non poteva pretendere, a titolo di danno emergente, il costo occorrente per la sostituzione di tutte le perline, ma solo il risarcimento del danno estetico conseguente al loro restringimento, pari al costo dell'eventuale intervento eseguibile per eliminare le fessure, negando l'integrale risarcimento del danno emergente riconosciuto al compratore ai sensi dell’articolo 1494 del Codice civile.
Difatti, l'accertata eccessiva onerosità della sostituzione delle perline difettose non avrebbe dovuto precludere al consumatore di pretendere, a titolo di risarcimento del danno, la somma comunque occorrente per la eliminazione dei vizi secondo la valutazione effettuata da parte del CTU, essendo l’azione per il risarcimento del danno configurabile come un’azione autonoma, volta a porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se l'avesse concluso a un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi.
In secondo luogo, poi, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i giudici di secondo grado hanno ingiustamente ricusato la quantificazione proposta dal consulente tecnico – il quale non aveva indicato interventi sostitutivi all'infuori della integrale sostituzione delle perline – negando al consumatore qualsiasi risarcimento, nonostante il riscontro oggettivo dei vizi.
Secondo il consolidato orientamento della Corte, la domanda con la quale un soggetto chieda il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, senza ulteriori specificazioni, si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta.
In considerazione di quanto precede, il giudice del gravame avrebbe errato ad interpretare i rimedi accordati dal Codice del Consumo fino a negare al consumatore qualsiasi risarcimento. Di conseguenza, secondo il percorso argomentativo seguito dai giudici di legittimità, la richiesta risarcitoria non rimane circoscritta nei limiti del danno non coperto dalla sostituzione (troppo onerosa), ma si applicano i criteri ordinari previsti in caso di domanda risarcitoria proposta in assenza di richiesta di risoluzione o riduzione del prezzo.
In conclusione, per tutte le ragioni sopraesposte, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà attenersi ai principi indicati in tema di risarcimento del danno.
A cura di Dott.ssa Valentina Molinari.
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